Perché hanno ucciso lo Zaire di Domenico Quirico

Perché hanno ucciso lo Zaire Il Paese cambia nome nel segno del vecchio padre Lumumba Perché hanno ucciso lo Zaire ■ L 21 maggio del 1972 per i conI golesi fu davvero un giorno pieH no di sorprese. In pochi minuti, il tempo di ascoltare un discorso del presidente-dittatore-padre-padrone Mobutu, scoprirono di aver cambiato nome, identità, Paese. Tutto, insomma. Mobutu, salito «provvisoriamente» al potere da sette anni, annunciò che aveva deciso di ribattezzare, come un antico satrapo orientale, non solo tutti i suoi felici sudditi, ma anche le città, le regioni, i fiumi, l'intera nazione. La «rivoluzione» cominciò con una violenta requisitoria contro il colonialismo, un po' sospetta, in verità, visto che la pronunciava un ex dipendente della Cia diventato da sergente generale in pochi mesi con l'aiuto di belgi e americani: «I colonialisti hanno imposto una religione al nostro popolo - gridò Mobutu così come ci hanno imposto dei nomi, raccontandoci che era un modo per testimoniare la nostra appartenenza alla comunità cristiana e la nostra fede nella religione professata da questa comunità. Come se i nomi dei nostri antenati fossero un peccato contro la religione». Così da quel giorno Joseph Désiré Mobutu divenne Mobutu Sese Seko Kuku Ngbendu Wa Za Banga. Justine, Victor, Antoine dovettero cercare i nomi degli antenati e il Congo si trasformò in Zaire. Un'idea suggerita al fantasioso tiranno, pare, dal termine usato dagli esploratori portoghesi per definire il grande fiume. Mentre Léopoldville veniva cancellata dalla carta geografica a favore di Kinshasa e il ribelle Katanga, per punizione, doveva retrocedere al nome di Shaba, il dittatore proibiva anche le cravatte e assegnava ai sudditi stupefatti un nuovo look di sua invenzione: l'abacost, affascinante incrocio tra la tunica tribale e la divisa di Mao. Nelle bidonville i burloni ribattezzarono subito la nuova divisa «a bas costume». Non era tutto purtroppo: il vocabolario doveva essere travolto da un uragano. E allora via il colonialista signore, si tornava al politicamente corretto cittadino. E per qualche mese nelle cerimonie ufficiali portaborse, notabili e parenti della Guida della nazione continuarono, tra le risate dei diplomatici, a interpellarsi reciprocamente come Robespierre e Marat. La zairizzazione inventata da Mobutu, una sconcertante combinazione tra un tribuno, un genio dell'intrigo e una canaglia, non si fermò qui. Perché vennero cancellate dal calendario, in una grottesca parodia della Rivoluzione francese trasferita nel cuore dell'Africa, Natale, Pasqua e le feste cristiane. Poi si passò alla realizzazione della «autenticità» in economia. Con un artificio giuridico vennero confiscati i beni appartenenti agli stranieri; una nazionalizzazione brutale e velleitaria che si abbattè su migliaia di piantagioni, aziende agricole, società. Mentre 50 mila proprietari, tecnici, industriali, commercianti belgi, portoghesi, greci e libanesi abbandonarono il Paese tra gli applausi e gli sberleffi della plebe demagogicamente soddisfatta di questa «vendetta» sui vecchi padroni, i loro beni passarono nelle mani rapaci di quelli che il popolino chiamava «i ragazzi di Nazareth», cioè i parenti del dittatore. Il loro capofila era lo zio Litho, un personaggio funesto che sostene¬ va questa semplice teoria: «Lo Zaire è un affare nostro, ce ne serviamo e non rendiamo conto a nessuno». Il culmine della farsa venne recitato nello stadio della capitale davanti a una folla di 100 mila persone. Un dignitario del dittatore proclamò la nascita di una nuova religione, il mobutismo: «Cristo è stato il profeta degli ebrei, Mobutu è il nuovo profeta venuto per conto e in nome degli antenati. Non merita il nome di Messia?». Sono passati trent'anni. Per le strade di Kinshasa dove sfilano i ribelli vittoriosi di Kabila sono ormai quasi illeggibili le parole d'ordine del vecchio dittatore: «Né a destra, né a sinistra e nemmeno al centro», l'orweUiano motto del partito del Presidente; oppure «per favore, servire non vuol dire servirsi», un patetico invito ai funzionari a non abbandonarsi alla filosofia della bustarella, unica alternativa allo stipendio che lo Stato ha semplicemente abolito per mancanza di fondi. Gli abitanti della capitale sono andati incontro ai «liberatori» sventolando risolute bandiere blu ingentili- te da una nuvola di stelle gialle. Sono vessilli che nei congolesi innestano una misteriosa nostalgia: quella di Lumumba, l'ingenuo leader dell'indipendenza, ucciso dopo pochi mesi di febbrile e sconclusionato potere. In Africa le ideologie sono un affare dei bianchi: i popoli hanno bisogno invece di miti e di simboli che li giustificano e li rassicurano. L'errore è di ritenere che anche qui la politica sia un'ispirazione, un'abilità, ima scienza. Lumumba e il suo sacrificio mai dimenticato per molti zairesi è ancora circondato da misteri stregoneschi, da impalpabili presenze. Gli avvenimenti di questi mesi non sono altro che il suo magico ritorno, la sua vendetta su chi l'aveva ucciso. Kabila, astuto rivoluzionario marxista, cavalca queste sensazioni. Ha già abolito il nome di Zaire che è l'immagine stessa dell'odiato sistema che ha abbattuto. Ci sarà certo lavoro per i cartografi, ma per ora cadono e cambiano solo parole. Come nel 1960 il Congo è «libero». Ma per fare che cosa? E con chi? E come? Domenico Quirico

Persone citate: Kabila, Kuku, Lumumba, Mao, Messia, Nazareth, Shaba

Luoghi citati: Africa, Congo, Kinshasa, Zaire