«Un malessere reale dietro quei pazzi» di Valeria Sacchi

«Un malessere reale dietro quei pazzi» «Un malessere reale dietro quei pazzi» Gli industriali del Nord-Est contro «lo Stato invadente» VICENZA DAL NOSTRO INVIATO «Quella del campanile è una pazza idea che però non nasce dal nulla. Sono punte estreme, ma nascono su un malessere diffuso che in mentalità semplici può portare a questi gesti assurdi. E' di questa rabbia che bisogna preoccuparsi, di questo territorio che si sente preso in giro. Qui in Veneto è nato il federalismo, qui la flessibilità. Poi del federalismo si sono impadroniti tutti, tutti si dicono d'accordo e non se ne fa più niente». Così commenta la «presa del campanile» Pino Bisazza, re del mosaico e presidente degli industriali vicentini. Il quale ha riunito nell'assemblea annuale i suoi iscritti, ponendo un tema di discussione: «Impresa: rischio di estinzione?» che, puntualmente, riecheggia il disagio del Nord-Est imprenditoriale. Nel quale - parole di Bisazza - «gli imprenditori sono rimasti soli, costretti a correre i cento metri con lo zaino pieno di pietre sulla schiena». Colpa del governo e di Prodi, colpa I di un'opposizione «che si è mossa in modo contraddittorio» e di una Chiesa che ha scarsa comprensione «per l'evoluzione dell'economia mondiale», in testa il vescovo di Vicenza, Pietro Nonis, che ancora se la prende con le multinazionali. La lunghezza d'onda di Bisazza trova rispondenza nel parterre industriale veneto. «Non condividiamo la presa del campanile, sono colpi di testa inammissibili. Non siamo d'accordo né con Padovan né con la secessione» esordisce il padrone della Ceramica Dolomiti, Luigi Arsellini, presidente degli industriali di Belluno e vicino alla presidenza di Federveneto. Che aggiunge: «C'è un tipo di contestazione di cui dobbiamo tener conto. Ma il governo non ha mantenuto le promesse sul federalismo, ha solo agito sulla leva fiscale per portarci a Maastricht». Tutti d'accordo nello stigmatizzare «la pagliacciata di un gruppo che non dimostra realismo» come spiega Alessandro Dolcetta, padrone della Fiamm. Ma anche tutti d'accordo nel sottolineare che, perfino dietro agli otto scriteriati del campanile, c'è il «malessere complessivo», la «rabbia» contro uno «Stato invadente». Non può sottrarsi al campanile Giorgio Fossa, che cerca di conciliare la condanna all'assalto a una risposta comune. E osserva: «E' un problema che non va né enfatizzato né sottovalutato. A settembre, dopo le giornate sul Po della Lega, avevo detto che dovevamo fare attenzione e spingere molto sul federalismo. Non dobbiamo fermarci al folklore, ma affrontare il malessere che esiste». Antonio D'Amato, consigliere per il Mezzogiorno della Confindustria, sottolinea «la necessità, comune sia al Sud sia al Nord- Est, di ridefinire il ruolo dello Stato», mentre l'economista Marco Vitale è drastico: «Questo Stato centralista dell'800 non va più bene». Ma come mai il Nord-Est si sente così «solo»? Tenta una risposta Lanfranco Turci, responsabile Industria del pds: «Il Veneto non ha ancora individuato forti referenti politico-istituzionali». «Sì - ammette Bisazza - manca un peso politico. Siamo forti con la Lega, ma non è un interlocutore politico a Roma». E il tempo stringe. Pietro Marzotto ha avvertito: «Se non si cambia nel Veneto e fuori dal Veneto, tra due o tre anni ci troveremo a discutere davvero di secessione». Valeria Sacchi A sinistra: il presidente di Confindustria Giorgio Fossa. Sopra: Pino Bisazza, leader degli imprenditori vicentini

Luoghi citati: Belluno, Roma, Veneto, Vicenza