Gli equilibristi di Ankara di Foto Reuter

Gli equilibristi di Ankara Gli equilibristi di Ankara Dietro Erbakan l'ombra di Hezbollah ■ L primo incidente accadde il I giorno stesso in cui Necmettin H Erbakan assumeva la guida del nuovo governo, nell'ottobre dell'anno scorso. Un microfono indiscreto catturò 0 seguente scambio di battute: «Adesso ci occuperemo della Ciller», fa il presidente ad uno dei suoi seguaci. L'islamico risponde: «E subito dopo della democrazia». Adesso che la «democrazia» gioca d'anticipo, per la Turchia e tutto quel che Ankara significa negli interessi europei si apre una partita feroce. Il «Refah», o partito del benessere, unico raggruppamento islamico che in Europa abbia assaggiato il potere, in pochi mesi potrebbe essere messo fuori legge. Fin d'ora appare molto improbabile che la Corte Costituzionale abbia il tempo di decidere «con la massima oggettività», come il suo presidente promette. Le straordinarie misure di sicurezza decise da polizia ed esercito dicono da sole cosa la Turchia si aspetti. Ieri s'è iniziato un conto alla rovescia nel quale l'apparente bonomia, l'empirismo, le doti equilibristiche di Erbakan non saranno più sufficienti, né al «Refah» basterà celare riflessi d'integralismo dietro sindaci che fanno funzionare la nettezza urbana o grandi «networks» televisivi spalmati di modernità. «Queste sono semplici accuse che nulla hanno a che fare con la verità», ha detto il premier prima di infilarsi in una riunione. Più o meno la stessa reazione mostrata due mesi fa, quando con un colpo di mano il Consiglio di difesa aveva imposto al governo «regole di comportamento». Allora Erbakan finse di abbozzare, anche se applicare quel diktat per il «Refah» significava perdere la stessa ragion d'essere. Adesso non può farlo più. Già una volta gli era accaduto di trovarsi in un partito sciolto d'autorità: era l'estate 1971, ed entrato in politica da appena due anni l'allora giovane ingegnere era stato messo fuori gioco da un colpo di Stato. Il «putsch» successivo, quello dell'80, l'avrebbe visto finire anche in prigione, sia pure per poco. In quegli anni l'islamismo politico di "Turchia era ancora nella fase infantile: gente che arrivava dalla provincia (segnatamente quella di Konya, di cui Erbakan è originario), che tentava di agire con strumenti arcaici e soprattutto rivelava una tragica mancanza di mezzi. Nella laurea e poi nella lunga attività in Germania, l'ingegner Erbakan si era però specializzato sui motori Diesel, e questo doveva avergli insegnato qualcosa su concetti quali durata, resistenza, affidabilità. Eccolo ricomparire sulla scena politica nell'83, questa volta alla guida di un partito che resta islamico ma ha deciso di muoversi su binari paralleli. Istanbul è una metropoli che continua a produrre superfetazio¬ ni, dall' Anatolia i rifugiati si rovesciano a centinaia di migliaia sul Bosforo in cerca di sopravvivenza. Il «partito della solidarietà» comincia a rincorrerli nelle baraccopoli, a dar loro un minimo di assistenza, ad investire sul fatto che questi rifugiati un giorno saranno elettori. Sul versante opposto, il «Refah» crea una struttura degna di un grande gruppo industriale. Banche con prestiti a tassi islamici, networks televisivi che in breve «copriranno» la Germania come l'Iran, un'organizzazione in stile tedesco che darà presto frutti. Uno dei più noti storici di Tur¬ chia è pronto a giurare che il grande decollo del «partito del benessere» abbia coinciso con una strana donazione: 50 milioni di marchi consegnati agli islamici («soli possibili artefici di una nuova rivoluzione») dal partito comunista della Ddr, che con la riunificazione tedesca si disfaceva dei suoi beni. Da quel momento una prima vittoria alle amministrative consegna le maggiori città turche a sindaci del «Refah». Infine, l'anno scorso, il diritto a guidare una coalizione di governo anche se l'80 per cento dei cittadini si è espresso per i partiti laici, sia pure hi for¬ verse componenti del «Refah», e adesso bisognerà vedere se vi riusciranno ancora. Il gruppo più ricco e potente, il «Cemaat» (significa «la comunità») con le sue banche e le sue scuole sembra meno lontano dall'idea che i militari turchi hanno della democrazia. L'«Ummet», o terra degli islamici, è legato a doppio filo alla personalità del presidente e farà quel che lui dice. Resta il grande problema del «Tarikat» (ovvero, il gruppo delle sette) e dell'«Asiret». Entrambe le componenti hanno origine curda, base combattiva, linea più oltranzista. I giornali di Ankara già cominciano a riparlare di quegli «Hezbollah di Turchia» che lo scorso anno firmarono alcuni attentati. L'improvvisa operazione dell'Armata nel Kurdistan (con conseguenti manovre di siriani e iracheni oltrefrontiera) inasprisce la situazione. La reazione di Erbakan è ancora cauta, però i suoi seguaci amano ricordare che occupandosi di motori Diesel lui finì per collaborare anche al progetto del carro armato Leopard. Giuseppe Zaccaria ma troppo frammentata. Con l'arrivo alla soglia del potere (quello autentico resta nelle mani dei militari, dei laici e dei partiti più corrotti nel panorama europeo) il gioco di Erbakan comincia a farsi più scoperto. «Stop and go» nei rapporti coi militari, arcigni tutori del laicismo di Atatùrk, e nelle vicende interne un continuo bilanciare decisioni di sapore religioso con atti di segno opposto. Il progetto di due moschee ad Ankara intorno ai palazzi del governo e il rinnovo delle concessioni per le basi degli «occupanti» americani. Spericolati incontri con Gheddafi e privatizzazione della Turk Telecom. Promessa di reintrodurre l'uso del «turban» fra gli impiegati pubblici, accordo con l'Iran per un gasdotto ma nuovi accordi commerciali con l'Europa. Un balletto che i militari avevano interrotto a marzo col «diktat» da cui la decisione di ieri sembra scaturire. Nel cerchiobottismo dell'ingegner Erbakan c'è però anche un altro elemento che potrebbe risultare decisivo: questi suoi giochi d'equilibrismo nascevano anzitutto dall'esigenza di governare le di¬ Il Refah ha una struttura industriale con miliardi, banche e televisioni Due mesi fa l'armata dettò al premier un preciso «codice di comportamento* I NEMICI DI ATATURK Nelle foto da sinistra una militante islamica a Istanbul e una rissa al Parlamento di Ankara in occasione della mozione di sfiducia al governo presentata l'altro giorno [FOTO REUTER]