« Maastricht? Per noi è il Piave » di Massimo Giannini

« « Maastricht? Per noi è il Piave » L'ultimo slalom tra sacrifici e diplomazia ROMA. «Oggi il Dpef in Consiglio dei ministri? Chi l'ha mai detta una cosa del genere?». Ieri sera, appena rientrato a casa, il ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi cadeva dalle nuvole. E se gli si faceva notare che ad annunciarlo era stato poco prima un suo collega, il ministro del Lavoro Tiziano Treu, rispondeva sorpreso: «Bene, gli chiederò su quali basi ha fatto un annuncio simile». Tutt'al più, se ce ne sarà l'occasione, Ciampi stamattina si limiterà ad anticipare al premier e agli altri ministri i contenuti di massima del Dpef. Per la sua presentazione ufficiale se ne riparlerà la settimana prossima, concludeva insomma il ministro del Tesoro, assicurando comunque che il documento confermerà in modo netto e inequivocabile la volontà dell'Italia di aderire fin dalla prima fase all'Unione monetaria. Ciò significa, come chiariva anche il sottosegretario Giorgio Macciotta, che «quel testo affronterà anche i temi più spinosi della riforma del Welfare e delle pensioni: senza cifre analitiche, ma con un'indicazione molto precisa sugli interventi settoriali da adottare nel '98. Non ci possiamo permettere in nessun modo di correre rischi di restar fuori dall'Euro: sarebbe la fine non tanto di una classe dirigente, ma dell'intero Paese: saremmo travolti dalla speculazione, si impennerebbero i tassi e l'inflazione». Al di là dei ricorrenti corto-circuiti comunicazionali, dunque, nel governo pare rafforzarsi ogni giorno di più la linea del «cadornismo» finanziario su Maastricht. Ma questa linea sta crescendo in misura direttamente proporzionale ai rumors, che continuano a imperversare nelle capitali europee, sulla nostra sicura esclusione dall'Euro. Il moltiplicarsi di queste voci - soprattutto alla luce del «verdetto» negativo emesso dalla Commissione europea due settimane fa e del sostanziale disinteres- se per l'Italia dimostrato dall'amministrazione Blair, che ha cercato subito un asse privilegiato ed esclusivo con Germania e Francia - spinge l'«ala tecnica» del governo su posizioni sempre più agguerrite. Come dimostra lo stesso, ambizioso obiettivo di rapporto deficit/Pil che sarà indicato nel Dpef (cioè 2,8% rispetto a un tendenziale del 4,2%, che vuol dire una manovra per il '98 di circa 28 mila miliardi) e come conferma lo stesso Macciotta: «Al punto in cui siamo, qualunque scostamento del deficit che dovessimo verificare da adesso in poi, quest'anno o l'anno prossimo, lo colmeremo». Ma allo stesso tempo spinge anche il resto del governo ad improntare la propria strategia ad una maggiore Realpolitik, e dunque soprattutto a potenziare l'azione politico-diplomatica sui nostri partner. Le stesse mosse più recenti di Prodi sembrano esserne un indizio. La prima è stata l'intervista di inizio settimana al francese La Tribune, nella quale il premier ha annunciato, a freddo, che se dovessimo verificare il rischio concreto di una nostra esclusione da Maastricht, l'Italia adotterebbe tutti gli strumenti di reazione politica di cui dispone. E persino le parole pronunciate ieri mattina all'assemblea della Confcooperative quel «Maastricht è stato una scusa», perché di risanare il bilancio c'era e c'è bisogno in ogni caso - lascerebbero pensare che il presidente del Consiglio, pur continuando a getta¬ re il cuore oltre l'ostacolo, cominci a porsi il problema di cosa accadrebbe se gli sforzi fatti finora si rivelassero alla fine inutili, e voglia quindi tentare di giustificarli comunque, fin d'ora, davanti all'opinione pubblica. Il problema è che sia la prima cioè la tendenza a rinvigorire comunque gli sforzi di risanamento per farli corrispondere ai parametri del Trattato - sia la seconda reazione - cioè il pressing, al limite anche minaccioso, sulle cancellerie degli altri Paesi - potrebbero non produrre l'effetto sperato. Stringere ancora di più la cinghia, in termini di sacrifici sulla Finanziaria del '98, genererà infatti benefici effetti sul deficit, aumentando ancora di più il già clamoroso avanzo primario cumulato dall'Italia. Ma come ricordava Guido Tabellini sul Sole 24 Ore di ieri, resta pur sempre il nodo del debito pubblico, che in rapporto al Pil resta pari quasi al doppio del limite del 60% indicato dal Trattato. E' vero che è in diminuzione dal '94 ad oggi, ma decresce a un ritmo dell'1,5%, mentre quello del Belgio altro Paese che ha il problema dell'alto debito pubblico e che negli incontri fino ad oggi avuti con i partner il governo italiano ha sempre usato come «appiglio» - il ritmo di riduzione del debito nello stesso arco temporale viaggia verso il 10%. Quindi, se nella primavera del '98 i partner volessero farci fuori comunque, quand'anche noi avessimo dimostrato la sostenibilità di un de- cifit ben al di sotto del 3% del Pil, potrebbero farlo in ogni caso. Ecco perché è importante il lavoro politico-diplomatico, al quale Prodi si è convertito alacremente in queste ultime settimane. A persuaderlo, probabilmente, è stato anche il governatore della Banca d'Italia Fazio, da sempre euroscettico, e comunque convinto che «Maastricht è essenzialmente una questione politica». Tuttavia, anche qui le incognite non mancano: le «ritorsioni politiche» di cui il premier ha parlato alla Tribune, infatti, potrebbero riguardare tutti gli atti dell'Unione nei quali si vota all'unanimità - a partire dai lavori della Conferenza intergovernativa - e concretizzare un ostruzionismo italiano sulle ipotesi di allargamento dell'Unione europea ad Est (per esempio alla Polonia, alla quale la Germania tiene in modo particolare). Ma è chiaro a tutti quanti siano i rischi di un'azione del genere: dove ci potrebbe portare questo prolungato filibustering in Europa? E soprattutto, chi avremmo al nostro fianco, visto che la stessa Spagna continua a considerare se stessa al sicuro su Maastricht, e a giudicare l'Italia già condannata in partenza? Oppure quelle «ritorsioni» potrebbero essere le tanto temute svalutazioni competitive: ma anche queste potrebbero essere armi spuntate, perchè genererebbero inflazione da costi. Insomma, sia sul piano tecnico, sia sul piano politico, la nostra corsa verso Maastricht è sempre più ardua. Il governo lo sa, anche se lo ha capito tardi. Adesso, giustamente, non può più fermarsi: ma deve dimostrarlo con 0 Dpef e un serio «tavolo» sul Welfare. Poi deve convincere gli altri concorrenti a non fare sgambetti: i vertici di Noordwijk e dell'Aia e l'Ecofin del 2 giugno ci diranno se i tentativi funzionano, oppure no. Massimo Giannini

Persone citate: Carlo Azeglio Ciampi, Ciampi, Giorgio Macciotta, Guido Tabellini, Macciotta, Tiziano Treu