Lavoro, la schiavitù precaria

il caso. Fine del fordismo, critiche al Welfare: due tesi opposte sull'occupazione in crisi il caso. Fine del fordismo, critiche al Welfare: due tesi opposte sull'occupazione in crisi Lavoro, la schiavitù precaria Tra disoccupati e part-time, un futuro di dubbi OVE va il lavoro umano? Qual è il senso delle trasformazioni che lo sconvolgono? Come si lavorerà fra vent'anni? Come lavoreranno i nostri figli? Due libri appena usciti danno risposte totalmente opposte a questi interrogativi, nei quali si riassume una questione nevralgica della fine del secolo: la crisi del lavoro. La fine del sistema fordista di produzione, le debolezze denunciate dal Welfare State in tutti i Paesi, la globalizzazione dei mercati, il basso costo della forza lavoro nei Paesi sottosviluppati, l'impiego delle tecnologie elettroniche, la perdita di potere dei sindacati hanno abbassato i livelli di occupazione e hanno aumentato i confini del precariato. Il futuro del lavoro, nelle società industriali, è dentro un imbuto. Che cosa ne verrà fuori? Un lavoro peggiore o migliore? Sicuramente peggiore, per Viviane Forrester, autore del pamphlet L'orrore economico (pubblicato da Ponte alle Grazie), che in Francia ha venduto 170.000 copie in due mesi, diffusione da best-seller per un saggio economico. Sicuramente migliore, per lo psicologo del lavoro Renato A. Rozzi, allievo del grande Cesare Musatti, che ha raccolto in un centinaio di pagine una succosa e fulminea analisi: Costruire e distruggere (il Mulino, Bologna). Per quanto le tesi, e quindi le diagnosi, degli studiosi di economia possano essere molto diverse, e talvolta stridenti, secondo i punti di vista ideologici, dottrinari e politici, come si spiegano due valutazioni cosi opposte del futuro del lavoro? Se leggi la Forrester, puoi immaginare di affacciarti sull'orlo del baratro che fra poco ci inghiottirà tutti. «Lavoro, economia, disoccupazione - recita il sottotitolo del suo libro -: la grande truffa del nostro tempo». Se leggi Rozzi, riconosci tutti gli errori e gli sprechi che caratterizzano oggi il mondo del lavoro, ma la prospettiva finale è una rottura di confini troppo protetti, verso for- me di attività che tendono «ad una maggiore libertà e responsabilità». Questa divergenza di giudizio si spiega innanzi tutto con la diversa personalità dei due autori. Viviane Forrester non è una studiosa di economia, né uno scienziato sociale, ma una scrittrice di romanzi e un critico letterario. Il suo pamphlet, diventato il libretto rosso dei disoccupati, fa parte del filone apocalittico della letteratura. E' la descrizione appassionata, carica di furori, densa di citazioni, di un mondo divorato dal Moloch del mercato. Questo mondo è dominato dalla concentrazione di grandi poteri nelle mani di pochi, che sono chiamati «i padroni» o «le potenze», identificati soprattutto con la Banca Mondiale, l'Ocse, il Fondo monetario internazionale, il G7. Sotto di loro si distende un deserto di Gobi dove gli uomini sono stati privati non soltanto del lavoro ma anche dello sfruttamento. Non servirebbero più. Immaginifico e un po' retorico, L'orrore economico è una requisitoria contro il neoliberismo accusato di riorganizzare il mondo del lavoro in funzione del profitto. Naturalmente Marx aveva detto le stesse cose, ma la novità denunciata dalla Forrester sarebbe una politica internazionale che punta all'espulsione massiccia di milioni di uomini da un'economia di mercato per la quale non sono più fonte di profitto. «E si sa - aggiunge - che non lo ridiventeranno mai». Tutte le novità dell'era postfordista, dalle innovazioni tecnologiche al controllo qualità, dalla flessibilità al part-time, alla cassa integrazione zero ore, punterebbero a una larga fascia di non occupati, garanzia di bassi costi della forza lavoro internazionale (anche questo occupa qualche paginetta marxiana). Completamente diverso il rapido saggio di Renato A. Rozzi, a cominciare dal linguaggio, che è pacato, analitico, un po' ironico, colloquiale. Il linguaggio di uno studioso che ha provato a confrontare le sue conoscenze teoriche con i casi della vita reale, lavorando come psicologo e psicoterapeuta prima in un carcere per minorenni, quindi in una istituzione psichiatrica, infine in una grande fabbrica. La chiave del suo approccio alla grande questione del lavoro è infatti psicologica. Cerca di mettere a fuoco il nostro rapporto col lavoro attraverso la consapevolezza che ne abbiamo e le motivazioni che lo giustificano. «Anche questa generazione adulta ha la¬ vorato molto - scrive Rozzi -. Ma non è più tanto sicura che sia stato del tutto un buon lavoro». La novità è la fine non del lavoro ma delle nostre certezze sul lavoro. Che cosa abbiamo dovuto scoprire? Che il lavoro può essere distruttivo. Pensiamo all'inquinamento. In apparenza e in origine il lavoro è stato sostanzialmente co- struzione. Oggi invece «il costruttore sperimenta anche dentro di sé il proprio opposto». Però questa coscienza dei limiti e delle contraddizioni del lavoro modifica le motivazioni per cui si lavora: il lavoro può non essere più un bisogno: «Non si può continuare a chiedere lavoro come se fossimo un vuoto da riempire». Attraverso un percorso tortuoso, si approda alla riscoperta della nobiltà del lavoro. La produttività ha svelato la distruttività di cui è minacciosamente carica. Da ciò nasce l'ipotesi di una «minore necessità» del lavoro. In questa prospettiva orari ridotti, flessibilità, part-time, eccetera potrebbero favorire forme di libertà. Partigiano il libro della Forrester, disincantato quello di Rozzi, sono una significativa rappresentazione delle tesi, delle prognosi, delle polemiche, dei patemi di cui la questione del lavoro è intrisa. I dati e i fatti rimbalzano da un campo all'altro. L'unica cosa certa, di cui al Mulino si dolgono, è che Rozzi non venderà mai 170.000 copie. Alberto Papuzzi Dalla Francia una requisitoria contro il neoliberismo, dall'Italia un'analisi più psicologica esi opposte sulloccupazione in crisi ù precaria n futuro di dubbi onale che punta ssiccia di milioni conomia di mere non sono più E si sa - aggiun ridiventeranno vità dell'era ponnovazioni tecollo qualità, dal part-time, alla e zero ore, pun larga fascia di ranzia di bassi lavoro interna questo occupa marxiana). e diverso il rapito A. Rozzi, a couaggio, che è pa po' ironico, colggio di uno stuato a confrontaze teoriche con i le, lavorando cocoterapeuta pristruzione. O«il costruttmenta anchesé il proprioPerò questadei limiti e traddizioni modifica le mper cui si lavoro può nonun bisogno: «Non si pure a chiedere lavoro como un vuoto da riempverso un percorso tortproda alla riscoperta ddel lavoro. La produttilato la distruttività di cciosamente carica. Dal'ipotesi di una «minoredel lavoro. In questa orari ridotti, flessibilime, eccetera potrebbeforme di libertà. Partigiano il libro dster, disincantato quel Operaie al lavoro in una piccola industria

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