«Ma il vero pericolo è il partito anti-giudici» di Fabio Martini

«Ma il vero pericolo è il partilo centi-giudici» FAUSTO BERTINOTTI «Ma il vero pericolo è il partilo centi-giudici» LONDRA DAL NOSTRO INVIATO Tirano ad alzarsi tardi Fausto e la signora Leila nella lussuosa stanza dell'Hyde Park Hotel, leggono i giornali italiani e Bertinotti commenta: «La mia visita alla City sembra più un successo mondano che politico...». Ma in Italia è ripresa la bagarre sulla giustizia e così, dopo aver salutato nella hall un personaggio come Fabiano Fabiani («Ciao», l'altro: «Tua moglie?»), Bertinotti accetta di rituffarsi nelle baruffe italiche. Politici come Violante e D'Alema parlano di magistratura come non avrebbero fatto uno o due anni fa: lei pensa che la politica stia meditando una «rivincita»? «Nella sostanza il rischio c'è. Si era partiti dall'esigenza di qualche necessaria correzione, ma ora mi sembra che la palla di neve stia diventando una valanga...». Non negherà che talvolta si siano ignorate le garanzie della difesa? «Vero. E infatti bisogna passare da una fase straordinaria, durante la quale ci sono stati strabordamenti ad una fase ordinaria, con correzioni che però non devono essere motivate con lo strapotere dei magistrati». Detto in soldoni? «Bisogna tarare il grado di intervento, altrimenti questo diventa il terreno di avvicinamento per la costruzione di un partito antimagistrati, per una crociata contro l'autonomia dei magistrati». Be' finora c'è stato un partito dei magistrati... «Mi sembra ci sia stato un protagonismo - che va criticato - di alcuni magistrati più che un partito dei giudici». E Di Pietro dove lo mette? «Di Pietro è un caso a sé, non è l'espressione politica dei magistrati. Lui si è messo in proprio». E si sta togliendo la maschera? «No». E fino a quando la tiene? «Mi viene il dubbio che sia una condizione esistenziale! Una specie di protesi...». Ma se alla fine scende in campo, anche voi dovreste preoccuparvene, o no? «A me preoccupa ciò che non passa attraverso l'organizzazione stabile. Sono partigiano della forma-partito». Bè almeno su questo è d'accordo con D'Alema? «Certo». Sul pm Greco incombe un procedimento: opportuno? «In genere l'intervento di censu¬ ra verso un magistrato che esce dal suo ruolo, è una difesa dell'autonomia della magistratura. Non è una minaccia, ma una prerogativa. Ma deve essere la magistratura a continuare a giudicare e non un altro che magari ha una relazione con il potere politico». Nella battaglia sull'«articolo 513» ci sono anche interessi politici personali? «E' giusto correggere una norma che tutti hanno considerato un impedimento. Ma non si deve intervenire sui processi in corso, aprendo una contraddizione con il lavoro fatto fin qui dalla magistratura». Molto sinceramente: se domani sera va a cena con amici e le chiedono come finisce la Bicamerale, lei come risponde? Lunga pausa. E poi: «E* difficile davvero. A meno di uno scatto la vedo propensa verso due derive. La prima: una sostanziale convergenza Polo-Ulivo su una linea che riempie di contenuti presidenzialisti una forma che esplicitamente non lo è. Deriva pericolosa». Seconda deriva? «Il Polo assolutizza le sue rivendicazioni e impedisce una conclusione». Se la Bicamerale finisce male, è una sconfitta per D'Alema? «Certo, sarebbe un problema. Ma gli uomini politici non dovrebbero misurare i propri meriti semplicemente se un obiettivo istituzionale abbia successo o no. Quel che conta sono i contenuti: il "mezzo" Bicamerale non può diventare il "fine"». La Lega, proporzionalista come voi, manda segnali di disponibilità a rientrare in Bicamerale: vi interessa? «Meglio se Bossi torna. Purché non gli si conceda lo scambio: vieni e ti dò la modifica dell'articolo 5 della Costituzione. No, questo no». Fabio Martini segretario di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti

Luoghi citati: Italia, Londra