Il serial killer Fa morir dal ridere
Il serial killer? Fa morir dal ridere Il serial killer? Fa morir dal ridere CHE cos'hanno in comune gli unghioni di Robert Englund (Freddie Krueger in «Nightmare») e il vomito dell'indemoniata Elke Sommer (nella «Casa dell'esorcismo» di Mario Bava)? Il Candyman nero (tratto da Clive Barker) e Vincent Price serial killer ispirato • alle sette piaghe d'Egitto nel1'(Abominevole dottor Pbibes» di Robert Fuest? Un po' di cattiveria. Un po' di terrore. Un po' di paranoia. Ma anche e soprattutto una portentosa risata. Perché dal cuore dei reprobi sgorga sempre un ghigno fragoroso. Perché i perfidi si divertono da morire a dare un sottofondo sardonico alle loro malefatte. La cattiveria, senza il pimento del riso, suona priva di gusto. Così come il comico contiene spesso il veleno della malvagità. Altrimenti non farebbe ridere pienamente. Or dunque l'interrogativo è il seguente: la cattiveria, l'eccesso sono costanti indispensabili per la sopravvivenza nel tempo del comico? Proveranno a trovare una risposta un pugno di convitati di pietra (Andrea G. Pinketts, Claudio Chiaverotti, Luciana Littizzetto, Maurizio Milani, Bebo Storti) al convegno di lunedì 26 maggio organizzato da Hiroshima Mon Amour in collaborazione con la Provincia di Torino (ore 19, nella Sala dei 500) al Salone del Libro. La risposta alla tavola rotonda potrebbe pendere per il sì. Perché come si può non sostenere che la malvagità sia più fotogenica? Più romanzesca? Più fihnogemca? Desdemona o Van Helsing (cacciatore di canini) non reggono il paragone con Jago o Nosferatu. Le buone azioni stimolano solo lacrime di partecipazione, e tutt'al più qualche sbadiglio. Mentre chi conosce il Freddie Krueger un tipetto aggressivo ma con uno spiccatissùno sense of humour
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