A Beirut un pellegrino scomodo di Giuseppe Zaccaria

PARMIGIANO REGGIANO ai k» mmo 21.390 La Messa su un palco tra le rovine della guerra, con eccezionali misure di sicurezza A Beirut un pellegrino scomodo Per il Papa timori di attentati e polemiche BEIRUT DAL NOSTRO INVIATO L'anfiteatro bianco ha linee nitide, emerge come uno scintillante abbraccio da un panorama di devastazione. Benvenuto, papa dei cattolici, Beirut non avrebbe potuto accoglierti in un luogo più rappresentativo. Era il vecchio porto questo, durante la prima, lunga guerra la «linea verde» finiva esattamente qui: quel che appare tutt'intorno condensa la storia ed il momento di Beirut. Macerie ed abbozzi di ricostruzione, lavori e livori, povertà e caos, uno Stato in appalto. Questa pedana incorniciata da un muretto, il luogo in cui domani Giovanni Paolo celebrerà Messa, è già luogo intorno cui cominciano a concentrarsi vent'anni di devastazioni e frustrazione impotente. Giovanni Paolo II siederà al centro di una struttura che stilizza il cedro del Libano, davanti a più di duecentomila persone. A sinistra, margine estremo della zona musulmana, s'intravedono i palazzi dell'antico fronte urbano, i simboli mummificati della Beirut che fu. Lo scheletro annerito dell'hotel Phoenicia, i resti del mitico «Saint George»... Tempi passati per sempre, triturati dalle ruspe che degli enormi spazi di piazza dei Martiri continuano a fare una discarica di polvere e detriti. Sul versante opposto la zona cristiana si presenta invece per com'è. Ossa calcinate di povere case lasciate indietro da un'altra guerra, quella intercristiana, che con vite e palazzi avrebbe maciullato anche un'identità. M II Papa viene in Libano per tener fede ad un voto, calpestare la terra su cui si posò il piede del,Salvatore. Qui,.domani, calpesterà anzitutto i risultati di una tragedia che non s'è ancora conclusa: questa grande spianata sul mare un tempo non esisteva, è nata dall'accumulo dei detriti prodotti da guerra e demolizioni. «L'anfiteatro le piace? Grazie: avrei potuto fare di meglio...». Layla El Habr è l'architetta che ha realizzato questo piccolo miracolo: nel '94 aveva costruito sei podi per le altrettante tappe della visita che Giovanni Paolo II avrebbe dovuto compiere, prima che l'attentato cristiano ad una chiesa cristiana ne imponesse il rinvio. E' lei che ci mostra concretamente come Beirut si preoccupa del Papa. Quel muretto bianco che incornicerà come un'icona la figura di Giovanni Paolo II contiene una lastra d'acciaio spessa dodici centimetri. Poco più indietro, un'altra muraglia è stata imbottita di sacchetti di sabbia, e la progettista dice che potrebbe resistere anche ad un missile. Tutt'intorno, l'area della cerimonia è protetta da cortine di plastica che impediscono la vi- suale ad eventuali cecchini. Ventimila soldati libanesi, un terzo dell'intera Armata, sono mobilitati per la sicurezza ed i siriani, veri padroni del Paese, hanno uomini ed apparati informativi che funzionano a pieno regime. Ma da dove potrebbe mai giungere una minaccia? «Non c'è un solo libanese, oggi, che non consideri la visita del Papa come un avvenimento storico e, forse, l'occasione per la ripresa di un percorso comune», dice Fouad Boutros, già ministro degli Esteri, una delle menti più aperte che il Libano di questi anni abbia espresso. Alla visita di Giovanni Paolo II l'ex ministro guarda con interesse ma senza illusioni. In un Paese sotto tutela, sconvolto a Sud da una guerra inestinguibile, lui ritiene che il problema di fondo resti comunque la ripresa - anzi, l'inizio - di un dialogo fra i padroni di ieri e i dirigenti di domani. Spera che almeno il Papa riesca a sospingere i cristiani del Libano, sempre più depressi e divisi, fuori dal ghetto che si sono costruiti da soli. La maggior parte delle banche e delle grandi compagnie qui resta nelle mani dei cristia- ni, ma la concorrenza degli sciiti arricchitisi in Africa e dei sunniti incoraggiati dalla presenza del miliardario Rafie Hariri alla testa del governo, comincia a farsi aggressiva. Hariri insiste con dichiarare che la presidenza dello Stato deve restare appannaggio dei cristiani, che 1'«originalità» della formula politica libanese deve sopravvivere. In un Paese in cui un terzo dell'economia è pubblica, le decisioni di Hariri o del presidente del Parlamento, lo sciita Nabih Berri, tratteggiano però un percorso che non ha alternative. «Fra i cristiani - continua Boutros - la frustrazione è evidente; i maroniti, in particola¬ re, sanno che la loro influenza sulla città e sul Paese è decisamente scemata, ma questo non può condurli soltanto all'isolamento o alla fuga. Aver smesso di sparare e vivere l'uno vicino all'altro come estranei conduce a nulla». E' la riproposizione di una speranza che si è fatta slogan, il passaggio dalla «coexistence» alla «convivialité»: sogno sul quale Boutros, come molti altri, non coltiva grandi illusioni. In effetti, fra le corali dichiarazioni di benvenuto la Chiesa maronita si è mostrata j>erfino più fredda degli «hezbollah». Una parte dell'antica gerarchia continua a considerare il dialogo con l'Islam come un tradimento, il Papa come uomo che dovrebbe mostrare gratitudine ai più antichi cristiani d'Oriente, anziché ingerirsi nei loro affari. Pablo Puente, reo di aver criticato fin dagli Anni 70, quand'era semplice segretario alla nunziatura, le scelte politiche dei cristiani, oggi, da rappresentante del Papa in Libano, è il parafulmine di queste tensioni. Walid Jumblatt, il capo dei drusi, ieri ha rilasciato un'intervista in cui accusa il Vaticano di «tendenze di destra». Sul bianco anfiteatro che guarda il mare continuano a volteggiare elicotteri dell'esercito. Giuseppe Zaccaria I cristiani, frustrati dalla perdita di potere, sono freddi Temono il dialogo con l'Islam i fftÉs Giovanni Paolo II e cartelli di benvenuto a Beirut