IMMORTALI FRA MORS E VITA di Giorgio Calcagno
IMMORTALI FRAMORS EVITA IMMORTALI FRAMORS EVITA LA parola vita in latino ha lo stesso numero di lettere della parola mors. Si potevano sovrapporre senza alterare il testo circostante sulla tavoletta usata più volte dallo scriba, cavarne bisticci e moniti. Reversibili, anche la parola mors poteva essere rovesciata in vita, dal poeta classico che contava nella posterità come dal monaco medievale che miniava l'antifonario davanti all'immagine del crocifisso «Mors et vita duello conflixere mirando», si affrontarono in un duello stupendo, gli suggeriva già allora l'inno composto nell'undicesimo secolo da Vipo, cappellano di Corrado II, che si canta ancora oggi nella nostra Messa pasquale. Dove, naturalmente, vince la vita. Se «il viver è un correre alla morte», come dice Dante, non c'è solo il germe della mors, nella vita; ma c'è una forte resistenza di vita, nella mors; e il duello non si combatte solo sui testi sacri. Proprio perché sa di scrivere immerso nel presente, lo scrittore ha sempre avuto il chiodo dell'immortale. «Immortels» si chiamano dai tempi di Luigi XIV gli Accademici di Francia. «Immortale» è l'attributo a cui ha più ispirato da secoli il poeta. «L'immortale» si intitola il primo racconto dell'«Aleph» di Borges, dove il protagonista, giunto dopo varie peregrinazioni in un villaggio di trogloditi, chiede a un povero cieco chi ha citato il nome di Argo, se ricorda qualcosa dell'Odissea: «Molto poco. Saranno passati mille e cento anni da quando l'inventai», è la risposta. Non c'è bisogno che la ricordi Omero. Il poema è di tutti, ha vinto la prova del tempo. Oggi nessuno ricorda il latino, fra la nuova gente di lettere digitante su Internet. Mors e vita non sono più sovrapponibui, da quando si è scoperto che la parola morte ha una lettera di troppo. «Scrivo per domani mattina», dichiarava anni fa Montanelli, in polemica con certi letterati della sua generazione che, con l'alibi dei posteri, ammannivano pagine illeggibili ai contemporanei. I giovani cresciuti alla scuola dei talk show televisivi non hanno tempo di aspettare neanche domani mattina. Scrivono per questa sera, e meglio per il pomeriggio, all'ora del tè, quando le signore più «in» li presenteranno nei loro salotti. Domani è un giorno lontanissimo, gli invitati saranno già altri, guai a perdere il turno. E la pazienza del dopo? Quella che ha dato l'immortalità a Leopardi, Proust, Joyce? Già, la pazienza del dopo: non fa bon ton, nemmeno nelle case editrici. («Eppure qualcosa soprawiverà», diceva Bulgakov, mentre gettava nel fuoco le pagine che si era imparato a memoria, perché non cadessero nelle mani della polizia stalinista. Le leggiamo oggi). Giorgio Calcagno
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