Attenzione ai sentimenti di Masolino D'amico

Attenzione ai sentimenti «Il principe travestito» di Marivaux, produzione dello Stabile torinese Attenzione ai sentimenti Le trovate registiche della Pezzoli e Arlecchino, comico che non fa ridere TORINO. Stimolante l'iniziativa dello Stabile di presentare nella stessa stagione «Ù principe travestito» di Marivaux e «Pelléas e Mélisande» di Maeterlinck, ossia due delle più estrose dissertazioni sulla natura dell'amore e dei rapporti amorosi che esistano in lingua francese, scritte l'una prima l'altra dopo il Romanticismo, rispettivamente dunque in chiave di fiducia nella parola e nel trionfo finale della chiarezza, e di malattia e crisi di tale fiducia. Purtroppo però entrambi questi coleotteri rari e preziosi sono capitati a tiro di registi che invece di trafiggerli con uno spillo sottile li hanno spiaccicati a bastonate, e quindi incatenati sulla griglia di costruzioni prepotenti. Marivaux - è il suo turno - come si sa operò sempre in economia, le sue commedie si svolgono fra pochi personaggi e in ambiente unico e indeterminato: oltre ad apprezzare questo, la nostra epoca lo ha liberato dal cosiddetto marivaudage, ossia da quel tono frivolo e banalmente luccicante che gli veniva applicato come un settecentismo di maniera. Ora, la talentuosa Cristina Pezzoli non commette l'errore di non prendere Marivaux sul serio, e fa pronunciare con scrupolo l'accurata versione di Roberto Buffagni. Ma poi invece di agevolare l'ascolto cercando la scorrevolezza e l'agilità, appesantisce e allunga (190' con un intervallo!), per esempio con gli interventi di un ininfluente falsettista, ovvero incoraggiando le corse e i rotolamenti per terra di un Arlecchino molesto (se un comico non fa ridere, tagliare!). Più di tutto però a schiacciare la delicata farfalla ci si mette una scenografia di Giacomo Andrico tanto ingombrante quanto controproducente. Dietro un rombante sipario metallico a forma di ghigliottina - condanna sui giochi spensierati di questi aristocratici, benché settant'anni separino la commedia dalla Rivoluzione, e oltretutto l'azione si finga in Spagna - ci sono prima un palazzo patrizio incombente sul palcoscenico come una Torre di Pisa, poi una specie di isolotto sospeso con alberi quasi orizzontali e tappeti di rosse foghe d'autunno, infine un misto dei due luoghi. Ignorando la rninaccia di un mondo che sembra volergli cascare addosso, i personaggi oltre a sdraiarsi o accoccolarsi ogni tanto - non ci sono mobili - camminano sui dislivelli come la salita che segue l'andamento della lama della ghigliottina: qui il piccolo Arlecchino biancovestito si mette spesso in posa di profilo come Snoopy quando gioca a fare l'aviatore. Si vorrebbe dimenticare gli strani posti per seguir meglio il dialogo, ma la Pezzoli non lo permette, continuando a variare i colori con le luci, creando ombre che nascondono il viso degli attori, e perfino imponendo un buio progressivo nel lunghissimo secondo atto. La commedia parla di un principe di Leon in incognito che ha fatto innamorare di sé una principessa di Barcellona, della quale diventa rapidamente ministro suscitando le gelosie di un vecchio cortigiano; di lui si innamora però anche Ortensia, vedova e dama della principessa. Indeciso fra le due, il principe travestito finisce per scegliere la seconda, mentre la principessa accetta le profferte del re di Castiglia, venuto a presentarle di persona fingendosi il proprio ambasciatore. Intanto Arlecchino, servo del principe, si lascia corrompere dal vecchio cortigiano per danneggiarlo, ma poi si pente e il suo istigatore viene scornato. Dal riassunto sembra che avvenga qualcosa, in realtà siamo sempre sospesi in una sfera dove contano solo i sentimenti e dove chi li prova sa parlarne con eloquenza, il punto d'arrivo essendo il momento in cui tutti capiscono quello che vogliono. Ora, non dico che il pubblico, attento e discretamente plaudente alla fine, non si renda conto di questo; dico però che subordinando il delicato gioco dialettico alla prepotenza delle immagini e di qualche trovatina registica, la Pezzoli fuorvia, mettendo anche in imbarazzo alcuni dei suoi interessanti attori, fra i quali solo Sara Bertela come la principessa e Luciano Virgilio come il geloso ministro Federico azzeccano la giusta nota di composta e articolata malinconia. Infatti Bruna Rossi nella splendida parte di Ortensia pare soprattutto preoccupata di snocciolare rapidamente le sue non facili tirate; Sergio Romano, trasandato come uno spadaccino povero nell'unico costume deludente di Nana Cecchi, non cerca nemmeno la nobiltà del suo Lelio; Massimiliano Speziani è eroico nel continuare a tentare di spremere qualcosa dal suo Arlecchino. Ma forse la passione per Marivaux mi rende incontentabile. Si replica fino al 7 giugno. Masolino d'Amico Qui accanto Sergio Romano, Lelio e principe di Leon, in un momento del «Principe travestito» di Marivaux. Sotto Bruna Rossi, che è Ortensia

Luoghi citati: Barcellona, Spagna, Torino