I rimpianti del diplomatico

I rimpianti del diplomatico m __■ I rimpianti del diplomatico m __■ •w -r TI a - - a a h-m—ia Veleni, strategie e segreti a Tirana IN TRINCEA NEI BALCANI TIRANA. Molti invidiavano Edith Piaf quando cantava «Non, je ne regrette rien» perché pensavano ai mille motivi per personalissimi rimpianti, amarezze, rammarichi. Forse per questo, ora che sta per gettarsi alle spalle l'avventura albanese, Paolo Foresti b vede tutti davanti a sé quei crucci e lo sa come non sia facile evitare le polemiche, i veleni, le accuse e soprattutto le tagliole che lastricano le strade d'Albania. Un nastro, con la sua voce e con quella di Tritan Shehu, uno che passa per essere un «falco», un irriducibile fedele al presidente Sali Berisha, al potere e a se stesso: è l'ultima trappola, quella che non è stato possibile evitare. E, secondo chi lo ha diffuso, quel nastro sarebbe la prova di intollerabili fornicazioni politiche fra l'ambasciatore e il presidente del partito democratico. «Vedo il contesto, vedo i veleni, vedo le difficoltà. Ma, davvero, si pensa che questo sia un attacco a me? 0 piuttosto non c'è una strumentalizzazione chiarissima, ampia? E allora... ». E allora, lui, quella canzone della Piaf non potrà cantarla. Lei è stato richiamato a Roma per consultazioni? «No, non mi risulta, non lo so: vedremo». Forse ha parecchi rimpianti, ma il più grosso sembra questo: aver detto sì, «essere venuto a Tirana e non essermi opposto come mi ero opposto fino a quel momento». Oltre tutto in quel tempo Tirana e l'Albania non erano quello che sembrano oggi: viste da Roma, quasi l'ombelico del mondo. Quando fu nominato, con le credenziali ricevette la promessa che sarebbe rientrato una volta soddisfatti incarico e periodo canonico. «Mah!, dopo un anno, neanche, ho mandato un resoconto di tutto quello che avevo fatto, che era molto di più di quello che mi avevano chiesto di fare». C'era da ricucire una tela senza neppure sapere se avrebbe tenuto. E allora giù a capofitto, nel lavoro. Con un'ambasciata che non dava l'impressione di essere attrezzata per un impegno così forte, e un consolato che quando ti fermavi a contemplarlo, ti sem brava un disastro. Eppoi, la con correnza che non ti lasciava respirare. Perché la partita non è mai stata soltanto fra Italia e Albania, lo sanno tutti che al tavolo siedono pure gli americani, che cercano di non farsi vedere ma di farsi sentire; e i tedeschi, che non hanno cessato di accarezzare sogni balcanici; e gb austriaci, che cercano radici improbabili; e i turchi che ricordano il passato; e i greci che cercano il futuro. E aUora non era possibile cambiare mano e Foresti rimase ancorato. «Dissi: "Attenzione che le attese che si stanno creando sulla mia persona, le aspettative, sono così grandi e così forti che io non ce la farò a resistere e voi mi metterete in grande difficoltà lasciandomi qui. Ho resistito 4 anni e 3 mesi». Faceva l'ambasciatore, che significa soprattutto fare gli interessi della nazione che si rappresenta, senza arricciare il naso se l'interlocutore del momento è sgradevole o, se è il caso, mostrando le unghie. Amico di Sali Berisha, dissero, quando la cosa non sembrava poi così grave ma diventò pure cittadino onorario di Valona, anche se ora i suoi volubili concittadini chiedono indietro il riconoscimento. Attacchi e lusinghe. A seconda del momento. Tutti affrontati da solo. E ora i primi hanno sommerso per numero le seconde, ora anche questa è cam¬ pagna elettorale o forse il modo per alzare certi prezzi, di per sé già salati. L'Itaba non soltanto fa parte deU'operazione «Alba», la comanda. E uno dei motivi che fanno infuriare molti, fra gli abitanti di Tirana e dintorni, è che non è stato possibile accaparrarsi i soldati europei. Non fino ad ora. La solitudine dell'ambasciatore è stata anche garanzia di questa indipendenza. Poi, in futuro, nei giorni del voto, sarà ancora più difficile. Perché se li ricordano tutti, anche Foresti, le ore roventi che scandirono le altre elezioni, lo scandalo dei brogli, l'Aventino scelto dai socialisti, le minacce, la polizia che allora non era evaporata come sarebbe successo a feb- braio, alla prima sommossa di piazza, ma aveva avuto la mano pesante. «E dettero un'immagine del governo, di Berisha, terribile all'opinione pubblica mondiale». E quella sera i socialisti si erano arroccati nella sede del partito e nessuno voleva andarci da loro. E ci andò Foresti, «alle otto e mezzo di sera. E tra gli applausi della gente che stava lì dentro e che gridava: "Paolo, Paolo, Paolo". Ma sappiamo bene: un giorno nella polvere, un giorno sugli altari. Non importa, quello che importa è che io mi resi garante della loro incolumità e libertà: li convinsi a tornare a casa con l'impegno che se mi avessero segnalato soprusi o altro, l'Italia sarebbe intervenuta immediatamente». Ora dicono che abbia fatto una scelta. Ma non gli rimproverano questo, piuttosto di aver sbagliato campo: Berisha e non i socialisti. Non ha mancato l'occasione per farsi sentire neppure Achille Occhietto, presidente della commissione Esteri: via Foresti da Tirana e via Berisha, ha tuonato. «A me interessa più il mio allontanamento che quello di un Presidente di Stato sovrano». Ecco, la solitudine dell'ambasciatore. E forse è tardi per illudersi. «Io sono una persona che ha il senso dello Stato. Ho scelto questa carriera perché l'ho voluta fare, per quello che significava idealmente. Mi trovo in questa situazione delicata e mi debbo porre il problema se difendere me stesso o se violare le consegne. Allora, spetterà a qualcun altro difendermi come finora mi ha difeso. E chi mi ha difeso, forse aveva le ragioni buone per difendermi». Il nastro, quello pubblicato dal giornale Indipendent e quello minacciato, dal contenuto «rosa». Già una volta un giornale d'opposizione pubblicò la foto di Foresti allacciato a una avvenente signora. E denunciò lo scandalo. Quella signora era la moglie dell'ambasciatore. Quel giornale era Koha Jone, lo sanno tutti, a Tirana che ha ricevuto un sostanzioso contributo dal finanziere Soros: dollari americani. «Gli americani? Ma no, non ho motivi per dubitare... ». Vincenzo Tessandori «Dovevo andarmene Mi chiesero di restare e io avvertii: attenti su di me pesano attese insostenibili» «Nelle ore terribili che seguirono le elezioni andai nella sede socialista e applaudito garantii la loro incolumità» Un soldato italiano a Tirana e Paolo Foresti Partita complessa dove al tavolo siedono anche americani, tedeschi austriaci e greci Un giornale ha già pubblicato foto «compromettenti» ma la donna era la signora Foresti