Roma, «supercupola» di spioni di Fra. Gri.

Roma, «supercupola» di spioni Roma, «supercupola» di spioni Una rete di intrighi fra politici e 007 infedeli ROMA. Molto prima che le procuro di Venezia e di Milano iniziassero a ronzare attorno all'Ufficio Affari Riservati, quella di Roma aveva già cominciato a indagare. Nel '94 è partita un'inchiesta penale riservatissima. Inquietante l'ipotesi di reato: cospirazione politica mediante associazione tra ex capi delle reti spionistiche. Secondo l'ipotesi della procura di Roma, per lunghi anni è esistita una sorta di «cupola» delle spie. Anche uomini che erano apparentemente nemici per la pelle, avrebbero fatto parte del medesimo gruppo. Ma ovviamente un'associazione del genere non avrebbe senso senza calcolare uno stretto collegamento con la politica dell'epoca. Per capire la portata delle persone in ballo, risulta iscritto al registro degli indagati il generale Adelio Maletti, ex capo del controspionaggio militare, da anni trasferitosi in Sud Africa. Oppure il prefetto Federico Umberto D'Amato, ex capo dell'Ufficio affari riservati, deceduto nel '96, indagato da qualche mese. Un brutto giorno dell'estate '95, infatti, la dimora-reggia del prefetto, ormai in pensione, viene messa a soqquadro da una inaspettata perquisizione. Gli trovano in casa una bella serie di quei documenti che poi Salvini scoprirà nel deposito periferico della via Appia o Mastelloni troverà nelle stanze dell'Ucigos. Cioè le prime prove di questo servizio segreto parallelo, messo in piedi dai prefetti dell'Ufficio affari riservati, poi ereditato da D'Amato in persona e mantenuto in perfetta efficienza fino a tempi recentissimi. Pare che in quell'occasione D'Amato si sia giustificato in maniera goffa: «Sono appunti riservati che i miei collaboratori esterni mi fornivano personalmente. Stanno a casa mia perché molto spesso me h' portavano direttamente a casa». Da casa D'Amato le indagini proseguirono lungo il filo rosso delle carte. E arrivarono a un determinato commissariato di periferia dove c'era evidentemente una sede di quella «Gladio del Viminale» di cui si parla oggi. Un ufficio dimesso, che ha funzionato per quarant'anni da snodo di collegamento tra i servizi segreti statunitensi e la polizia italiana. Addirittura i magistrati hanno trovato la scheda personale del giovane Federico Umberto D'Amato, il quale era stato pressoché distaccato alle dipendenze del controspio¬ naggio alleato già nell'immediato dopoguerra. Fin qui l'inchiesta della procura di Roma. Che sta arrivando, in parallelo con Venezia e con Milano, a documentare le infedeli attività degli apparati, militari o civili. E l'inchiesta, logicamente, dovrà a un certo punto affrontare la questione politica. Chi ordinò al prefetto Elvio Catenacci, ad esempio, capo dell'Ufficio affari riservati nel '69, di occuparsi personalmente della strage di piazza Fontana? Senza fare nomi, è chiarissimo che Mastelloni si riferiva appunto al prefetto Catenacci - predecessore di Federico Umberto D'Amato quando parla dei dirigenti romani che «scelsero e avallarono la cosiddetta pista anarchica». In quegli anni, Catenacci perseguitò il commissario di polizia Pasquale Juliano, che reggeva la squadra mobile di Padova, «reo» di aver indirizzato le indagini sulle cellule neofasciste di Freda e Ventura. Sempre lui, nel 70, andò a Gioia Tauro dove era deragliato un treno e impose la tesi dell'incidente: dall'inchiesta «Olimpia», della procura di Reggio Calabria, oggi sappiamo che fu un attentato neofascista. Nei primi mesi del '71 Catenacci fu promosso vicecapo della polizia. [fra. gri.]