Jospin: «Europa fidati la mia Francia non tradirà»

A tre giorni dal voto il rivale di Juppé lancia la sfida: «Il governo è senza programma» A tre giorni dal voto il rivale di Juppé lancia la sfida: «Il governo è senza programma» Jospin: «Europa fidati la mia Francia non tradirà» LPARIGI IONEL Jospin, negli ultimi giorni della campagna elettorale lei sembra voler abbandonare le residue cautele alzando il tiro contro la politica governativa. La definisce «un ufficio oggetti smarriti: programma perso per strada, primo ministro in panne, idee vaghe sulla nuova legislatura». Davvero nulla da salvare nel bilancio Juppé? «Lascio parlare le cifre, disastrose. In quattro anni di governo - dunque includendo anche il biennio Balladur - il tasso di sviluppo è sceso all'1,2%, record negativo europeo. Abbiamo 450 mila disoccupati in più, su cui 320.000 frutto dell'era Juppé. I lavori precari sono passati dal 5 al 9%. Il potere d'acquisto per i salariati è sceso dello 0,4% annuo. I prelievi obbligatori hanno conosciuto infine un aumento del 2%, raggiungendo quota 45. Ciò malgrado, la Francia registra un deficit pubblico in crescita devastante (2100 miliardi di franchi nel 1992, tre miliardi e mezzo l'anno scorso). Ritiene esista un altro termine, se non "scacco", per sintetizzare la situazione?». Domenica sembra profilarsi uno scrutinio senza vincitori assoluti. Decisivo sarà dunque il secondo turno. Su quali armi punta per convincere gli incerti a votare socialista e agganciare elettori tradizionalmente lontani dalla Gauche? «A destra come a sinistra, l'elettorato tradizionale è sempre meno rappresentativo. I cittadini votano ormai - e lo ritengo un bene - carte in tavola, esprimendosi su bilanci e proposte precisi. Ecco perché noi del ps accordiamo un'importanza superiore alla nozione di programma. Il nostro esiste. L'abbiamo distribuito in nove milioni di copie. E credo sia suscettibile di mobilitare la maggioranza dei francesi. Curiosamente, la coalizione uscente ha fissato la data delle elezioni anticipate ma omettendo di presentare un vero programma. E' una rottura inquietante con la nazione, indice di vero declino politico». Il suo programma - in particolare i famosi 700 mila nuovi posti di lavoro nella funzione pubblica su cui lo stesso ex premier mitterrandiano Michel Rocard non nasconde lo scetticismo - viene accusato di demagogia e impraticabilità economica. Per attuarlo, si dice, occorreranno fra l'altro nuove tasse. Che cosa risponde ai critici? «Monsieur Juppé è il recordman storico - e senza limiti di categoria - della pressione fiscale in Francia. Il peso delle tasse (in particolare quelle che gravano sui consumi popolari) non è mai stato gravoso come sotto il suo governo. Questo tragico errore d'impostazione ha finito, strangolando la domanda, per uccidere lo sviluppo e accrescere ancora la disoccupazione, aggravamento - quest'ultimo - fonte di ulteriori deficit. Se la maggioranza attuale vince le elezioni, con ogni probabilità decreterà nei prossimi mesi un'aggravamento dei prelievi fiscali. E' un circolo vizioso mortale, originato da una analisi fuorviarne sulla situazione economica francese e da una inaccettabile priorità data alla finanza sull'impiego. Quanto a noi, ci siamo impegnati solennemente a non aumentare la pressione fiscale. E manterremo questa promessa. Intendiamo sì iniettare un ulteriore potere d'acquisto che rilanci la macchina economica, ma lo faremo senza aggravare i conti pubblici, ovvero riorientando le masse finanziarie esistenti e varando una riforma della fiscalità che ridurrà l'impatto sui consumi popolari». Dopo lo slancio iniziale, la convergenza con il pcf vi crea non pochi guai, eTarrivo al governo dei comunisti sembrerebbe imbarazzare la vostra azione politica. Il ps riuscirà davvero a federare, come l'Ulivo, la sinistra e parte della galassia verde? «Le domande sui "ministri pcf non ci imbarazzano per nulla. Bisognerebbe, in ogni caso, rivolgerle ai diretti interessati: sono davvero pronti a partecipare a un governo, testimoniandogli coerenza e solidarietà durevoli? Non abbiamo alcuna opposizione di principio contro la loro eventuale presenza nell'esecutivo. Sono stati associati al potere dal '44 al '46 e - ancora - dall'81 all'84. E in entrambe le circostanze la Francia se l'è cavata piuttosto bene. In ogni caso, abbiamo concluso con il pcf un accordo elettorale e non di governo. Venuta l'ora, starà ai comunisti dirci se pensano di poter andare più lontano. Conoscono in ogni caso i Umiti che non voghamo oltrepassare: sull'Europa e i deficit pubblici, per esempio. Voglio sottolineare che i socialisti non avanzano alcuna rivendicazione d'egemonia. La sinistra francese è, storicamente, pluralista. Ma il ps ne costituisce, insieme, il partito più influente e la componente centrale. Mi lasci citare le comuni "Assise per la trasformazione sociale" tenutesi nel '95 e '96, come la serie di preziosi accordi bilaterali: intesa programmatica con i Verdi, piattaforma politica con il pcf, intesa con i radical-socialisti, accordo elettorale con il Movimento dei cittadini. Restiamo vigilanti per evitare velleità egemoniche, ma sappiamo in compenso che è nostra responsabilità fornire una colonna vertebrale solida all'intera Sinistra». Rispetto alle presidenziali '95, le vostre posizioni sull'Europa brillano per cautela e distinguo. Al punto che ricevendo martedì sera Helmut Kohl, Jacques Chirac ha sottolineato implicitamente la necessità per la Francia di tirare diritto senza compromettere il processo europeo rafforzando chi - come voi - lo indebolirebbe. Che cosa ne pensa? «Da 40 anni i socialisti francesi si trovano agli avamposti della costruzione europea. Ma ci attende una nuova tappa. Diversa. Non possiamo accettare il corso "liberale" che, dopo il trattato di Maastricht, è stato impresso alla preparazione della moneta unica. Da quattro anni a questa parte, gli eccessi ultraliberali hanno raggiunto un'ampiezza tale da rendere necessaria una severa correzione di rotta. Questa circostanza ci ha obbligato a porre, in maniera più decisiva che mai, la domanda seguente: "Che Europa vogliamo?". Maastricht prevedeva la creazione di un "governo economico" responsabile della politica economica comunitaria al fianco della Banca Centrale. Ma oggi i governi conservatori l'hanno dimenticato. E hanno innestato sull'euro un "patto di stabilità" non previsto dal trattato, che mira a garantire una proroga alle politiche largamente responsabili della disoccupazione in Europa. Rileviamo, al contempo, il mediocre risultato dei lavori che dovevano preparare la Conferenza intergovernativa. Temo che il prossimo vertice di Amsterdam partorisca un topolino. Il senso delle quattro condizioni cui subordiniamo la messa in opera dell'euro nei termini previsti da Maastricht è semplice. Se non incanaliamo la costruzione europea in una prospettiva più sociale, l'Europa correrà il rischio sommo: quello di essere respinta dai suoi popoli. Bisognerà allora, oltre al già ricordato governo economico, evitare un eccessivo apprezzamento dell'euro sul dollaro, inserire un "patto per l'impiego e la crescita" da abbinare a quello per la stabilità, infine rendere irrinunciabile la partecipazione di Italia, Spagna e - se lo desidera Gran Bretagna. Roma ha coraggiosamente intrapreso il risanamento delle sue finanze. L'esclusione italiana dall'euro non avrebbe altra conseguenza che la creazione di una zona monetaria franco-marco incapace di servire la causa - ripeto - dell'impiego e dello sviluppo. Nella primavera '98 verranno esaminate le convergenze economiche e di budget fra i Quindici: ma è fin d'ora chiaro che si tratterà in larga misura d'una valutazione politica». Enrico Benedetto «A Kohl dirò: badiamo non solo alla moneta ma pure all'occupazione» «Non è demagogia Possiamo creare 700 milaposti per i giovani» Il leader del partito socialista francese Lionel Jospin è stato sconfitto di misura due anni fa da Jacques Chirac nella corsa all'Eliseo Ora ci riprova con le legislative INTERVISTA IL LEADER SOCIALISTA

Persone citate: Balladur, Enrico Benedetto, Helmut Kohl, Jacques Chirac, Jospin, Kohl, Lionel Jospin, Michel Rocard