Al bar dell'Armata Serenissima sogni, poca lavoro e secessione di Pierangelo Sapegno

Al bar dell'Armata Serenissima sogni, poca lavoro e secessione Le storie degli otto uomini del blitz: solitari, appassionati di videogiochi, con auto vecchie e pochi soldi Al bar dell'Armata Serenissima sogni, poca lavoro e secessione DAL NOSTRO INVIATO La vecchia Alfa, Barison la tirava fuori dal giardino per andar a trovare gli amici, qualche chilometro sulla statale. «Le macchine nuove le prendono quelli di città», diceva. Anche a San Marco ci saranno andati su un camion un po' sconcio. San Marco San Marco, brindavano alzando i bicchieri. Menini e gli altri ragazzi brindavano sotto casa. Un'ombra di bianco, un frizzantino. Il bar La Decima si perde nelle stradine che scendono dai balzi di vigne e prati, per Colognola. I cipressi fanno mucchio sulle cime basse. Al bar, pieno di videogiochi, Moreno Menini con i suoi amici ci andava. Meglio che nelle discoteche. Si parlava della Serenissima, della storia andata, del Veneto grande e anche di Dio, che da qualche parte doveva stare, «e mai con i miserabili», come gli diceva Luca Peroni. Con San Marco, sì. Menini aveva scritto a Miglio, una lettera per chiedere consigli e idee, e aveva cercato Maurizio Ruggiero e Palmarino ZoccateUi per sapere di più su Dio e Venezia. L'avevano convinto: «E' in un grande passato che ci aspetta Nostro Signore». E brindavano, San Marco San Marco. U SEUL L'avevano fatto anche la sera dell'assalto al campanile, a casa di Domenico Brunato. Pane e salame e poi in alto i bicchieri, dicendo «San Marco». Avevano riempito il sacco di vino e di grappa, ed erano usciti: «Tu non venire», gli avevano detto. «Noi andiamo a fare una festa. Domani apri il Tg e vedrai». Così sono partiti. Il gruppo era fatto. Otto allegroni, un po' solitari, uomini tra uomini. Avevano dietro le mutande stirate, le camicie di ricambio. Domenico Brunato li ha salutati dal cortile, voltando la schiena ai tre grandi silos di pannocchie lasciate a seccare sotto il sole. GU AMICI. Adesso se ne sta in braghette, piegato nella canicola a sarchiare il mais. I cronisti l'avevano tirato giù dal trattore per farsi raccontare la sua storia. Due mesi fa l'aveva chiamato Faccia: «E sono andato ad aiutarlo». Così s'è tenuto i due blindati nella baracca di legno per 50 giorni. Non lo sapeva, ma non importa. Brunato non è imputato di niente, però rappresenta bene questo mondo. Lui è rimasto a lavorar la terra, a differenza di tutti gli altri. «Mai andato una volta in discoteca. Poco tempo perso dietro le donne». Qualche volta al bar, per un'ombra di vino. A Messa la domenica, quando non deve lavorare, le mani grandi e grosse, gli occhi socchiusi dal sole. Del gruppo conosceva bene i Faccia, «da 50 anni» come dice con un po' di melanconia: «gente che lavora». In Veneto si dice così per parlare bene di uno. In questi giorni aveva imparato a conoscere anche gli altri, anche i ragazzi di Verona. «Bravi figlioli, sapete? Timorati di Dio». Moreno Menini è il più giovane di tutti: 20 anni, da Colognola. Verona, studente di Scienze Politiche, figlio dell'ex sindaco democristiano, cattolico tradizionalista e appassionato di storia della Serenissima. La SERENISSIMA. Lui, Andrea Viviani e Luca Peroni, quando incontravano Ettore Dacampo, coordinatore della Lega Nord, al bar «La Decima» cominciavano a interrogarlo, a chiedergli notizie sulla Serenissima, sulle tradizioni storiche del Veneto. Arrivavano in motorino. Giocavano ai videogiochi. Leggevano i libri pubblicati da Alberto Gardin, che si fa chiamare Albert Garden alla francese, ex obiettore di coscienza Anni 60, ex segretario pr perso nelle nebbie della Prima Repubblica e ora vicino agli indipendentisti. Molti di questi lo conoscono, come molti conoscono Franco Rocchetta, uno dei fondatori della Liga Veneta. E molti hanno avuto contatti e solidarietà dalla Life. Come Gilberto Buson, capelli lunghi e un filo di baffi, da Cartura, Padova, il camper della Life in cortile, oltre lo steccato di legno, la moglie Alessandra Zaccaro che fa la faccia dura ai giornalisti. «Venite, venite a vedere dove preparavano e costruivano le armi». LA CRISI. Apre la porticina di un laboratorio tessile. In pratica, un garage. Prima c'erano 3 linee di telai, adesso invece sono rimaste solo alcune camicie da notte appe¬ se, macchine da cucire, pezzi di stoffa. Il laboratorio si chiama Desirè, come una delle figlie. Buson ha 5 figli, il più piccolo già bardato con la spilla del Leone di San Marco sulla tutina. La moglie è incinta. Il laboratorio è così malmesso perché ormai lavoro non ce n'era più. E questo è un altro comun denominatore del commando di San Marco. Non se la spassava troppo bene anche Antonio Barison che lavorava sol più a casa, «autonomamente» dicono i carabinieri, per la Fme (Fabbrica materiale elettrico). Sua moglie era bene¬ stante visto che il papà era proprietario di due cinema: ora lei fa la maestra a Padova. Forse, non andava bene neanche ai Faccia. Dicono: ((Avevano chiesto un mutuo agevolato, ma non gli era stato concesso». E poi, raccontano, Luigi Faccia era arrabbiato anche perché al suocero, grosso allevatore di vacche nel lodigiano, «avevano appena notificato una multa da 250 milioni per le quote del latte da versare all'Amia». Poi, c'è Giuseppe Segato, l'intellettuale. La casa se l'era costruita vendendo i terreni di famiglia. E l'Enel aveva già tentato un paio di volte di staccargli la luce. Lavoro? Boh. Alla mattina partiva sulla sua vecchia Delta grigia e si girava il Veneto a vendere i suoi poster e i suoi libri. «Qualche volta alle 3 di notte andava al mercato ortofrutticolo a scaricare cassette per guadagnarsi da vivere», racconta Giovanni, il cugino che gli abita due case accanto in via Rivalta. Ecco, questo era l'ideologo. Ex de, per un anno, la vecchia Lancia, e poi l'amore infinito per la sua gente: «i veneti erano più bravi dei soldati romani anche nelle centurazioni», raccontava Bepin. E le donne? Aveva avuto solo una morosa che poi se n'era andata in Piemonte. Da allora più niente. Viveva da solo. Il Buson invece viveva nel suo laboratorio sotto casa, quando le cose andavano bene. Adesso faceva fatica. Aveva chiesto il nullaosta per andare in Canada e ricominciare da lì il suo lavoro. A passare fra queste terre nella Bassa vien da pensare con sospetto agli schei e al miracolo del Nord-Est. Ma dove se n'è andato, è già finito? Forse ha ragione il maresciallo di paese, tipo saggio: «I ricchi non li ho mai visti scendere in piazza». E adesso per il Buson fanno la colletta nei bar per mantenere la famiglia. Fiaschi e damigiane per raccogliere soldi. «Comitato promotore: veneti nei bar». Particolare importante, perché i bar, come questo di Giuliano Lazzaretti e della moglie Leopolda, sono l'altro filo conduttore di questa storia. Per i ragazzi del coirunando non ci sono discoteche, ma bar sì, fino alla notte, a tirar l'alba, a cercare gli amici, a trovarsi fra uomini, a giocare a carte bestemmiando lo Stato e i servi di Roma. A smanettare i videogiochi, come Menini, Peroni e Viviani. Ad aspettare gli amici che uscivano dal Consiglio, come Barison, nel bar grande e buio affacciato sulla piazza di Conselve. A provare i canti, come Flavio Contin, l'elettricista appassionato di antenne tv come il nipote Cristian, l'anima del coro Tre Cime, l'unico baritono del gruppo. Canti e ombre, e sputar le carte sempre maledicendo Roma. Salvo poi obbedire, appena glielo dicevano. Così, quella volta Buson rispose «comandi» al maresciallo. Bravo ragazzo il Buson: «Ho cercato nelle mie carte, il venerdì di San Marco. Per vedere se saltava fuori qualcosa che c'eravamo dimenticati. Niente. Solo una multa ho trovato». Mai un grillo per la testa, mai un casino con le donne. Però, un ricordo ce l'aveva il maresciallo. Una volta l'avevano visto scrivere sui muri degli slogan indipendentisti e lui l'aveva preso alla sera facendo finta di non sapere chi era stato. «Guarda, cancella quelle scritte, se no devo metter dentro il tipo che le ha fatte». Comandi, signor maresciallo. Nella notte, erano già sparite. LA MEMORIA E LA DC II ribelle era uno con la testa a posto. Il fatto è che da queste parti molti sono così. Paesi che si inseguono nella bassa, le villette tirate su dai contadini, la macchina nel giardino. Segato con la sua vecchia Lancia, Barison la vecchia Alfa Romeo, e Buson pure. Brunato col trattore. Per girare qui intorno, da Cartura fino a Pontelongo, Terrassa, Agna, tutto qui dentro, perché nessuno se n'è mai andato troppo lontano. Distese di mais e barbabietole, poi i vigneti affacciati sulle stradine. Però, non ci sono mai le città nei percorsi del commando serenissimo, nella sua mappa perduta fra i campi e le biolche, non ci sono le metropoli, non c'è l'anonimato degli agglomerati urbani, la durezza di una città, la frenesia, la velocità, l'inutilità di una città. C'è sempre la terra, invece, c'è il campanile, l'aperitivo al bar con gli amici, la villetta con la vecchia Alfa Romeo parcheggiata all'ombra del salice, ma anche il prete di paese che struscia la tunica nella polvere, il sapore di un inondo passato, la vanga e le mani sporche, e c'è la memoria della de, che è un patrimonio genetico di appartenenza, di comunanza. Era democristiano Franco Licini, e pure Giuseppe Segato, iscritto nella sezione di San Michele delle Badesse, e veniva da famiglia de 0 cattolicissimo Menini. La de e la terra. E quando qualcuno tenta di rompere il vincolo con la terra, come ha fatto 20 anni fa Benito Faccia, di Agna, che ha messo in piedi la Unifast, finisce per restare sempre vicino ai suoi campi e alle sue radici, sotto lo stesso sole e lo stesso cielo. Fausto e Luigi Faccia sono i suoi figli. Pensava di lasciargli la fabbrica, ma ora rischiano tutt'e due mi po' di carcere. Fausto Faccia era uno che piaceva alle donne, solo che preferiva il suo sogno. Passava il tempo a far lavoro di bricolage per costruire i blindati. Qualcuno regalava il motore, qualcuno le lamiere, qualcuno le vernici. Qualcos'altro bisognava comprarlo. Sulle matrici degli assegni stampigliavano: «Per la repubblica veneta». E al bar chiedevano se c'era qualcuno che li aiutava. Più di così, moro? Pierangelo Sapegno «L'ideologo andava di notte al mercato ortofrutticolo a scaricare le casse per guadagnarsi da vivere» IH» Una «colletta» per costruire il blindato Le donne? Meglio trascorrere le notti al caffè, giocando a carte e a bere Illliit