Le riforme davanti ai dubbi del dopo voto di Augusto Minzolini

le riforme davanti ai dubbi del dopo voto le riforme davanti ai dubbi del dopo voto D'Alema ottimista: ora il Polo diventerà più ragionevole OROMA RA è tutto da dimostrare che quell'acquitrino, che finora ha bloccato tutto e tutti, inneschi un «processo virtuoso», in altre parole favorisca - come afferma Oscar Luigi Scalfaro, nell'inconsueta veste del politologo - il lavoro della Bicamerale. Anzi, c'è da ritenere l'esatto contrario, che perpetui la paralisi o magari generi pericolose illusioni. A meno che - ma torniamo alla madre di tutte le questioni Massimo D'Alema non si armi finalmente di quel coraggio che finora gli è mancato. Ma perché il segretario del pds dovrebbe fare oggi quello che non ha fatto ieri? Perché dovrebbe sfidare Fausto Bertinotti sulla riforma dello Stato sociale, o irretire Armando Cossutta sulla legge elettorale dopo che i voti di Rifondazione hanno aperto la strada all'elezione di Valentino Castellani a Torino? Già, perché? Negli ultimi giorni il segretario del pds ha assunto posizioni interpretabili in modo diverso, ha fatto delle aperture a Caio che potrebbero rivelarsi chiusure, ha regalato dei «sì» a Tizio che potrebbero nascondere dei «no». Si è mosso, insomma, a 360 gradi lanciando segnali a Rifondazione, a Berlusconi, a Bossi, al Di Pietro dell'assemblea costutuente: come si potrà mettere insieme poi il diavolo con l'acqua santa, questo lo sa solo lui. Ieri, nelle due riunioni a cui ha partecipato a Botteghe Oscure quella dell'esecutivo e quella del comitato politico - D'Alema si è preoccupato soprattutto di spargere ottimismo a piene mani. Ha tentato quasi di coinvolgere i suoi in un training autogeno collettivo. Risultato: Piero Folena è uscito da Botteghe Oscure con l'entusiasmo dei kamikaze. «Queste elezioni - ha spiegato convinto - le ha vinte solo D'Alema». Ecco l'argomento usato dal segretario del pds: le elezioni non hanno cambiato niente, non hanno né vinti né vincitori, e questo aumenta le chance del governo e della Bicamerale. E il maggiore potere contrattuale di Bertinotti? «Che bisognava fare i ROMA. Nello studio di Gianfranco Fini, al secondo piano di via della Scrofa, soltanto pochissime persone possono sedersi davanti al capo, guardarlo negli occhi e chiedergli: «Gianfranco, dimmi la verità: non ti candidi a Roma contro Rutelli perché non sei sicuro al cento per cento di farcela, vero?». Uno dei pochissimi a potersi permettere certe confidenze è Mirko Tremaglia e proprio questa è la domanda che qualche giorno fa il passionale Mirko aveva fatto a Fini. E la risposta del capo era stata: «La mia preoccupazione non è certo quella di non farcela e in ogni caso non credo proprio che mi candiderò». Ma nell'ultima settimana Fini ci ha rimuginato e alla fine è stato preso da una sottile tentazione, tanto è vero che ieri ha aperto per la prima volta uno spiraglio, sia pure nascosto dietro una spessa nube: «Propendo per non candidarmi, perché non potrei fare in modo dignitoso il sindaco continuando a svolgere il mio ruolo nazionale», ha detto il leader di conti con Rifondazione - è stata la risposta del numero uno di Botteghe - lo si sapeva da quando si sono vinte le elezioni del 21 aprile dello scorso anno», Ma perché la situazione venuta fuori dal voto dovrebbe spingere il Polo a dare il via libera alle riforme? «Perché è soddisfatto - è l'analisi offerta da D'Alema ai suoi collaboratori -, perché si sta radicando sul territorio. Vedrete che saranno più possibilisti. Anche il fatto che non ha avuto successo la spallata contro il governo li renderà più ragionevoli». A quale proposta dovrebbero dire di «sì» Berlusconi e Fini: un An al Maurizio Costanzo Show. Ma con nonchalance Fini aggiunge: «A meno che non intervengano avvenimenti nuovi ed imprevedibili...» e comunque «nelle prossime settimane avvierò una sorta di primarie fra gli elettori di An per chiedere se preferiscono che faccia il sindaco o se devo continuare ad impegnarmi in un discorso nazionale». E ieri sera, incalzato da Maurizio premierato forte, che proveda la fiducia presunta (il governo formato dal candidato che vince le elezioni non dovrebbe ricevere la fiducia dal Parlamento), che assegni al presidente del Consiglio il potere di sciogliere le Camere, che istituisca addirittura il vincolo di mandato, cioè il deputato eletto in una coalizione non potrebbe cambiare schieramento. Il premier non sarebbe eletto direttamente ma il suo nome comparirebbe nella scheda elettorale insieme a quello del candidato. Il tutto sarebbe corredato da una legge elettorale a doppio turno: «Il doppio turno - ha spie¬ gato ieri il segretario del pds - è fondamentale. Ce ne sono solo di due tipi: o nei collegi, o di coalizione. Io preferisco certamente il primo, ma siamo aperti anche all'altro. Uno dei due, comunque, si deve fare». Inutile dire che una definizione del genere è per sua natura indefinita: quelle parole possono indicare il doppio turno aperto alla Sartori che piace a D'Alema, il sistema delle provinciali che affascina Cossutta, il «modello Barbera» che potrebbe strappare il consenso di Berlusconi. Tutto è lasciato aperto proprio per far nascere illusioni e favorire dei «qui prò quo». Con una postilla, però: «Per far approvare una legge elettorale c'è bisogno di una maggioranza in Parlamento». Il che, tradotto, significa: ogni soluzione nascerà sotto il segno del compromesso. Ma davvero c'è la possibilità ; di un accordo sulle riforme? In queste condizioni c'è il rischio di | un miraggio. «E' meglio - predice Giuseppe Pisanu, capogruppo di Forza Italia, - gestire il fallimento della Bicamerale che non un pastrocchio. Mi sbaglierò, ma secondo me finirà così. D'Alema non può pensare di avere il doppio turno senza darci l'elezione diretta e neppure un sistema elettorale che preveda un ballottaggio a due. Non può tentare l'accordo con tutti: con Bossi, con Di Pietro, gli manca solo un pizzardone. Così non andrà da nessuna parte. Berlusconi non andrà neppure alla riunione di mercoledì prossimo in Bicamerale: ascolteremo la proposta di D'Alema e gli daremo una risposta tra quindici giorni...». L'ottimismo, quindi, se non è fuori luogo, è sicuramente esagerato. Non si può fare nulla senza un atto di coraggio, rinviando le scelte, esorcizzando le difficoltà. Non si possono fare le riforme né si può governare un Paese all'insegna del «non succede niente», ignorando i carabinieri che voltano le spalle al ministro della Difesa, gh alpini che fischiano il Capo dello Stato, i richiami della Commissione europea. Augusto Minzolini Ma Pisanu frena «La Bicamerale fallirà Il pds non può tentare l'accordo con tutti Gli manca solo un pizzardone» Il presidente di Alleanza nazionale Gianfranco Fini

Luoghi citati: Roma, Torino