NON POTEVA NASCERE ALTROVE
NON POTEVA NASCERE ALTROVE PERCHE'A TORINO? NON POTEVA NASCERE ALTROVE PPERCHE' a Torino? Quando il Salone del Libro prese corpo, dieci anni or sono, venne subito fuori questa domanda, che non nascondeva l'irritata sorpresa. Perché proprio a Torino: non poteva, non doveva nascere altrove un Salone del Libro? Per esempio, in una città che raccoglie quasi tutte le soigenti dell'editoria, come Milano? Risposta, perché così. Perché «si sa sempre quando muore un grand'uomo, non si sa mai quando nasce», diceva il mio professore di filosofia al liceo. Aggiungendo: si sa sempre dove muore un grand'uomo, non si sa mai dove sta per nascere. Così come è inutile chiedersi dove nascerà la prossima grande mezzala che sostituirà- l'insostituibile Valentino Mazzola, perito a Superga: scriveva Carlo Bergoglio detto Carlin, grande cronista sportivo torinese nei primi Anni 50, quando il lutto per quella perdita era ancora cocente, e la sostituzione ancora non si vedeva. Aggiungeva poi: chi l'avrebbe detto che da una semplice lavandaia sarebbe nato Leonardo? Questo non l'ho mai controllato: se sia vero di fatto, nel caso specifico. Ma è certamente vero in generale. Riconosciamo la sua parte al caso, che regola il mondo. Che cosa aveva in particolare Praga, perché lì nascesse Kafka? 0 Dublino, perché lì nascesse Joyce? A posteriori, certo, si trovano tutte le ragioni, anche troppe. Ma prima, chi avrebbe osato prevederlo? Sono nati lì perché lì hanno voluto nascere. Così è stato. Il Salone di Torino è nato a Torino perché è nato a Torino. Punto e basta. Però c'è chi ne è stato contento, chi ne è stato scontento. Io ne sono stato, dieci anni fa, sorpreso e contentissimo. Innanzitutto, per quella ragione sentimentale cui accennavo prima. La tragedia di Superga è stata un trauma per tutti quelli della mia generazione. Anche per chi, come me, è tifoso da sempre della Juventus? Certo, anche per noi juventini. Per quel che la Juve rappresenta a torto o a ragione, per noialtri (ed anche per altri). Quella aristocratica eleganza nelle manovre, quella sparagnila organizzazione di gioco (gli aristocratici non sono mai sciuponi). Dove per aristocrazia s'intende naturalmente non una classe privilegiata e parassitaria, ma una selezione dei migliori, che il loro primato se lo sono conquistato con il merito. E lo esercitano con discrezione. Aristocratico l'antifascismo torinese. Da Galante Garrone a Bobbio. A Carlo Levi: il primo torinese che ho conosciuto - emozionandomi subito - quando venne in Lucania, lui che in Lucania era stato confinato, per le prime campagne elettorali del dopoguerra. Aristocratica l'editoria torinese. L'Einaudi in particolare. Nei confronti della quale nutrivamo un vero e proprio timore reverenziale. Aristocratica ci sembra ancora oggi (sbagliando forse per eccesso, ma pazienza) l'intera cultura torinese. Con gli occhi sempre aperti a ciò che si fa fuori - fuori di casa, fuori d'Italia - ma con i piedi sempre saldamente per terra. Anzi nella terra. Come per l'appunto nella tradizione degli Einaudi, che la terra la sapevano coltivare e rispettare. Ho elencato alcune delle ragioni della mia personale predilezione per Torino. In queste ragioni non è difficile ravvisare un alto tasso di provincialismo. E allora? Chi ha detto che nel provinciali-
Persone citate: Bobbio, Carlin, Carlo Bergoglio, Carlo Levi, Einaudi, Galante Garrone, Kafka, Valentino Mazzola
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