PER AMOR DI DIO UNA BELLA GIOCATA

PER AMOR DI DIO UNA BELLA GIOCATA PER AMOR DI DIO UNA BELLA GIOCATA Galeano: dall'Uruguay un elogio del calcio MONTE VIDEO OME tutti gli uruguaiani, ho voluto essere calciatore. Sono passati tanti anni e ho finito per assumere la mia identità; non sono altro che un mendicante di buon calcio. Vado in giro cappello in mano e negli stadi prego: Una bella giocata, per amor di Dio». Nel caffè O Brasileiro, Eduardo Galeano riconosce due influenze letterarie, Faulkner e Pavese, normali per tutta la sua generazione, e assicura che i libri «non si scrivono, sono loro che ci scrivono, così come il miglior vino ci beve». E' passato molto tempo dalle «Vene aperte di America Latina». «E' il primo libro della mia storia di scrittore. L'ho scritto a trent'anni, dopo quattro lunghi anni di ricerca, in novanta sere. Riconosco anche una preistoria, un periodo di apprendistato, in cui non prendevo sul serio quello che facevo. l SPLENDORI E MISERIE DEL GIOCO DEL CALCIO Eduardo Galeano Sperling & Kupfer pp. 244. L. 20.000 UN PASSO: LE MAGIE DI MARATONA ACCADDE nel 1973. Si misuravano le formazioni dei ragazzi dell'Argentinos Junior e del River Piate a Buenos Aires. Il numero IO dell'Argentinos ricevette il pallone dal suo portiere, scartò il centravanti del River e iniziò la sua corsa. Vari giocatori gli si fecero incontro. A uno fece passare il pallone di lato, all'altro tra le gambe, l'altro ancora lo ingannò di tacco. Poi, senza fermarsi, lasciò paralizzati i terzini e il portiere caduto a terra e camminò con il pallone ai piedi fin dentro la porta avversaria. In mezzo al campo erano rimasti sette ragazzini fritti e quattro che non riuscivano a chiudere la bocca. Quella squadra di ragazzini, le Ceboll itas, era imbattuta da cento partite e aveva già richiamato l'attenzione dei giornalisti. Uno dei giocatori e/ Veneno (il Veleno), che aveva tredici anni, dichiarò: «Noi giochiamo per divertirci. Non giocheremo mai per i soldi. Quando comincia a esserci di mezzo il danaro, tutti si ammazzano per poter essere delle stelle e allora arrivano l'invidia e l'egoismo». Parlò abbracciato al giocatore più amato di tutti, che era il più allegro e il più piccoletto: Diego Armando Maradona, che aveva dodici anni e aveva appena segnato quel gol incredibile. Maradona aveva l'abitudine di cacciare fuori la lingua quando era in piena spinta. Tutti i suoi gol erano stati fatti con la lingua fuori. Di notte dormiva abbracciato alla palla e di giorno con lei faceva prodigi. Viveva in una casa povera di un quartiere povero e voleva diventare un perito industriale. Eduardo Galeano Per me non era altro che un sottoprodotto del giornalismo, quello che mi interessava era il giornalismo, mi sentivo, soprattutto, giornalista. Da allora ho cominciato a sentirmi scrittore». Questo significava una promozione? «No. Niente affatto. C'è nel mondo della letteratura la cattiva abitudine che suole condannare il giornalismo a vivere nelle baracche della letteratura, alla periferia povera della letteratura, sacralizzando il libro sull'altare maggiore delle belles lettres. Per me il giornalismo è sempre stato un altro modo di fare letteratura. E io mi sentivo soprattutto giornalista, e quindi uno scrittore che faceva il giornalista. Ma da quando ho scritto Le vene aperte ho cominciato a sentire il sapore dei libri. Ho quindi scritto Vagamondo, una collezione di racconti brevi, Giorni e notti d'amore e di guerra, una testimonianza che raccoglie gli ultimi tempi del terrore in Argentina, con la dittatura militare e i primi tempi dell'esilio: io me ne sono andato dall'Uruguay in Argentina agli inizi del '73 e quindi ho lasciato l'Argentina a metà del '76. Già in Vagamondo avevo incominciato a lavorare al racconto breve, alternandolo al racconto lungo, ma in Giorni e notti mi son reso conto che la miglior maniera di raccontare delle storie, quella che mi piaceva di più, era raccogliere la realtà nei suoi frammenti, forse perché questa ci si presenta molto disintegrata. Così mi sono abituato ai testi brevi, che dopo sviluppai in altre opere, soprattutto nella trilogia Memoria del fuoco, cui lavorai nove anni e mezzo. Per cominciare a camminare ebbi necessità di questa terra ferma. Dopo la trilogia ho scritto il Libro degli abbracci, il testo che sento più intimamente mio, un libro di testi brevi che raccontano cose che mi sono capitate o che sono capitate ai miei amici. Io sento di possedere una suffi¬ ciente magia per raccontarle agli altri. Dopo venne te parole andanti, un libro che raccoglie e sviluppa leggende latinoameri¬ cane, il mondo della immaginazione, la bizzaria libera e il delirio, che ho fatto insieme con un incisore brasiliano, J. Borges, un grande artista popolare. E alla fine ho scritto Splendori e miserie del gioco del calcio». Leggendo la sua opera si ha l'idea che politicamente lei non abbia avuto grandi mutamenti, soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino. «Sono ancora fedele alle idee in cui credo e alla gente che amo. Potrebbero riassumersi dicendo che il sottosviluppo non è una tappa dello sviluppo ma la sua conseguenza, che i Paesi del Sud del mondo non si trovano nel¬ l'infanzia del capitalismo ma nella sua decrepitezza, e che non è legittimo confondere un bambino con un nano anche se sommariamente si somigliano. Credo ancora che il mondo è mal organizzato, come credevo negli Anni 70; che è molto ingiusto e che quello che prima si chiamava "capitalismo" e adesso si chiama "economia di mercato" non ha la minima possibilità di farla finita con questa ingiustizia. Non sono mai stato stalinista. Da piccolo ero nella gioventù socialista, qui, in Uruguay, e mi opposi all'intervento sovietico in Ungheria, in Polonia, in Cecoslovacchia, in Afghanistan. Fui membro del primo tribunale internazionale LE VIE DEL MONDO • viaggi d'autore Ogni 2 mesi nelle migliori librerie Nella stessa serie: Istanbul Rajasthun Praga Golfo di INa|M>li Parigi La nuova collana di Guide letterarie del TblJRING Touring Club Italiani « SC& -SUB SWW «Vv » tlltt