Una rete secessionista dietro l'Armata

Gli uomini di piazza San Marco farebbero capo a una struttura organizzata per cellule. Minacce contro i Gis Gli uomini di piazza San Marco farebbero capo a una struttura organizzata per cellule. Minacce contro i Gis Una rete secessionista dietro l'Armata Più di venti gli indagati VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO Via fax l'«Armata» della Serenissima Repubblica veneta si fa minacciosa con il «comunicato n.2» che ricorda la sinistra liturgia brigatista annunciando di voler rispondere «occhio per occhio, dente per dente» all'arresto degli otto che l'altra notte hanno dato l'assalto al campanile di San Marco. Dietro di loro, ci ha confermato ieri uno degli inquirenti, c'è una rete, estesa, capillare, probabilmente costituita per cellule, distribuite nel Veneto, responsabili - operativamente per ora soltanto delle incursioni nei Tgl. Ma che forse sono in grado anche di alzare il tono, almeno verbale, di questa ribellione che in Veneto trova simpatie diffuse, visto che da ogni parte sono arrivate anche ai giornali telefonate di consenso e offerte di aiuti per la difesa di quegli otto, «bravi», ragazzi di San Marco. Ieri mattina, scortati e blindati come dei veri terroristi, i sette (l'ottavo, Antonio Barison, è ancora ricoverato in ospedale) sono stati portati nell'aula bunker di Mestre dove il gip Giuliana Galassi doveva interrogarli per confermare l'arresto e le accuse. Sei si sono dichiarati prigionieri politici e non hanno voluto rispondere alle domande del magistrato. Il settimo, Fausto Faccia, 30 anni, operaio metalmeccanico di Agna, Padova, invece ha risposto. Ma a modo suo. E cioè, dopo aver premesso di considerarsi anche lui prigioniero politico e di non voler rispondere all'autorità gudiziaria e politica italiana, ma soltanto al «Governo Veneto», ha fatto mettere a verbale una serie di dichiarazioni che sono state «secretate» dal giudice. Si sa però che Faccia non ha fatto alcuna confessione, né rivelato particolari sulla struttura del gruppo. Ha invece straparlato di «politica», ha rivendicato l'azione di piazza San Marco, le sue ragioni politiche e «religiose», in un modo dai toni propagandistici, che però è stato ritenuto «interessante». Alla fine, verso metà pomeriggio, l'interrogatorio si è concluso e il giudice ha scritto la sua ordinanza che confermava l'arresto a tutti per «pericolo di reiterazione dei reati». Nella somma delle accuse vi è anche quella di sequestro di persona a scopo di eversione dell'ordine costituzionale che potrebbe portare a una condanna di 25-30 anni. Si è anche parlato di ergastolo. Lo ha fatto uno degli avvocati d'ufficio, Piero Santin, con i suoi cinque imputati. Impressioni? «Mi pare - ci ha detto l'avvocato - che non si rendano ancora ben conto di quello che hanno fatto e soprattutto delle conseguenze a cui vanno incontro». Di fronte alla parola «ergastolo» sono parsi «increduli». Uno, Cristian Contin, 23 anni, ex seminarista ed elettricista, di Casale di Scodosia, ha detto che se avesse saputo come andava a finire, probabilmente sarebbe rimasto a casa. Dice l'avvocato che «ci vorrà ancora qualche giorno perché si rendano davvero conto di dove sono finiti». Anche un ufficiale dei carabinieri ci ha raccontato che subito dopo l'intervento dei Gis sul campanile, gli otto sembravano «increduli», sorpresi, più che spaventati. Come se qualcuno gli avesse assicurato una specie di salvacondotto, come se fosse stato organizzato qualcosa di più vasto, come se intorno alla loro temeraria azione si dovesse materializzare subito l'insurrezione o quanto meno un movimento di massa in appoggio alla «presa di San Marco» che avrebbero voluto tenere fino a lunedì 12 maggio, a duecento anni esatti dalla caduta della Repubblica di Venezia. Non è successo niente, invece. Sono arrivati i Gis che in quattro e quattr'otto li hanno impacchettati. Loro aspettavano l'intervento del loro «ambasciatore», come se il prefetto, il procuratore della Re- pubblica, i carabinieri potessero davvero riconoscere come autorità la «Serenissima» nel nome della quale erano arrivati in piazza San Marco portandosi dietro scatolette di carne, bottiglie di vino, di grappa e canottiere di ricambio contando di rimanere qualche giorno lassù. L'«ambasciatore», Giuseppe Segato, di cui avevano nome, telefono e indirizzo scritto a mano su un bigliettino invece non è arrivato. La notte di venerdì i carabinieri hanno fermato anche lui a Casale di Scodosia. Lo hanno interrogato e qualcosa ha ammesso. Di essere 1'«ambasciatore», il punto di riferimento ideale o ideologico della cellula entrata in azione a San Marco. Ma non l'ispiratore dell'azione. In poche parole si è tirato indietro. L'impressione degli inquirenti è che sia il personaggio di maggior rilievo finora conosciuto, ma non il più in alto nelle gerarchie della Serenissima. Anzi proprio lui, scrittore di storia locale e divulgatore del passato attraverso libri scritti, editi e venduti da sé medesimo, è il teorico della divisione in «centurie» fatta dai romani secondo uno schema etnico. Una divisione che si sarebbe riprodotta nelle «cellule» che compongono l'organizzazione della Serenissima. Segato è il nono uomo finito in carcere. Domani il giudice dovrà convalidare il suo fermo. Per ora, al sostituto procuratore di Padova che l'ha già incontrato, non ha risposto alle domande. Da Verona intanto il procuratore Papalia che indaga sulle incursioni nel Tgl, ha fatto sapere che gli indagati sono già più di venti e che il loro numero crescerà presto. Tra loro vi erano cinque degli otto «eroi» di San Marco. Si finisce sempre lì: i disturbi al Tgl sono stati l'atto di emersione dal profondo delle campagne venete di questa rete libellista. Il tono drammatico alla giornata di ieri è stato dato dalla scansione dei messaggi. Per telefono all'Ansa di Bologna e di Venezia. Nell'ultimo si diceva addirittura che uno dei Gis sarebbe stato riconosciuto da un «sopracciglio» che gli spuntava di sotto al passamontagna e che presto sarebbe stato punito. Più credibili sono i due comunicati inviati via fax all'Ansa di Roma (il numero 1) e ai giornali veneti (il numero 2). Documenti scritti con attenzione. Gli otto sono chiamati «giovani patrioti», si denuncia lo «strangolamento» di Barison, che pare avesse in mano l'unica arma del gruppo ed è stato l'unico ad agitarsi durante l'intervento dei Gis. Lo hanno preso per il collo, è finito in ospedale per l'accavallarsi del trauma con un salto di pressione. Diagnosi: episodio sincopale. E' stato in coma; ora sta meglio e ieri pomeriggio è stato anche interrogato. Non ha risposto al giudice. Il comunicato n.2 dice che l'«Armata» dei Veneti non ha paura: «Occhio per occhio...». Attenzione. Cesare Martinetti Solo uno degli arrestati ha risposto ai magistrati L'avvocato: «Ancora non si rendono conto di quanto hanno fatto» Decisa l'apertura di un conto corrente per aiutare i nove in cella: «Non sono pazzi, meritano rispetto» » L'apparecchiatura usata per trasmettere i messaggi sul Tg I

Persone citate: Antonio Barison, Barison, Cesare Martinetti, Cristian Contin, Faccia, Giuliana Galassi, Giuseppe Segato, Papalia, Piero Santin, Segato