I colpi bassi dei duellanti di Massimo Gramellini

I colpi bussi dei duellanti I colpi bussi dei duellanti Confronto tra slogan, accuse e querele Il fango Cosa non si sono detti, Castellani e Costa, in queste ultime settimane? Rovistando con le pinze nella spazzatura, parrebbe che nella scelta del sindaco i torinesi si trovino davanti a questa alternativa: o un massone all'orecchio amico di Pecorelli che ha salvato dal carcere De Lorenzo e medita di nominarlo assessore alla sanità, oppure un fantoccio dei partiti che finanzia le prostitute, spende due miliardi all'anno per la scorta e ha affidato al consuocero l'unico parcheggio realizzato dalla sua giunta. Quest'ultimo effluvio finirà in tribunale, perché Castellani ha querelato. Se si potesse assegnare un oscar alle palate di fango, il premio per la più surreale andrebbe al berluscones che ha accusato il sindaco uscente di avere incendiato il Duomo come Nerone, or¬ ganizzando un banchetto nelle cucine di Palazzo Reale per bieche ragioni elettorali. La contromossa più spassosa, quasi uno stalinismo da cabaret, è arrivata con le autocritiche via fax: una serie di lettere di elettori pentiti che si vergognano di aver votato Costa al primo turno: «Mi rendo conto di essere andata alle urne con troppa leggerezza, senza informarmi abbastanza e senza riflettere, basandomi solo su sensazioni e pensieri superficiali», scrive la signora Vanna V., informando Castellani che «da oggi Lei è nella lista delle persone care che ricordo nelle mie preghiere». Valentony Per fortuna dei torinesi, i due candidati sono migliori della loro propaganda. L'effetto Blair ha trasformato Valentino Ca- stellani in «Valentony» sui cartelli beneauguranti dei fans, anche se il telegenico avvocato laborista e il pacato ingegnere del Politecnico forse non riuscirebbero a mettersi d'accordo neppure su quanto latte mettere nel tè. Castellani è una vera maschera della torinesità, uno che non sa cosa siano gli alberghi e se ha un impegno a Roma alle sette di sera e un altro la mattina dopo alle nove, si sottopone a due aerei e a una levataccia pur di dormire qualche ora nel letto di casa. Eppure, come Prodi, quello sguardo burroso nasconde una tempra di ferro. E' come una porta girevole, che ti sbatte sul muso proprio quando credi di averla sfondata. Un eterno «meno peggio» che se rieletto realizzerà il primato mondiale nella storia del maggioritario a doppio turno: diventare sindaco coi voti della sinistra quattro anni dopo esserlo diventato con quelli della destra, senza aver mai cambiato opinione o bandiera, ma soltanto avversario. «L'altra volta non votarono per me, ma contro Novelli, stavolta è diverso perché ho governato», si schermisce l'uomo delle rimonte. Però chiede voti «contro la destra» a comunisti e leghisti moderati, dipingendo Costa come un Le Pen mascherato da Chirac e sperando che le anomalie della politica italiana premino ancora una volta le sue qualità di galleggiatore. Il generale Coster I giovani dell'Ulivo lo chiamano il bidello, «perché vuol chiuderci tutti in casa», ma Raffaele Costa si sente piuttosto un generale, arrivato all'ultima battaglia: «Ho compiuto sessant'anni, per me è iniziato il conto alla rove¬ scia. Mi sono immaginato a Roma, alle prese con quella politica che ho fatto per una vita, oppure in giro per il mondo con mia moglie, come certe coppie di anziani croceristi. Che tristezza. Così ho provato a inventarmi una sfida nuova. Per non invecchiare sono disposto a tutto, persino a vincere e a traslocare da Mondov'i, dicendo addio al mio verde e ai miei pappagalli. Ho adocchiato una casa in città: ha il giardinetto, ma non è la stessa cosa». Per realizzare il trasloco, il generale Coster conta sui leghisti duri di Borghezio, sugli anziani terrorizzati dalle tasse e dai marocchini, sulle periferie disperate e sensibili ormai solo ai messaggi estremi: nelle ultime elezioni Fini e Bertinotti si sono scambiati un terzo dei voti. Non confida troppo nei giovani, invece, «perché non li capisco: sono un vecchio con- servatore». La sua sarebbe una Torino più vivace di giorno, con un piano regolatore elastico nella speranza che minori regole portino maggior lavoro, ma più spenta di notte, perché Costa toglierebbe ai divertimenti i soldi da spendere per la sicurezza. Viva Torino La Torino del generale Coster andrebbe più spesso sulle prime pagine dei giornali, perché almeno nei primi mesi il sindaco che non vuole invecchiare ne farebbe il palcoscenico di azioni spettacolari contro le prostitute, i nomadi e gli irregolari, camminando sull'orlo dei poteri conferiti alla sua carica. Al generale piacciono la Torino di una volta e la New York di Giuliani, «anche se mi sento più simile alla Thatcher». La Torino di Valentony, invece, ha come modelli Atlanta e Lilla, simboli dell'integrazione e del nuovo terziario. Una città cablata, un intrico di reti sotterranee che porteranno poco lavoro ma buono, cioè duraturo, nei prossimi anni. Un terreno di conflitti razziali, dove però ormai è misto un matrimonio civile su dieci. Un corpo convalescente, con lo stomaco delle periferie in disordine e il viso rifatto, grazie a un centro meno trafficato e più godibile che ha portato per la prima volta i turisti giapponesi a Torino. Reduce da un tour di musei, bolliti misti e cioccolato, l'inviato di una rivista spagnola ha parlato, esagerando, di «ciudad para los sibaritas». L'impressione finale è qualcosa più di un augurio: che chiunque vinca, l'anima di Torino resti com'è: bellissima. Massimo Gramellini

Luoghi citati: Atlanta, Lilla, Roma, Torino