Il giuramento, la prova del reato di Fabio Poletti

Il giuramento, la prova del reato LE CARTE DELLA PROCURA Il giuramento, la prova del reato // commando dal carcere: tutti sono con noi trcHONA dal nostro inviato (Giuriamo», dicevano alle riunioìi davanti alla bandiera del Sererissimo governo con il leone di San Marco dalla spada sguainata, u iuriamo», ripetevano in coro pi .ma di suggellare il patto con . u. fuma, l'onore e una dichiaraci ,.ie di fede: «Mi impegno a dare tutto me stesso per la causa del v ,,eto e per la liberazione dalI invasione straniera. Anche a co;1 della vita». Adesso quei quaranta attestati .1; fede, trovati in una cassa sottei 1 ata a Terrassa Padovana, sono la piova definitiva nelle mani del ,j. Jjblico ministero Guido Papalia. Ogni attestato porta una firma autografa. Con nome e cognome, F. ofessione, indirizzo e poi la data li a la fine del '92 e i primi mesi Uel 93. Gli uomini della Digos di Verona nanno impiegato un nulla a fa.e perquisizioni. Attestati in mano, hanno bussato a quaranta porte in provincia di Verona, nella b.iasa padovana, giù giù fino a Ve.1 teatro della prima grande a. .lustrazione del Serenissimo esercito. Tra i perquisiti, si sa, c'è anche una pattuglia di leghisti, feleli a Umberto Bossi ma su posici oltranziste nel difendere il ',i ietO. uno di questi è Maurizio Grasì consigliere a Verona. «Al mas. .o avrò firmato qualche petinone, sempre nell'interesse del .^10. Non ricordo di aver giuito », svicola. «Io invece sono .'. ito messo in mezzo perché sono amico di Flavio Contili», glissa ueppe Drago, 45 anni di Conselve in provincia di Padova, rep usabile del Carroccio nella sua r~~..a. A casa gli hanno trovato airi ' .■. cartine geografiche in dialetti ideile preparate da Giuseppe Segato, l'ideologo del commando li icni Marco, pure lui in carcere. .Moti mi si può accusare di "lente, al massimo di qualche •'aio d'opinione», fa muro Maurizio Grassi. Che gli agenti li ha avuti in casa per sei ore. Come Guglielmo Carnovelli, consigliere della Lega a San Bonifacio in provincia di Verona, come Alfio Scolaro e Ardingo Zieri di Borgoricco in provincia di Padova, il paese di Giuseppe Segato, 1'«ambasciatore» del Serenissimo commando. «Noi facciamo politica solo alla luce del sole, quelli lì danno spazio ai servizi segreti», ripete da giorni Fabrizio Comencini, responsabile della Lega per il Veneto, impegnato a prendere le di¬ stanze dal commando. Ma senza un'aperta sconfessione che potrebbe avere ripercussioni negative sui troppi che, anche all'interno del Carroccio, ammirano quell'azione esemplare. Un'azione che Franco Rocchetta, un tempo a capo della Liga Veneta, da anni in rotta di collisione con Umberto Bossi, non fa fatica a giustificare: «Loro, come me, si sono mossi per un'ideale. Non sono dei violenti, li conosco bene». E ancora: «Magari troveranno qualcosa di mio... Ma questo non vuol dire niente». «Comunque allo stato attuale non esiste alcun collegamento con l'inchiesta aperta da questo ufficio sulle camicie verdi della Lega», taglia la testa al toro Guido Papalia, il magistrato veronese che da tempo porta avanti le due inchieste, parallele ma per ora distinte. E anche lui guarda a mercoledì, quando nell'aula bunker di Mestre sfilerà il Serenissimo commando, che il pubblico ministero veneziano Rita Ugolini accusa di sequestro di persona, minacce, porto d'armi con l'aggravante dell'eversione dell'ordine democratico. «Noi abbiamo solo voluto risvegliare la veneticità», giura Fausto Faccia al parlamentare Gustavo Selva, che lo incontra nel carcere di Padova. «Abbiamo fatto una cosa molto importante», aggiunge. E anche lui, come tutti gli altri, è pronto a «spiegare al popolo il motivo dell'azione, nel processo di mercoledì». «Eravamo pronti a stare sul campanile tre giorni, avevamo anche la grappa per commemorare il bicentenario della caduta della Serenissima», aggiunge Gilberto Buson, un'altra cella, stesso carcere. E spiega: «Volevamo fare un'azione eclatante. Ci siamo arresi subito, quando sono arrivati i Gis dei carabinieri. Ma poi mi hanno messo al muro e dato un colpo in testa». Anche «Bepin Bassega», Giuseppe Segato, l'ideologo del gruppo, arrestato successivamente all'assalto nel cuore di Venezia, ammette di essere stato «d'accordo con l'atto». E rivendica: «Dovevano farlo». Poi dà una sua spiegazione, che cerca di confutare i mille che hanno parlato in questi giorni, dipingendoli come terroristi o esaltati. La sua è una nuova professione di fede: «Nelle campagne, nei piccoli centri, sono tutti con noi. E questo ci rende solo sereni». Fabio Poletti