ARPINO COLLEZIONISTA DI ANIME INFUOCATE di Bruno Quaranta

ARPINO COLLEZIONISTA DI ANIME INFUOCATE ARPINO COLLEZIONISTA DI ANIME INFUOCATE Un testimone senza paura del nostro tempo CRITTORE perché «vittima di ogni attualità possibile», perché insofferente di qualsivoglia grillo proustiano o culto dell'io. Giovanni Arpino, a quasi dieci anni dal passo d'addio, il 10 dicembre 1987, lo stesso giorno in cui esordisce il suo capo d'opera, La suora giovane, risalta come un «a sé» fra gli uomini di penna, le «belle lettere» che coltiva non sconfinano negli sterili esercizi accademici, piuttosto sono il riflesso di un nocciolo morale avvolto nel «massimo riserbo», a ragione il suo pseudonimo. «Una bisbetica probità»: il segno distintivo di Arrigo Cajumi, altro inegolare di scuola subalpina, identificato da Pietro Paolo Trompeo, è lo stesso di Arpino. Dove sta, in lui, la probità? Nel «parodiar l'inferno». Avvertiva: «Compito magnifico e magnificamente disperato. Forse per evitare afflizioni e fatiche, diversi romanzieri, anziché occuparsi dell'inferno umano, fuggono nei secoli andati o si precipitano in quelli futuri o insistono coi loro GIOVANNI ARPINO: LA CRONACA SI FA ARTE NARRATIVA E STORIA Sabato, ore 16 Sala Londra Intervengono: G. Bàrberi Squarotti Cristina Bragaglia Sandro Ciotti Cesare De Michelis Mario Monicelli Alberto Papuzzi mesti rintocchi da pieve antica». Docente di ansie umane, «impavido indagatore del presente», secondo Piovene, bracconiere di caratteri, custode della lezione di Stendhal che le neoavanguardie ancora non hanno capito: «Nel romanzo le vicende non significano niente, commuovono e basta; poi si dimenticano. Ciò che invece bisogna ricordare sono i caratteri». (Anche se Montale avvertiva: «I suoi libri si fanno leggere e si ricordano»). Stendhal. E Balzac. E Gogol. E Flaubert. «E' a lei, alla cronaca, che deve tutto la storia che nasce e cresce», sapeva Arpino, come lo sapevano i «maggiori» dell'Ottocento. Ecco perché elevò a epigrafe dell'estrema, postuma «fetta di vita». La trappola amorosa, questi versi di Herbert: «Hanno avuto la bontà d'assegnarmi / il ruolo minore di cronista...». Testimone del nostro tempo, sentinella del qui e ora, randagio, sempre all'erta, anarchico (anarchico conservatore alla maniera di un lontano Jean Gabin e di un confrère amatissimo, Indro Montanelli). Dominante, il cromosoma dell'avventura, della sfida, retaggio dei riottosi avi piemontardi emigrati a Marsiglia «per diventarvi - ricordava - commercianti di cipolle, caramellai patentati, giardinieri. Non tutti, però: qualcuno preferì certo calarsi nel copione dei "duri"», ancorché immaginari e immaginifici (e il pensiero corre a un complice in eccentricità, Giancarlo Fusco). Era un presbite, Arpino. 0 un «sensitivo». 0, semplicemente e drammaticamente (non è indolore scoprirsi fra «color che sanno»), un sensibile. Negli Anni del giudizio lascia intravedere la metamorfosi operaia, il destino di una difficile maturità. La Nuvola d'ira annuncia il tumulto sessantottesco. Il fratello italiano anticipa la rivolta - anche violenta contro la droga, allora omaggiata (1980) di colpevoli tolleranze, di corrosivi flirt. Passo d'addio è il bisturi che apre un varco nell'eutanasia (un tema, non una tesi, un grumo narrativo, non sociologico, non etico, non giuridico), è il grido lacerante che afferma con vigore «il diritto di finire come si è vissuto, di non essere abbando- Dalla «Nuvola d'ira» al «Fratello italiano»: un viaggio nell'inferno umano fino al «Passo d addio» UNA LETTERA «Il sì di Vittorini» Da una lettera inedita alla futura moglie (7/10151) CARA Rina, sono solo in questo ufficio pieno di polvere, è domenica, cielo basso, grigio con aeroplani, fuori in cortile c'è il quadrato delle truppe intomo al prete per la messa, ho finito di firmare un sacco di permessi al posto dell'ufficiale (firmai fino a mezzanotte, un giorno o l'altro vado dentro per questo, ma chi se ne frega). Ti riporto la lettera di Einaudi arrivatami ieri: «Caro signor Arpino, siamo lieti di comunicarle che il suo romanzo "Sei stato felice Giovanni" è molto piaciuto a Elio Vittorini. Riportiamo dagli appunti di Vittorini: "Neorealismo con parolacce, però con una vera città dentro e della vera gente (e dire che io dicevo di no, che non c'ero riuscito bene) mica roba tirata su aiutandosi con i ricordi del cinema. Il dialogo hemingwayano senza falsi pudori: se ne frega di lasciarlo vedere, e allora devi dire che fa bene. Mi sembra insomma un buon libro. Qualche difetto di monotonia (nei primi capitoli) e di compiacimento potrebbe essere eliminato. Per questo sarebbe bene parlare con l'Autore". Pensiamo perciò di combinare un incontro tra Vittorini e lei (...). Giulio Einaudi». Fine. Non c'è male davvero, e dire che io non ci credevo poi troppo a questo libro. Il prossimo sarà meglio, se avrò te. Giovanni nati alle forze naturali, ormai corrotte e nemiche». Collezionista di anime, Arpino, di anime perse come lo zio-ingegnere della necrosi borghese che piacque a Borges. Perse, ovvero? Non sdilinquite, non decadenti, non invertebrate, non gemelle del Gilles di Drieu de la Rochelle. Perse, non «perdute», ovvero, come poetò l'Alighieri, «infuocate». Arruolate nella «dura tristezza» di Bra, il paese materno, lui che nacque a Pola su ordine del Regio Esercito (là stava il padre colonnello il 27 gennaio 1927). O scal¬ pellate in una «malamata» Torino, la città-patria. O inseguite nell'universo mondo. Anime, le creature di Arpino, che via via si congedano dal corpo e così dal nostrano barnum, scipito e bolso. Non a caso prediligeva La coda della cometa, la parabola di Italo Cremona dove il genere umano paga con la scomparsa «le agghiaccianti banalità» macinate a dirotto. Sboccia in un albero che darà frescura a una tribù di poveri vecchi l'evangelico Giuan di Randagio è l'eroe, evapora Saverio Piumatti, il tassista di II primo quarto di luna, svanisce il favoloso Domingo, salvo manifestarsi nel tronco nero della vite o nella lama scintillante del coltello o nelle foghe solcate da un filo d'aria docile. «Tu corri inventa cerca cambia tempesta ma torna a trovarmi, un giorno, io sono sempre qui Domingo». Non c'è remora nel commiato di Arpino. Lo scortò come un unguento la verità di Savinio: «Che importa morire? Ormai noi abbiamo il sapore in bocca dell'immortalità». Bruno Quaranta

Luoghi citati: Arpino, Bra, Marsiglia, Pola, Torino