Venezia saccheggiata da suoi figli ignoranti di Lorenzo Mondo

Venezia saccheggiata da suoi figli ignoranti PANEALPANE Venezia saccheggiata da suoi figli ignoranti ENEZIA fa notizia, e non per qualche evento culturale e mondano, o per l'ennesimo allarme sulla sua vaporosa, acquatile fragilità, che gli amici di ogni parte del mondo si affannano a scongiurare. Arrivano invece notizie insultanti per la nobile, vecchia signora, che civetta con le mascherine e i nei di una irriducibile giovinezza. Prima c'è stato l'assalto dei «serenissimi» secessionisti al campanile di San Marco, poi l'arresto dei presunti responsabili del rogo della Fenice. Non poteva esserci notizia più deprimente di quella fornita dal giudice Casson. Uno dei gioielli della città, che prendeva nome dal mitico uccello che bruciava senza morire mai, sarebbe stato distrutto dolosamente da due elettricisti che erano stati chiamati a preservarlo. Basta mettere sui piatti della bilancia la Fenice da un lato, i Marchetti e Carella dall'altro (o qualche altro nome, foss'anche il nostro) per avvertire un senso acuto e frustrante di sproporzione, di insondabile follia. Lo hanno fatto, pare, perché erano in ritardo nei lavori di risanamento, per non pagare una penale di 15 milioni. Non sarebbero, almeno in prima istanza, «picciotti» di mafia, ma veneti che si trovano con l'azienda indebitata. E così, per pochi «schei», hanno procurato danni per miliardi alla società e una ferita dolorosa al tessuto artistico di Venezia. Hanno compromesso, per egoistico tornaconto, gli interessi di tutti, e in primo luogo della loro terra. Hanno colpito criminosamente, forse senza rendersene conto, un monumento emblematico, mentre gli occupanti del campanile hanno voluto orgogliosamente appropriarsene. A me sembra che i due episodi in qualche modo si tocchino. Sono rivelatori di una incultura, che là si fondava su cognizioni storiche orecchiate e raffazzonate, qua si manifesta allo stato bruto, incapace di proiezioni ideali che suscitino amore e tremore. Esprimono una leggerezza che non sa commisurare mezzi e risultati, e alla fine diventa autolesionistica. Tanto più sconcertante per i più preparati che si soI no esposti senza criterio ad I anni di carcere con il posses¬ so di un mitra. Mi sembra che leghisti e federalisti di varia scuola, quelli muniti di buone ragioni oltreché di buona fede, debbano porsi una buona volta il problema di una legittimazione culturale. In termini più generali, persuadendosi (e non sono i soli ovviamente a doverlo fare) che non bastano i soldi a costituire il cemento di una qualsiasi comunità, che un accento esasperato sulla ricchezza accumulata o accumulabile può generare mostriciattoli o mostri. In termini più propri, devono inventarsi una rappresentanza adeguata e credibile anche dal punto di vista culturale. Soltanto un sistema politico non assestato, in perenne fase di transizione, inquinato dai vecchi vizi trasformistici, può consentire che la figura di un Bossi, da genio della barzelletta e dell'aneddotica locale, possa assumere una statura nazionale. Quando potrebbe farlo semmai qualche personaggio uscito dai romanzi di Piero Chiara. Non c'era di meglio per dare lo scrollone, Roma non meritava di più, ma bisogna pur capire che alla fine non basterà. Lo devono capire anche i politici nazionali che alla Bicamerale stanno affrontando per la prima volta in modo serio, discutibile ma perfezionabile, il tema del federalismo. La strada è quella, da percorrere senza dilazioni ma senza fretta affannosa, non lasciandosi condizionare dai ricatti secessionisti. Da chi pretende di decidere, con un dieci per cento dei voti, il destino dell'intera Padania, di assestare colpi mortali allo Stato con un referendum tra iscritti e simpatizzanti. Ascoltare e trattare può essere giusto e responsabile. Ma al di là di certi limiti, bisogna dirlo, non si gioca più. Lorenzo Mondo doj

Persone citate: Carella, Casson, Marchetti, Piero Chiara

Luoghi citati: Roma, Venezia