La macchina da presa che pedina due ragazze di Alessandra Levantesi

La macchina da presa che pedina due ragazze Sullo schermo il mormorio della giovinezza La macchina da presa che pedina due ragazze CANNES. «Un festival très gay» intitolava ieri «Liberation» un suo editoriale, facendo il conto dei film a tema omosessuale presentati finora sulla Croisette: da «Il bagno turco» al cinese «East Palace West Palace», da «Love and Death on Long Island» di Richard Kwietniowski, definito quanto di più vicino a «Morte a Venezia» in versione americana, a «Murmur of Youth» di Lin Cheng-sheng: anche se a noi sembra che il vero argomento di questo bel film taiwanese sia proprio quello del titolo. A Taipei due fanciulle dallo stesso nome sono pedinate nella loro quotidianità dalla macchina da presa. Mei-li 1, di origine borghese, abita in un grattacielo, Mei-li 2, di estrazione operaia, risiede in un sobborgo di periferia. Entrambe vivono con affettuosa rassegnazione una situazione familiare che vorrebbero diversa e in cui, come spesso succede ai giovani, poco si riconoscono. La prima soffre della depressione del padre angariato dalle continue recriminazioni della moglie, l'altra non capisce l'accanimento del genitore contro la nonna svampita che aspetta fiduciosa di poter parlare con il marito defunto. Quando le ragazze impiegandosi come cassiere di un cinema fanno conoscenza e trascorrono lunghe ore insieme dietro il vetro del botteghino, cosa che permette loro di guardare al mondo senza essere viste, il film cambia impercettibilmente registro, passando idealmente dal campo lungo al primo piano. Là dentro Mei-li 1 e 2 non sono più gli anonimi segni di un vasto affresco di alienazione metropolitana: in quello spazio ristretto e privato possono reinventarsi, far affiorare in libertà malinconie immotivate, infelicità amorose, la voglia di canzonette e di risate ancora infantili, la gioia segreta della complicità, il piacere di ascoltarsi e raccontarsi; ed è il mormorio della (loro, nostra) giovinezza ad imporsi delicatamente sullo schermo. Cosicché il finale approdo sessuale del rapporto assume un senso che va al di là della mera attrazione lesbica, diventando per le protagoniste il suggello di un'epoca e l'ingresso nella maturità con le sue nuove prove e le sue nuove sfide. Giocando su piccoli spunti, il regista rispecchia con leggiadria e stoicismo il banale presente degli adulti sulla linea di fuga della visionaria vecchiaia della nonna prossima a scomparire e dell'inquieta fragilità di una giovinezza che sta consumandosi. Girato nei tempi ipnotici e coinvolgenti del miglior cinema di Taiwan, il film del trentottenne Lin Chengsheng, che si era segnalato proprio qui a Cannes lo scorso anno con l'opera d'esordio «A Drifting Lite», è la conferma di una personalità e di uno stile. Vorremmo poter dire lo stesso dell'ucraino Viatcheslav Krichtofovitch che alla Quinzaine, dove aveva debuttato nel '91 con «La costola di Adamo», ha presentato «Un amico del defunto», coprodotto dalla Francia. Una comme¬ dia basata su un'idea divertente, se non fosse che la fattura è miserella; e sembra incredibile che il direttore della fotografia sia il Vilen Koluta di «Sole ingannatore». In rappresentanza di una classe intellettuale che nel passaggio dal socialismo reale al capitalismo selvaggio ha perso ogni prestigio, Tolik è un frustrato giovane di Kiev che campicchia di traduzioni mentre la moglie pubblicitaria fa carriera e lo tradisce con un collega. Un bel giorno, Tolik decide di farsi ammazzare da un killer per porre fine alle sue pene. Poi però ci ripensa, innescando a dispetto della sua scelta di passività una serie di paradossali dinamiche, degne del protagonista di un noir demenziale; o meglio di un racconto grottesco di Gogol ambientato ai nostri giorni. E' abbastanza inedito e curioso questo bizzarro personaggio che nel tentativo di mantenersi fedele ad ima linea morale finisce implicato nelle peggiori cose, dalla falsa testimonianza all'omicidio, in una Kiev in cui fare un contratto per uccidere è più facile che nella Sicilia mafiosa. E tuttavia, come si diceva, è questione di stile; quando manca, manca. Alessandra Levantesi E dall'Ucraina una specie di Gogol dei giorni nostri: ma senza stile Sinistra, una scena di «Il bagno turco». Sopra il cinese Zang Yimou

Persone citate: Gogol, Richard Kwietniowski, Viatcheslav Krichtofovitch, Youth, Zang Yimou

Luoghi citati: Cannes, Drifting Lite, Francia, Kiev, Sicilia, Taipei, Taiwan, Ucraina, Venezia