«Un trionfo, 6 mila soldati fanno il lavoro di 80 mila»

«Un trionfo, 6 mila soldati fanno il lavoro di 80 mila» «Un trionfo, 6 mila soldati fanno il lavoro di 80 mila» TORINO. L'Italia ha una politica estera? Sa definire quali sono i suoi interessi nazionali? E sa commisurare ai fini i mezzi per raggiungerli, o vive nell'arena internazionale alla giornata? Domande non accademiche con la politica mondiale che ci incalza e ci spinge a uscire dal bozzolo, pericoloso ma in un certo senso anche comodo, in cui siamo stati confinati fino alla caduta del Muro, cioè l'altroieri. Prendiamo il caso dell'Albania: quando le nostre truppe passano l'Adriatico a compiere la loro missione di pacificazione, hanno alle spalle una strategia coerente o vanno lì incrociando le dita perché tutto fili liscio? (la famosa dichiarazione di Andreatta: «La Forza multinazionale non potrà disarmare le bande ma mi auguro che la sua stessa presenza faccia da catalizzatore per il ripristino dell'ordine»). Per rispondere a questi e altri quesiti cruciali si sono dati convegno ieri alla Scuola di applicazione di Torino politici, militari e studiosi italiani di politica internazionale, quelli che in un altro Paese (gli Usa, ma anche vari Stati europei di rango) costituirebbero la «Foreign policy community» - ma che da noi trovano difil¬ colta a far decollare un vero dibattito nazionale su questi temi. Uno dei relatori, Carlo Maria Santoro, ha attribuito questo vuoto di pianificazione «alla debolezza e alla eterogeneità delle successive coalizioni di governo italiane, che impedisce di programmare alcunché». Gian Enrico Rusconi ha ricordato che la cultura cattolica e quella comunista, a lungo dominanti in Italia, sono a-nazionali (benché non antinazionali) e questo ha reso tabù ogni dibattito sull'interesse nazionale. Si è trovato d'accordo con loro Carlo Jean, co-organizzatore del convegno e figura di militare-intellettuale con molti libri all'attivo, cui abbiamo chiesto un'analisi articolata. Generale, l'«mteresse nazionale» non rimanda a una concezione cinica della politica estera? Non è più ((virtuoso» farsi guidare dai grandi princìpi umanitari, anziché dai biechi interessi egoistici? Non è un concetto superato in epoca di globalizzazione, e mentre l'Eu¬ ropa abbatte le frontiere? «Definirei questo tabù psicotico, più ancora che psicologico. Non c'è contraddizione fra il perseguimento dell'interesse nazionale e la cooperazione, o anche la progressiva unificazione, fra gli Stati. Anzi l'interesse nazionale è un "prius" logico all'integrazione europea, visto che il processo di Maastricht prefigura un approdo che è sostanzialmente quello dell'Europa delle patrie di de Gaulle, in cui gli Stati non scompaiono». Come valuta, su questo metro, l'intervento italiano in Albania? Lo trova un esempio riuscito di perseguimento dell'interesse nazionale? «Innanzitutto non ho dubbi che l'intervento andasse fatto. E quanto al risultato, finora si è ottenuto quel che ci si prefiggeva. Cioè: il ristabilimento di un clima politico accettabile, accompagnato da pressioni diplomatiche perché siano convocate elezioni democratiche. E questo con una Forza di 6 mila uomini, mentre il controllo complessivo del Paese ne richiederebbe 50 o forse 80 nula». Allora la scommessa di Andreatta, i soldati italiani catalizzatori di pace senza sparare, si può considerare vinta? «Per il momento sì. Il problema è che la videopolitica, la "Cnn-politics", spinge l'opinione pubblica a chiedere che le nostre truppe assumano in Albania compiti impossibili o impropri, come la protezione dei nostri imprenditori dai banditi». In quali altre arene l'Italia può perseguire al meglio i propri interessi nazionali? «Siamo una potenza economica, una media potenza politica, una piccola potenza militare. Concentriamoci sulla competizione geoeconomica». Un concetto che è stato poi esplicitato da Paolo Savona: «Nell'economia globalizzata, uno Stato di media grandezza non può più sperare di influire su variabili come i tassi di interesse o di cambio, decisi solo da americani, giapponesi e tedeschi - e domani dalla Banca centrale europea. Ma può ancora svolgere un ruolo in tre campi: promuovere l'istruzione, riformare la pubblica amministrazione, e favorire le alleanze internazionali fra gruppi industriali e bancari. Su questi compiti lo Stato italiano si deve concentrare». Luigi Grassia Il gen. Jean: «Basta con i tabù psicotici sui nostri interessi nazionali. Per il Tricolore la missione è un grande successo» Il gen. Carlo Jean è uno dei più attivi studiosi della politica estera italiana. Dirige il Centro Alti Studi Difesa, collabora con la rivista «Limes» e ha scritto molti libri fra cui il recente «Geopolitica»

Persone citate: Andreatta, Carlo Jean, Carlo Maria Santoro, Gian Enrico Rusconi, Luigi Grassia, Paolo Savona

Luoghi citati: Albania, Europa, Italia, Torino, Usa