Quale violenza di Lietta Tornabuoni

Quale violenza KRSONE Quale violenza UALE violenza è davvero spaventevole? Non esiste nel nostro mondo realtà più temuta, deplorata, esorcizzata, rimossa, e più praticata: convegni, seminari, congressi, discorsi ufficiali, esortazioni, preghiere s'occupano della violenza, dei danni eventuali che la rappresentazione della violenza può provocare ai bambini e alle personalità labili, della cultura della violenza, delle parole violente alle quali possono seguire fatti di violenza. Si capisce, la violenza è una caratteristica dominante nelle società attuali. Ma in proposito s'è visto qualcosa di veramente strano a Cannes, al festival del cinema conclusosi domenica scorsa: una singolare consonanza tra recensori e spettatori. Alcuni film contenenti scene di violenza anche atroci o turpi sono stati accolti da tutti con divertimento, piacere e applausi. Altri film contenenti scene meno violente sono stati definiti da quasi tutti mostruosi, provocatorii e insani, circondati da un rifiuto colmo di orrore, condannati con sdegno morale. I primi film, quelli graditi, erano americani o paramericani: sangue, assassinii, esplosioni, cadaveri risultavano stilizzati alla maniera" dei film d'azione o anche dei serial televisivi, presentavano le violenze in forme a cui siamo da anni abituati, nei modi di quel tipico intrattenimento contemporaneo che è lo spettacolo della brutalità esagerata, il pulp dalle sfumature autoironiche. I secondi fimi, quelli sgraditi, erano europei: e mostravano una violenza metaforica oppure realistica, comunque drammatica e problematica, affrontata con serietà senza stravaganze da videogame. Naturalmente, è possibile che «The Fifth Element», «L. A. Confidential», «Absolute Power» siano stati giudicati riusciti e belli, mentre «Assassin(s)» o «Funny Games» siano stati giudicati falliti e brutti: il che chiuderebbe la discussione. Ma è probabile, molto I probabile, che siano stati altri gli elementi che hanno portato alla ripulsa. In :<Assassin(s)» di Mathieu Kassovitz, francese, ventinove anni, la scena violenta che già i distributori italiani progettano di tagliare è una sola: ma il film mostra che è un vecchio (padre, nonno) il maestro d'assassinio istruttore dei giovani omicidi (figli, nipoti) suoi successori, indica un discutibile parallelismo tra gli ammazzamenti compiuti dai protagonisti e le uccisioni mostrate di continuo dalla televisione specchio della società. «Funny Games» di Michael Haneke, tedesco di nazionalità austriaca, cinquantacinque anni, racconta un fatto infinite volte accaduto nella realtà (giovani criminali si introducono in una casa, ne umiliano, torturano e uccidono gli abitanti) con un'efficacia speciale, con una meticolosità e credibilità che vogliono essere un giudizio sociale e che fanno star.jnale~g!i spettatori. Allora sarebbe accettabile la violenza-divertimento senza pensiero, senza ideologia, e sarebbe inaccettabile la violenzariflessione senza spasso e senza gioco? Certo, agli spettatori è capitato tante volte, da molto tempo: è più strano che succeda pure a intellettuali che per mestiere analizzano, pensano, confrontano, valutano, e per i quali la messa al bando sarebbe un atto contro natura. Si vede che il fantasma, la paura della vera violenza sono così forti da compiere (in maggioranza, se non all'unanimità) quasi un miracolo: mettere d'accordo, per una volta, critici e pubblico. Lietta Tornabuoni ani 1

Persone citate: Games, Mathieu Kassovitz, Michael Haneke

Luoghi citati: Cannes