I vizi e le virtù del Veneto profondo di Lorenzo Mondo
^1 PANE AL PANE / vizi e le virtù del Veneto profondo ENETO profondo. Ne sono espressione patogena gli otto sciagurati che hanno occupato il campanile di piazza San Marco con sacchi a pelo, vino e grappa, e l'aggiunta di un mitra alla bonaria dotazione escursionistica. Dal nostro punto di vista, appaiono i residui appena riverniciati di un mondo contadino arcaico e chiuso, per sua natura secessionistico, fino a ridursi all'entità del villaggio e della famiglia. Mentre loro, influenzati dal ribellismo leghista e da qualche farneticante ideologo locale, si sentono gli eredi di una nazione e di una civiltà oppressa. Di quella Repubblica che, dopo una storia di prima grandezza durata mille anni, si è consegnata, ormai anoressica, il 12 maggio 1797 a Napoleone. Il quale l'avrebbe passata di mano all'Austria con il trattato di Campoformio («Il sacrificio della nostra patria è consumato», piangeva Jacopo Ortis, che tuttavia, già allora, diceva Venezia e pensava all'Italia). Veneto profondo. Ma nel profondo, si sa, allignano vizi e virtù, i germi della malattia e della buona salute. Penso, è notizia rimbalzata alla vigilia del colpo di mano, agli alpini del Triveneto che, organizzati dalla loro associazione, hanno ripulito di alberi e arbusti il letto del Piave per prevenire devastanti alluvioni. E' noto che lo spirito di corpo degli alpini, la forza di un sodalizio che dura al di là degli eventi bellici e del servizio militare in tempo di pace, nasce proprio dalla conterraneità, dalla condivisione di costumi e valori. Alpini e «guerriglieri» sono due facce di una stessa moneta e chi vuole giocarci a testa e croce deve assumersene i rischi. Fuor di metafora, le istituzioni che ci rappresentano devono tenere conto di certe realtà, complesse e contraddittorie, muoversi con responsabile coerenza. Come si è comportato lo Stato davanti a episodi così diversi, ma verificatisi sullo stesso territorio del NordEst? Davanti a un'impresa potenzialmente terroristica e a un'azione di volontariato civile? A Venezia ha manda to i suoi carabinieri scelti che, con ammirevole profes sionalità, senza spargimento di sangue, hanno neutralizzato gli otto militanti della Serenissima Repubblica. E' stata l'occasione attesa da tempo per dare un segnale fermo, inequivoco, contro ogni ipotesi di avventura secessionista. Altra responsabilità ma anche altra musica nella storia degli alpini che hanno disboscato le rive del Piave. A loro i funzionari del ministero delle Finanze hanno intimato il pagamento di sei milioni, che sarebbe il prezzo commerciale del legname raccolto. E' stato facile per la Regione, che ha collaborato con l'Associazione nazionale alpini, addebitare al ministro Visco un conto più sostanzioso di mezzo miliardo: per un'opera di bonifica che supplisce alla cronica mancanza di manutenzione da parte dello Stato. L'episodio, se si vuole, è minimo, appartiene alla sferra del grottesco, non è confrontabile con l'inquietante vicenda veneziana. Ma cade in buon punto a segnalare le troppe sacche di inadempienza che ci affliggono e che tendono perdipiù a tramutarsi in arroganza e vessazione. Occorre una buona volta cominciare da qui, se vogliamo un Paese davvero unito e solidale, insensibile alle spinte disgregatrici che non sono soltanto quelle leghiste o separatiste. Un più corretto rapporto tra centro e periferia, un maggiore rispetto dei cittadini perbene, un affrancamento dalle protervie burocratiche e dagli ottusi automatismi della legge. E' questo che serve, un agile risolutivo assalto ai termitai dell'inefficienza e del parassitismo. Non staremmo tra l'altro a discutere di leoni ruggibondi o anche solo di altri mugugnanti animali che sventolano sui vessilli dei mille campanili d'Italia. Lorenzo Mondo doj
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