la notte dei lunghi machete di Mimmo Candito

la notte dei lunghi machete la notte dei lunghi machete Marchiate le case del clan finora al potere FINE REGNO NELLA CAPITALE KINSHASA DAL NOSTRO INVIATO Sempre, in Africa, i tramonti sono abbandoni lenti della luce, dopo che l'aria si è liberata dal calore ossessivo del giorno e va ristorandosi al primo soffio della sera. Mai però avevo visto un tramonto lungo quanto ieri, a Kinshasa, con un sole che se ne stava immobile sulle acque piatte del Congo. E' stata un'agonia ostinata. Ieri finiva un tempo della storia, il tempo dei vecchi dittatori nati nelle incubatrici della decolonizzazione. E quel sole che si rifiutava di morire li accompagnava lentamente, per sempre. Da dietro i grandi alberi salivano intanto nel cielo, già nero, i fumi pigri dei fuochi della notte. Ma nessuno, in realtà, sa quanto misteriosa possa essere la notte di un mondo che finisce. Una notte di strade senza luce, e di fantasmi che i fucili dei soldati non riescono a tenere lontani dalle paure collettive. Ieri, dopo che il sole ha finalmente accettato di uscirsene di scena, e dalla foresta è arrivato il fiato umido della notte, Kinshasa si è fatta all'improvviso una città morta. Quando leggerete queste righe, la notte quaggiù sarà ormai passata. Forse è stata soltanto la prima notte di una serie tormentata, o forse sarà l'unica notte di un'angoscia che non si ripeterà più. Ma ora, mentre scrivo, è una notte che mette i brividi a tutti. L'Africa ritrova in questo buio gocciolante di afa la violenza della natura, la forza espressa da un dominio senza le leggi correttive dell'Occidente. E il coprifuoco imposto ieri sera dall'ultimo governo di Mobutu appariva come il tentativo disperato di restituire un ordine della storia a pulsioni che salivano invece dal cuore più misterioso di questo continente. Kinshasa, ieri notte, era una polveriera che ruggiva di furore. L'a¬ vanzata dei ribelli di Kabila stringeva la città ancora da lontano, ma veniva sentita ormai come un cerchio che va chiudendosi ineluttabilmente e soffoca già i ritmi della vita quotidiana: i soldati che ti fermano per prenderti qualche pugno di dollari si erano fatti bruschi, ti afferravano il braccio con rudezza, senza più ipocrisie. I loro fucili, il mitra appeso al braccio, non erano più una minaccia lontana. La notte che arrivava si portava addosso il sudario tragico del saccheggio, e nelle case dei bianchi per molti il sonno non è mai arrivato: la voce dei telefonini e dei walkie-talkie si è allungata spesso dentro le strade vuote e immobili. Certamente fino alla prima alba. Dentro quel buio si allargava intanto la ragnatela dei «vietcong» di Kabila, che negli ultimi giorni si sono infiltrati silenziosamente dentro la periferia di Kinshasa stendendosi poi su ogni quartiere, guadagnando i vicoli puzzolenti della vecchia Cité, la piccola rampa verde di Binza, i dedali misteriosi del mercato, le rovine fatiscenti degli antichi palazzi coloniali. Toccherà ai «vietcong» dare l'ultimo assalto ad un potere che ormai non esiste più, retto soltanto dalla vischiosità delle istituzioni e dalla residua consistenza dei depositi militari. Un potere sulla cui morte l'incertezza riguarda soltanto la data, in un calendario che non mostra più pagine da sfogliare. Ieri notte l'armata dei ribelli era ormai a conto chilometri da Kinshasa; ha rotto l'argine che i guerriglieri angolani dell'Unita avevano tentato di montare addosso al fiume Kwango, e da Oriente marcia verso la città; a fermarli è rimasto soltanto il fossato del Fiume Nero, il Mai Ndombe, dove gli angolani hanno fatto saltare l'ultimo ponte. Ma è poco più di un affare da genieri, l'intoppo di una logistica che sa adattarsi ai mille ostacoli della giungla. I ribelli avanzano anche da Ovest, dove sono intanto accorsi gli ultimi rinforzi raccattati a suon di dollari dai generali di Mobutu, e avanzano dal Nord di Bandundu, lungo il corso del fiume Zaire. Il cerchio si stringe, come a Saigon; ma, come a Saigon, il controllo del terreno lo prenderanno intanto i «vietcong». Saranno loro a decidere nelle strade quando, e come, finirà il lungo regno di Mobutu Sese-Seko; aspettano soltanto un ordine. Gli ultimi, febbrili negoziati che s'intrecciano in queste ore tra Johannesburg, Lubumbashi, e l'ambasciata americana di Kinshasa, tentano di impedire l'arrivo di quell'ordine e di imporre un condizionamento politico all'egemonia militare di Kabila. Ma l'agonia di un potere arriva sempre alla fine. Le paure della notte di Kinshasa non sono comunque le paure dei «vietcong», o della loro armata che avanza sulla città a quattro fronti. Tranne che per la «famiglia allargata» di Mobutu (la cricca tribale del potere), l'arrivo dei ribelli sarà sentito da tutti come la liberazione di Kinshasa, non sarà la caduta della città. Però la rottura di un ordine imposto per trentadue anni apre un vuoto drammatico, nel quale precipitano ora le rabbie, le speranze, gli odii. delle etnìe che per tutto questo tempo hanno dovuto subire il dominio degli Mbangala. I Kasai e i Baluba hanno ormai preparato le loro armi, sono state segnate le case abitate dalla gente avversaria, il massacro passa dentro il filo della notte. E' questo, il ruggito che ieri al tramonto veniva su dalle strade oscure della capitale e tappava nelle loro case i bianchi che ancora sono rimasti qui. L'Africa ritrova le proprie antiche radici, una svolta drammatica della storia la risbatte di nuovo a misurarsi con la sua cultura, con la lenta misura del suo arcaico cronogramma. Dall'altra parte del fiume Congo, cinquemila soldati americani, belgi, francesi, tedeschi, portoghesi, hanno intanto passato questa notte in stato di all'erta massima: le armi a piede, il colpo in canna, pronti a balzare quaggiù al primo segnale di attacco contro i bianchi. Anche i ribelli ci hanno ordinato di non uscire nemmeno per strada in questi tre giorni, dal tramonto di ieri fino a venerdì: ogni passo sarebbe un passo verso la morte. Si sparerà a vista. L'Africa torna a essere un cuore di tenebra. Buongiorno, ora, mondo. Mimmo Candito r o o i ò o e , i i Ribelli in marcia su Kinshasa sotto gli occhi dei ragazzini zairesi

Persone citate: Kabila