«Ergastolo per gli assassini di Falcone»

«Ergastolo per gli assassini di Falcone» Caltanissetta: chiesto il carcere a vita per 32 imputati e 30 anni per Brusca, l'uomo del telecomando «Ergastolo per gli assassini di Falcone» La requisitoria deipm nell'anniversario della strage CALTANISSETTA DAL NOSTRO INVIATO I nomi di boss e gregari risuonano uno dopo l'altro nell'aula-bunker fatta d'acciaio e vetri blindati, dove i neon non lasciano spazio alla luce del sole. «Riina Salvatore, Santapaola Benedetto, Agate Mariano, Madonia Giuseppe...» e via di seguito gli altri componenti delle commissioni regionali e provinciali di Cosa nostra. «Chiediamo per ognuno la pena dell'ergastolo», dice il pubblico ministero Paolo Giordano, che li ritiene responsabili dell'eccidio di Capaci, i cinquecento chili di tritolo che il 23 maggio di cinque anni fa dilaniarono Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, e gli agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo, Vito Schifarli. Riina non c'è, Santapaola e Agate, dalle loro gabbie, ascoltano senza reazioni. Subito dopo tocca agli esecutori materiali della strage: «Bagarella Leoluca, Ganci Domenico, Biondo Salvatore...» e tutti gli altri, anche per loro la richiesta è il carcere a vita. Bagarella c'è, seduto nella terza gabbia a sinistra, jeans, scarpe da ginnastica e camicia che gli tira sulla pancia. «Tutte fandonie, la gente per uscire di galera si vende pure a sua madre», è il suo commento sprezzante. Cinque anni fa - secondo l'accusa - dopo aver organizzato la strage con tanto di sopralluoghi preventivi, stava nel suo rifugio ad aspettare la telefonata che annunciò la missione compiuta; adesso, dietro le sbarre che lo separano dal mondo, ascolta impassibile questa nuova richiesta di ergastolo, dopo essere stato redarguito dal presidente perché non s'era alzato in piedi all'ingresso della corte d'assise. Poi tocca a Giovanni Brusca, l'uomo che azionò il radiocomando mortale, sedicente pentito di cui la procura di Caltanissetta non si fida: ha mantenuto «un ruolo ambiguo», pur ammettendo le sue responsabilità e quelle di altri responsabili della strage. «Trent'anni di reclusione», chiede il pubblico ministero, che calcola per lui le attenuanti generiche ma non quelle previste dalla legge sui collaboratori di giustizia. Ed ecco i pentiti «doc», quelli che hanno contribuito a svelare la trama che ha ucciso Falcone e le altre vittime di Capaci. «Per La Barbera Gioacchino, Cancemi Salvatore e Di Matteo Mario Santo chiediamo la pena di anni 13 e mesi 6 di reclusione», annuncia il pm, 14 anni e mezzo per Calogero Ganci, 15 anni per Giovambattista Ferrante. Le richieste della pubblica accusa sono terminate, trentadue ergastoli in tutto, a poche ore dal quinto anniversario della strage di Capaci. E' una requisitoria, ma anche un modo concreto per commemorare con i fatti e senza retorica il «nemico numero uno di Cosa nostra, oltre che un maestro e una guida morale», ucciso con sua moglie e gli uomini della scorta che nulla poterono contro il tritolo mafioso. Cinque anni dopo, la magistratura inquirente ricorda così Giovanni Falcone, insieme agli investigatori che hanno messo in piedi un'indagine «storica» per metodi usati e risultati raggiunti, con la «confessione» degli assassini incisa sui nastri della microspia piazzata dalla Dia nel loro covo palermitano; e con le ammissioni dei pentiti che, una volta scoperti, hanno raccontato per filo e per segno come morirono le vittime di Capaci. Cinque anni, un'inezia nel Paese delle stragi impunite dove ancora vengono centellinate rivelazioni vere e presunte sulla bomba di piazza Fontana, 1969, e nel Paese dalle latitanze ultra-ventennali. Cinque anni dopo quel sabato pomeriggio, l'accusa chiede l'ergastolo per esecutori e mandanti che - tranne Aglieri, Provenzano e Spera, e a parte i pentiti, scarcerati su ordine della magistratura - adesso stanno in galera. Alzi la mano chi, la sera del 23 maggio 1992, davanti alle immagini delle auto sventrate sull'autostrada Punta Raisi-Palermo, credeva che oggi avrebbe letto sui giornali queste richieste di con¬ danna con nomi e cognomi; e chi immaginava che boss considerati imprendibili come Riina, Bagarella, Santapaola, Graviano, avrebbero ascoltato queste richieste dentro le gabbie o nelle celle delle carceri speciali. Eppure è così, e i volti impassibili ma tesi degli imputati presenti in aula - ci sono pure, distribuiti uno per gabbia, Salvatore Biondo, Antonino Troia e Salvatore Sbeglia, che se l'è cavata con una richiesta a 14 anni di galera per la sola associazione mafiosa - ne sono la prova. Ma l'indagine non è fi¬ nita, l'inchiesta continua, anche se - spiegano i pm Giordano e Tescarroh - «non è poca cosa aver trovato elementi concreti contro gli esponenti di spicco della mafia». C'è un altro livello da scoprire, e Giordano lo dice chiaramente: «Mancano i mandanti dal volto coperto, come sostiene qualcuno con grande lucidità. E noi non ci fermeremo, andremo avanti sperando che la buona stella continui ad assisterci, come è successo finora». Il pm parla di «complicità e contiguità di apparati dello Stato» con gli uomini di Cosa nostra. Fa un accenno a quel Paolo Bellini citato nella lettera scritta dal boss Nino Gioè prima di suicidarsi, «un infiltrato che faceva il doppio e il triplo gioco». E parla del contesto storico particolare in cui morì Giovanni Falcone, «un momento di ingorgo istituzionale, con le elezioni politiche appena svolte e le trattative per formare il nuovo governo, le dimissioni del presidente della Repubblica Cossiga e la scelta dei suo successore, i riflessi dell'omicidio di Salvo Lima e le prime indagini su Tangentopoli. E' un caso che Giovanni Falcone, obiettivo della mafia fin dal 1982, venga colpito a morte nel maggio del '92?». No, per la procura di Caltanissetta non può essere un caso, e l'inchiesta-bis sulla strage di Capaci dovrà fornire altre risposte. Ma per adesso si tratta di chiudere questo processo, e ottenere le prime condanne per mandanti ed esecutori materiali. Oggi e domani toccherà alle parti civili, poi alle difese dei trentanove imputati. La sentenza dovrebbe arrivare subito dopo l'estate. Giovanni Bianconi IL CORAGGIO [dì Consoli-Finardi] // coraggio è una corda [lanciata nel mare A cui potersi aggrappare Nella tempesta di parole Che ci potresti annegare Il coraggio è viver [controvento E' vivere contento E nonostante tutto [stare qui A dire: «Comunque vada lo sono pronto» i r; ' ia a è T" ita e nj ci . i! G Alternai per; ysrtfì' care ia -óarlenza ■é\ falcone, c'è Giotto Sdss ..MllfNl4~ A Palermo, m per verifi Wé'T" l'uscita delle eruto che vànino a prendere Folconejall'uoroporto ci : sono SSoswe» bsEw» ©orasi, che segue il corteo fina; all'imbocco del "autostrada, e Catogoro ftaniti; che arriva fino ! all'aeroporto. Salvatore CanccmJ e RaSloele ©csnel rimangono in i città limitandosi a Verificare la partenia delle auto. ; - f < All'aeroporto èì Punta Haiti, bd attendere l'arrivo di Falcone, Giovambattista • Ferrante e Salvatore Stando. Da Punta Raffi fino a poco prima dello svincolo per Capaci ! /—^ i) corteo dt auto conFalcono Viene seguito, lungo 1 r una via che costeggio r l'autostrada, da Gioa««hjne ÌM iBarbaraj:—f H r~: • 1 r Sulla collina di Capati, ad attendere il cortèo dì macchine per far esplodere la carica: Giovanni Brusca, che ctz iona jl radiocomando per l'esplosione; intanine fèlaè, Giovanni Battaglia. : ieeiecffl BogareSEIà e Salvator J" • s^:jBlo|i(ilno_pgrtecìparonoj. f^dj? òlla fase preparatorio con fi Jf sopralluoghi sul postò J Se?, ~ dell'attentato." r *m*m «arHfic^rew^confézionpndo! ìfu\ \ 14 KKJiocornandt. —1.~—|. Cpme manìianti vengonoì indicati, in qualità di oppartenenti alla co.rtmis- | sione regionale di Còsa f Nostra: Salvatore Riina, Maria» 9 . io Agate, ! Giuseppe SantcspaolE; in qualità di membri della commissione provinciale dì Palermo di Cosa Nostra: Pietro Aglieri, Bernardo Bri»- j ssa, Satvatofe gSuMsml, Giuseppe Calò, Giuseppe Farinel» io, Antonine Gerad, Antonino Giuffrè, FUSpeo Graviano, €ar- Itera, Giuseppe tuàiioso, fran° «esso Madonia, Giuseppe Montaldo, Salvatore Montatelo, Matteo Motlsi, Bernardo Pro» venzano e Benedetto Spera,