In trappola l'architetto dei secessionisti

In trappola l'architetto dei secessionisti 1 Venezia, interrogato per otto ore e poi rilasciato: in casa aveva piani di azioni dimostrative In trappola l'architetto dei secessionisti 1 Ex consigliere della Lega, ha disegnato i blindati VERONA DAL NOSTRO INVIATO Era agosto, meno di un anno fa, faceva un caldo da morire, volavano le mosche nella campagna della Bassa padovana dove gli allevamenti di vacche confinano con quelli di vitelloni e si teneva il primo congresso del Veneto Serenissimo governo. Una decina di partecipanti, una videocamera da casa che li filma e registra gli interventi, compreso il piano di azione del gruppo: lettura di proclami politici e azioni clamorose, propagandistiche. E' in una cassetta ora in mano alla magistratura il documento più originale degli indipendentisti veneti che hanno finito la loro corsa a San Marco. Nelle confessioni di Luigi Faccia, il primo della banda scarcerato (è agli arresti domiciliari nella sua casa di Senna Lodigiana) c'è tutta la storia del gruppo, i nomi, le fonti di finanziamento (in realtà autofinanziamento, senza interventi dall'esterno), le iniziative politiche, culturali (riunioni sulla storia veneta cui partecipava l'«ambasciatore» atteso a San Marco il giorno del blitz, Beppe Segato), il progetto «militare» e cioè anche la costruzione dei due blindati che costituivano la forza d'urto della «Veneta Serenissima Armata». Ma nell'aria c'è ben di più. Ieri gli uomini della Digos sono stati nelle campagne padovane, hanno fatto perquisizioni e scavato. Ci sarebbero dei fermi. Forse l'intero gruppo è stato preso. Ieri è finito nell'inchiesta il primo politico vero, Franco Licini, un «venetista» della prima ora, amico di Franco Rocchetta, fondatore della Liga Veneta, per la quale Licini è stato candidato alla Camera nell'83, poi consigliere comunale di Conegliano e consigliere provinciale a Belluno. Licini ha trascorso l'intera giornata nella caserma dei carabinieri di Mestre, in stato di fermo. Alle otto di sera è tornato a casa, libero perché, secondo la formula di legge, sono «cessate le esigenze istruttorie». Licini, disegnatore industriale, anche lui, avrebbe ammesso il suo ruolo. Ma quale sia stato non è chiaro. A casa gli hanno trovato piantine di Venezia e piani per «azioni dimostrative», tipo quella di San Marco. Sembra che ci fos- sero anche i disegni di costruzione dei due blindati. Quello che è certo è che con Licini l'inchiesta ha fatto un salto di qualità perché il personaggio è notissimo e non banale. Come ci ha detto un avvocato difensore degli arrestati «per noi giovani attivisti della Liga, quindici anni fa, Licini era un punto di riferimento». Luigi Faccia è tornato a casa e andrà a processo con accuse da ergastolo. I suoi avvocati, Ruggero Troiani e Monica Giatti, ci mostrano i capi di imputazione: attentato all'integrità e all'indipendenza dello Stato, associazione sovversiva, banda armata, insur- rezione armata, guerra civile. A questo punto però, dice l'avvocato Troiani, lo Stato deve porsi il problema del consenso che Faccia e i suoi nove amici raccolgono in Veneto e chiedersi se la mano pesante sia una linea conveniente, tenuto conto che in realtà la banda di San Marco non ha fatto male a nessuno e, seppure in modo un po' rozzo e un po' greve, ha soltanto messo a segno un atto di clamorosa protesta, nel modo e nelle forme che riteneva più eclatanti. Quale sarà l'atteggiamento dello Stato nei confronti degli indipendentisti lo vedremo presto, mercoledì 21 maggio quando nell'aula bunker di Mestre comincerà il processo per direttissima. Il procuratore di Verona Papalia sembra orientato verso la linea dura. Faccia ha raccontato che negli ultimi giorni di libertà la banda di San Marco sentiva il fiato della polizia sul collo. Pensavano di essere arrestati da un momento all'altro. In ogni auto che li seguiva, vedevano un'auto civetta della polizia. Pensavano che li avrebbero presi alla seconda interruzione del Tgl. Non sapevano che lo Stato era tanto inefficiente da lasciargliene fare ben 14 di incursioni sul telegiornale di Stato. Quando sono andati a San Mar- co sapevano che sarebbero stati presi, ha detto Faccia. Anzi l'azione doveva essere realizzata lunedì, il 12 maggio, duecentesimo anniversario della caduta della Repubblica di Venezia. Hanno anticipato a giovedì per essere sicuri che riuscisse. Quel giorno Luigi Faccia non era a Venezia e neppure a casa. Una specie di misura precauzionale: come se uno del Veneto Serenissimo governo (di cui Faccia era il presidente) dovesse per forza rimanere libero e forse lanciare qualche altro proclama. Non ne ha avuto il tempo. Cesare Martinetti «L'assalto era previsto per lunedì, abbiamo anticipato perché temevamo l'arresto» E' il primo vero politico a finire nell'inchiesta: amico di Rocchetta, è stato anche candidato alla Camera nell'83 II procuratore di Verona, Papalia che conduce l'inchiesta e a destra Franco Licini, interrogato