Un coro in aula: «liberi, liberi» di Pierangelo Sapegno

Un coro in aula: «liberi, liberi» Un coro in aula: «liberi, liberi» //pubblico applaude, gli imputati sorridono VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO Se si potesse fissare l'immagine di questo processo politico, di questa storia tutta così italiana nella sua confusione e nella sua rabbia piagnono, nella sua esibizione e nella sua farsa insieme, allora forse bisognerebbe cominciare da Andrea Viviani e dal suo sguardo un po' inebetito, quando a un certo punto dell'udienza si piega verso il suo avvocato e gli sussurra con la sua aria da cospiratore: «Ma sono tutti così i processi?». Così come? «Una gabbia di matti, tutto 'sto casino». Beh, è un bel casino la ressa di giornalisti e di telecamere che affolla l'aula e la comprime, la maramalda sfrontatezza di questi otto eroi tristi venuti dal nulla, e l'ammucchiarsi indistinto di guardie e difensori attorno a loro, ed è un bel casino sentire i familiari che urlano bastardi ai cronisti, e gli amici che scandiscono «veneti liberi» guidati da 4 animosi giovanotti con la maglietta stampata della Life mentre il presidente sta leggendo le sue ordinanze. E' un bel casino questa pantomima che celebra e rievoca altri processi politici che avevano morte e terrore da giudicare, non un campanile da conquistare, non un benessere da difendere. «Siamo veneti serenissimi», ripetono gli otto. E il vecio Flavio Contin quando gli chiedono di dare un giudizio sulla loro impresa, sorride sottovoce: «Non è andata male». E perché? «Perché ci hanno preso e adesso ci processano. Ma noi sapevamo che andava così. Era tutto previsto». Il vecio ha una camicia larga, americana, a grandi scacchi bianchi, blu e gialli, e ha quella sua aria un po' stranita come se si trovasse in un bar fuori porta, lontano da casa, ad aspettare qualcuno che non verrà mai. Condanne pesanti? «Staremo a vedere», dice. Non importa, non hanno paura. «La gente è con noi», ripete. Verissimo. Ma fuori dal bunker di Mestre è anche vero che ci sono soltanto 25 attivisti della Life a portare la solidarietà del Veneto. Bandiere del leone alato, gipponi, e il segno V della vittoria con le dita. Mentre dentro il bunker questo marasma alla fine può sembrare quasi senza senso. Nelle pause del processo allora può succedere che il vecio Contin stia a parlare con un cronista del Gazzettino, ma che suo nipote Cristian lo blocchi quando vede avvicinarsi un altro giornalista: «Adesso basta, fermati. Sta arrivando un giornalista italiano». E può succedere che dalla platea qualcuno si metta a strepitare «Italiani, tornate a casa!» Che Micael Medini, del governo provvisorio della Banca Centrale Padana stia a spiegare come bruci le nostre povere hret- te. Ma non è un reato? «Bene. Meglio». Può succedere tutto e il contrario di tutto, che Luca Peroni e Andrea Contini passino il tempo a ridere e scherzare e che Fausto Faccia, il capo del commando, passi invece il suo tempo a chiacchierare con l'avvocato chiedendo che cosa bisogna fare per avere gli sconti di pena, e che poi discutano sul risarcimento, e che parlino anche di uno sconto sulla base di una pena massima di 4 anni. Ecco, tutto questo è il primo processo ai veneti indipendentisti. Un po' triste, un po' minaccioso, e un po' sghembo come quell'Italia che si vuole rifiutare, come quello Stato che si vuole cacciare. Comincia alle 9,20, quando Gilberto Buson si affaccia dietro alla porta nella gabbia di sinistra. Maglietta blu, calzoni bianchi. Sguardo teso, duro. Dietro di lui, Fausto Faccia, senza un sorriso nella sua tuta azzurra. Gabbia di mezzo, Moreno Menini, capelli a spazzola, camicia a quadretti; Cristian Contin in jeans e occhialini da studente modello, e lo zio Flavio, il baritono del coro Tre Cime. Gabbia di destra, Luca Peroni con la tuta nera, Antonio Barison, camicia celeste e calzoni marroni, zoppicando sulle stampelle, e Andrea Viviani in jeans. Poi vanno a sedersi vicino ai loro avvocati, con la loro scorta di guardie carcerarie. Luca Peroni è seduto in prima fila. Come va? Ride: «(Abbastanza bene». Vi aspettavate tutto questo rumore? Ride ancora: «Quasi». Beh, almeno non avete perso il buonumore. «No, neanche un po'». Qui si pensa che arrivi una legnata. «Per chi?». Per voi. «Vedremo». Avete un messaggio da lasciare? «Ringraziamo tutti quelli che ci hanno appoggiato». Davanti a lui, le guardie rigettano la spinta dei cronisti grondando sudore: «Sentite, adesso si muore dal caldo, fatevi più in là, lasciateci lavorare». Chi vi ha appoggiato?, chiedono. Peroni: «La gente, la comunità». Dietro, nell'ultima fila, c'è Moreno Menini, il cattolicissimo, quello che frequentava un Beauty Center a Verona, e che s'era portato dietro la tessera anche sul campanile. Come vi sentite? «Io mi sento circondato da giornalisti e poliziotti». Cosa vorreste ottenere? «Vorrei ottenere che ve ne andaste fuori dai coglioni». E poi, oltre le transenne, i parenti, gli amici. Alessandra Zaccaro, la moglie di Buson, sta chiamando il marito: «Lolli, Lolli». Lui si gira. Lei: come stai? Lui: «ben, ben». Lei: e l'orecchio? Di' dell'orecchio. Lui fa un segno che va meglio. Arrivano i giornalisti. La figlia Desirée a papà: «Ma ti hanno fatto male?». Lui, segno col capo: ne parliamo dopo. La moglie si fa rossa, parla in veneto: «Con voi giornalisti non parlo, è inutile che venite qui. Con voi non parlo». Uno, lì vicino: «Siete capaci solo di fare folclore. Abbiamo le prove che prendete i soldi dal Sismi». Da chi? «Dai servizi. Lei ha una faccia da agente dei servizi». Coro dietro: «Dovrebbero dare una medaglia a questi! Altro che processo». Tutti insieme: «Italiani a casa!» Dal fondo, uno sventolando il giornale: «Varda! ci dicono i naziveneti» Una donna: «I naziveneti...» e scoppia a piangere. L'altro: «No, i nazi sono i romani. Noi siamo veneti prima di tutto». E poi le urla, «a casa», «vergogna», «mandateli a casa». Fabio Padovan della Life guida la claque: «Veneti li-be-ri». Il presidente Graziana Campanato ha un sussulto: «Chi ha fatto queste grida? Vengono dalla zona dei familiari. Voglio ricordare loro che non è in questa maniera che fate un piacere agli imputati». Ancora slogan, grida: «Viva Barabba». E poi venduti, e viva l'Italia, così, tanto per ironia. Gli otto là davanti non fanno una piega. Quell'aria da bocciofila di paese, quei silenzi, quei sorrisi da forzati. Ma che cosa scrivereste sulla bandiera del Veneto?, hanno chiesto agli otto. E uno ha risposto: «Lavoro, famiglia, giustissia». Dal fondo, «ciao Lolli, ciao Lolli». E Buson pare quasi scocciato. Che bel casino, signor Viviani. Pierangelo Sapegno 19CLIMA DA STADIO

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