Tirana, la dolce trappola

Tirana, la dolce trappola Tirana, la dolce trappola Mitra e caffè, miseria e moschee vuote DIETRO LE QUINTE DI «ALBA» TIRANA DAL NOSTRO INVIATO Un giorno questa città sarà normalizzata, e allora addio Tirana mon amour, addio fascino di questo rottame della memoria: certamente tutto sarà diverso, e lucente, e moderno. E non correranno più tricicli cinesi azzurri pieni di ideogrammi e di patate, lungo l'arteria fatta dgli italiani mezzo secolo fa e che porta a quella specie di Eur, di quadro di De Chirico che è la piazza grande dello Stadio. E addio alle influenze cubane, così bizzarre e colorate di ocra e cioccolata su palazzetti come quello in cui si è astutamente alloggiata la nunziatura. E ciao al kitch stalinista, addio culto della piramide di Enver Hoxa, il mausoleo trasformato in discoteca. E addio anche a questi pazzeschi riti con il mitra. Cammini per strada, e le scarpe ti fanno male. Per forza: sotto le suole l'asfalto ha delle gobbe metalliche, vai a scalzare quelle cisti e sono pallottole di Kalashnikov. Qui la gente spara in aria, non come a Valona dove si spara addosso. Qui spara in aria con lo stesso istinto con cui i cani fanno pipì: per marcare il territorio. Dormo in pieno centro, nel quariere che fu proibito e che adesso è arnministrato dalle compagnie straniere, un po' come nella Shanghai delle Legazioni. Prendo sonno, ed ecco che un giovanotto dalle case di fronte sente come una nostalgia nelle dita, e spara in aria. Vuol dire: ce l'ho anch'io, e questo è territorio mio. Gli risponde il geometra della casa di fronte, una raffica corta e una breve finché la suocera non gli urla che è ora di cena, e così via. Raffiche nella notte, pioggia di stelle cadenti calibro nove lungo. Stasera piove a dirotto e può darsi che gli sparatori si ritirino in cucina a giocare a carte. Al mattino tutti commentano nei baretti quel che è successo durante la notte. E corrono leggende metropolitane di bombe inesplose e sordide manovre dei servizi segreti che amministrano attentati veri e falsi, secondo l'alchimia del potere e delle bande. Questa affabulazione collettiva è anche un gran passatempo e permette a tutti i partecipanti di darsi ai pronostici, alle profezie, all'arte dello scenario. Ma intanto sparano. E le pallottole, per quanto esplose verso il cielo, grazie alla forza di gravità che seguita a imporre la sua brava accelerazione di 9,8 metri ogni secondo, ripiombano giù come missili e, per pura inerzia ti possono fare la pelle. Com'è Tirana? Fantastica. Obsoleta, piena di frutta e di carretti, le strade squinternate e colme d'acqua, gli ippocastani in fiore, le casupole liberty sopraffatte dalla nuova edilizia che produce chalet. E' tutto un bar. Bar per giocare, per ammazzare il tempo, per giocare a Bingo. Questi, poveretti, seguitano a giocare. Si sono rovinati con le Piramidi, ma si sono fatti le ossa con le ruotone della fortunona, con i lustrini e paillettes della Rai italiana che li ha sempre agitati per questa storia delle vincite, dei soldoni, magari di cioccolato, e loro giocano, fanno capannelli, si accumulano lungo i marciapiedi come pulcini intorno alla chioccia. Gli è rimasta qui. La scoperta più interessante? Che a Tirana, e in Albania, comandano i medici. E non per caso. Berisha è un cardiologo. Tritan Sheu, ex ministro degb Esteri e viceprimommistro, è un eccellente anestesista formato in Italia, l'ex primo ministro Alexandr Meksi è il fratello del preside della facoltà di Medicina, l'ex viceministro Besin Nuri è medico come Maxim Siguri e la viceministra Zamora Sinoimari. E poi tanti altri. Un caso? Macché In tutti i Paesi dittatoriali, a partito unico o quasi, i medici hanno il più grande potere: il potere di salvare, di guarire, di strappare alla morte. Un potere più forte del denaro, un potere esclusivo. Me ne accorgo in corsia di uno dei cinque ospedali civili (ci sono poi quello militare e quello ortopedico): una scatola da scarpe serve per la colletta. La gente viene e si raccomanda al medico. E lo fa infilando qualche Lek nella scatola, alla luce del sole. Con grande irritazione dei medici di laboratorio che si sentono esclusi. Ecco perché mi sono rivolto ad amici medici che lavorano in Albania, per farmi portare in giro a Tirana. Passo la dogana, pago i miei dieci dollari, bevo un caffè in una delizio- sa sala d'aspetto squinternata e Alni Cinquanta, supero una barriera di ragazzini che sono come gli scugnizzi napoletani ai tempi della «Pelle» di Malaparte e mi affido al medico italiano Stefano Tabolli, responsabile dei programmi di Cooperazione internazionale dell'Idi, che sta costruendo un ospedale di concezione avanzatissima alle porte della città: sarà il «teatching hospital» della facoltà di Medicina, il luogo in cui si formerà la futura classe dei medici. Con lui visiterò anche altri ospedali albanesi e vedrà questi medici di Tirana, così gentili, uomini e donne, che stanno imparando a maneggiare strumenti tecnologici italiani. Quelli dell'Idi lavorano con progetti e investimenti cattolici, destinati a una popolazione che, statisticamente parlando, è quasi tutta musulmana. Già, ma quanto è realmente musulmana Tirana? A prima vista dovrebbe essere più pia della Mecca: riluce di nuove moschee cresciute come funghi con la. loro cupola dorata o argentata, il minareto di cemento armato con il cono per cappello, e sembrano per il resto palazzine malfatte. Quasi tutte bruttissime, ancora impancate col cemento armato. E non ne ho vista una piena, meno che mai alle classiche ore della preghiere. La verità è che l'Albania non è quasi affatto religiosa e tutte quelle moschee rappresentano quasi tutte donazioni di tutti i Paesi musulma¬ ni del mondo, dall'Iran alla Malaysia. Moschee vuote, quasi tutte salvo quella centrale, che è bellissima e antichissima, con l'unico centro di cultura in funzione. Ma questa è gente che dopo mezzo secolo di dittatura feroce e separatista non crede quasi più a nulla, salvo che alla voglia di essere come gli altri, come quell'umanità immaginaria vista in televisione e che secondo loro abita nella nostra America. Passeggio per i mercatini del centro: sembra la Calabria del dopoguerra. Ceste ovunque, moltissima merce. Che idea dire che bisognava andare in Albania a portare il cibocome se gli albanesi fossero i somali. Parlo con un venditore che mi aggredisce: «Perché ci venite a rompere le scatole con le vostre patate gratuite e la farina gratuita, che fanno soltanto crollare i prezzi denostri prodotti? Perché, invece dtrattarci come poveri negretti affamati, non andate a fucilare tutte le bande armate dei mafiosi che sono in combutta con i mafiosi italiani?» Prendi e porta a casa. Percorro la Ruga Elbassan, tutta buche, scassatissima, l'acqua delle buche che ti entra nei calzini, guardo nei baretti (uno ogni cinque metri, è incredibile) e vedo questi uomini giovani e vecchi che stanno lrintanati come creature della foresta. Niente donne ai bar. Le donne passeggiano da sole, anche se non mancano le scene d'amore. A proposito d'amore: si fa o no l'amore a Tirana? A sentire i giornalisti che stanno lì da secoli, non sbatte un chiodo. A sentire invece Jeannette Shastri, comincia a serpeggiare, in questa tentacolarcittà, quasi la dissolutezza. Lo so, da noi in Italia siamo abituati a leggere sui giornali moltnotizie sulle prostitute albanesiche sono diventate nell'immaginario collettivo urbano quel che le povere nigeriane sono diventate nesuburbano. Ora, no: qui vedi subitche hai a che fare con una societtradizionalista, anche se ormai una società in cui i giovani hannspalancato le porte del sesso. LShastri è una dottoressa che studie soccorre i sieropositivi. Dice chper ora se ne ha notizia soltanto duna trentina, ma che nessuno squanti siano. E che dalle intervistfatte fra i giovani, risulta che tuthanno rapporti sessuali, ma ch nessuno usa il preservativo sia perche in molte zone è introvabile, sia per un altro motivo: gli uomini non sanno come si usa, come va indossato. E allora, per non sentirsi umiliati, dicono di non volerlo perché non gli piace. «Ma il fatto è, dice la dottoressa, che qui di colpo stamio mutando i costumi, di colpo arriva una mentalità che in Occidente ha impiegato decenni per affermarsi. Siamo scioccati, traumatizzati». E' così. Prendi l'alimentazione: la gente di Tirana mangiva soltanto verdura fibrosa ed era costretta a fare dieci chilometri al giorno a piedi. Risultato: fame molta, ma anche longevità alta. Adesso arrivano i grassi e i mezzi pubblici, e arrivano anche le normali malattie: prime, quelle cardiache. Incontriamo un funerale. Tutti si fermano finché il morto non è passato. Omaggio. Tutti sanno di cipolla, perché è il companatico più a buon mercato, con pane calmierato dal governo. Nessuno usa il deodorante e l'abbigliamento classico per gli uomini è un vestito spezzato: giaccona di buon taglio sovietizzante chiara, jeans, mocassmi decorati, calzini bianchi e corti, una camicia colorata con sopra un golf sintetico di colore nemico. Le donne sono più curate, e vanno a frotte. Moltissime le brave massaie con la sporta. Ecco un triciclo cinese carico di banane ed ecco ima bimba imronciata come quelle delle cartoline che col frustino fa correre il cavallo del suo calesse. Ma un fiume di Mercedes corre per le strade di Tirana, insieme a mi campionario di Toyota e Nissan con rappresentanza di ogni altra marca, ma con modem di vent'anni fa. Ovunque ci sia uno spazio pubblico, cresce un rottamaio di carcasse automobilistiche. C'è anche un fiumicello, ma lo stanno costruendo tutto con baracche che piantano le fondamenta sull'una e sull'altra riva. Nel centro amministrativo Tirana sembra ancora Latina, che si chiamava Littoria, rivista e corretta dal socialismo reale e da quello ùreale. Si mangiano «burek» di spinaci caldi carnminando per strada, il caffè è ottimo, la gentilezza disarmante. E quando calano le tenebre, i mitra cantano alla luna. Paolo frizzanti Le pallottole esplodono verso il cielo ma ripiombano giù come missili e per pura inerzia ti possono fare la pelle Agenti della polizia albanese in tenuta antisommossa prendono posizione vicino alla sede del Parlamento di Tirana A fianco ragazzini all'assalto di una partita di frutta

Persone citate: Alexandr Meksi, Berisha, De Chirico, Enver Hoxa, Jeannette Shastri, Malaparte, Maxim Siguri, Mitra, Sheu, Zamora Sinoimari