la gravidanza segreta finisce con un orrore

la gravidanza segreta finisce con un orrore Ricoverata per un'emorragia, ha confessato: l'ho spinto giù con lo spazzolone e ho tirato l'acqua la gravidanza segreta finisce con un orrore Prato: ragazza madre partorisce e getta il neonato nel «water» PRATO. Ieri Cristina, 30 anni, aveva una vita più che dignitosa: un lavoretto sicuro, nella fabbrica dello zio. Prima della grande follia aveva l'affetto della famiglia: padre operaio, madre casalinga, fratello maggiore anche lui in fabbrica. Viveva in una villetta a Poggio a Caiano, sui colli toscani, a un passo da Prato. Oggi a Cristina rimane solo mi incubo. All'alba si è alzata dal letto, in preda ai dolori. Sono quelli che ogni donna riconosce: i crampi del parto. Ha partorito un maschietto prematuro, di otto mesi, in bagno. Da sola. Prima che suo padre si alzasse per andare al lavoro, mentre sua madre ancora dormiva. Ha reciso il cordone ombelicale, con quello che aveva a disposizione, forse un paio di forbicine, poi ha lasciato cadere il suo bambino nel water. Ha tirato l'acqua, poi l'ha spinto giù, più giù, ancora più giù, con lo spazzolone. Per cancellare tutto, il dolore e la vergogna. Cristina è tornata a letto, stanca com'era. Ma alle 11 l'emorragia, la richiesta di aiuto rivolta alla mamma, una donna di 55 anni, la telefonata al fratello e la corsa all'ospedale. I medici del «Misericordia e Dolce» di Prato hanno impiegato poco a capire che aveva dato alla luce un bambino poche ore prima. Le hanno chiesto informazioni, ma lei sotto shock non le ha sapute o volute fornire. «Dov'è il bambino», hanno domandato medici, poliziotti e infine, con pazienza, una psicologa. La risposta è arrivata tre ore più tardi, alle 14. «Ho partorito e lasciato il bambino nel wc. Ho tirato l'acqua e l'ho spinto giù, tre o quattro volte, con lo spazzolone. Nessuno ha sentito nulla. Gli altri dormivano». Ecco la verità. Dopo ore convulse, durante le quali squadre di vigili del fuoco, di vigili urbani, volontari, agenti della mobile hanno compiuto ricerche forsennate, rivoltando la casetta a due piani, setacciando le strade adiacenti, cercando nelle fogne, nei cassonetti per recuperare il corpo del neonato, improvvisamente i battenti della casa si sono richiusi. Dalla porta ne è uscita un'ora più tardi una bara bianca. «Mia nipote è una ragazza particolare. Era come se non fosse mai cresciuta, era rimasta una bambina». Di Cristina è disposto a parlare solo lo zio, Coriolano, titolare della tessitura artigianale, a Vaiano, una decina di chilometri da Poggio, nella quale Cristina lavorava da un anno. I familiari sapevano. A loro Cristina aveva confidato tre mesi fa il suo stato. «Il padre non lo conosceva nemmeno lei - continua lo zio -. Andava con dei ragazzi, con tanti. Ma lo faceva così, senza pensare, perché era malata». Quel figlio Cristina non lo voleva. Lo aveva anche detto. Ai genitori aveva spiegato che la sua intenzione, una volta partorito, era quella di farlo adottare. «Ma secondo noi - aggiunge Coriolano - quel bambino poteva essere una benedizione. Le abbiamo consigliato di tenerlo. Speravamo che l'aiutasse, che la facesse maturare. Mia moglie aveva già preparato il corredino». Sono solo ricordi. Oggi Cristina ha due poliziotti davanti alla camera numero 6 del reparto di maternità e un'unica prospettiva: difendersi dall'accusa di omicidio e occultamento di cadavere. Cristina Orsini I familiari: avevamo tentato di convincerla a tenere il piccolo

Persone citate: Cristina Orsini I, Dalla, Poggio

Luoghi citati: Poggio A Caiano, Prato, Vaiano