Un blitz blocca i pirati di San Marco di Cesare Martinetti

Un blitz blocca i pirati di San Marco Un blitz blocca i pirati di San Marco In celiagli 8 uomini del commando, uno è grave VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO L'assalto a San Marco finisce alle 8,30 in un grottesco faccia a faccia tra un ufficiale siciliano dei Gis e un «terrorista» che parla in veneto stretto. I due si guardano negli occhi, si scambiano qualche battuta e il carabiniere ci assicura che non riusciva a «capire una sola parola». Ma a quel punto le parole erano finite. Blitz incruento: otto minuti e ventiquattro teste di cuoio per prendere otto uomini armati di un'unica mitraglietta, un «Mab» con trenta colpi. Otto «soldati» della secessione usciti dal Veneto profondo e irriducibile e venuti fin qui in piazza San Marco con una specie di carrarmato fatto in casa per portare nel cuore dell'Italia una sfida che sa di farsa e di tragedia insieme. Per l'ultima volta, con i loro «baracchini», hanno fatto incursione sul Tgl e annunciato la «liberazione di piazza San Marco». S'erano portati sacchi a pelo, casse di viveri, biscotti, taniche d'acqua, bottiglie di vino e anche ima di grappa. Volevano resistere giorni e giorni, lassù sul campanile, nella piazza «più bella del mondo», in questi giorni di maggio in cui Venezia già strabocca di turisti. Qualcuno di loro li ha anche visti arrivare, l'altra notte. Nessuno ha pensato a qualcosa che assomigliasse ad un colpo di Stato. Ce anche chi ha pensato che stessero girando un film. I più lucidi, in tutta questa confusa storia, sembrano esserestati i carabinieri dei Gis. Li hanno chiamati alle 2 di notte nella loro caserma di Livorno; hanno preso l'aereo da Pisa; alle 4 erano in piazza San Marco; alle 7, in cinque, avevano già scalato il campanile e aspettavano il via; alle 8,30 era tutto finito, gli otto in ginocchio davanti al portale di San Marco, un po' strattonati dai Gis, che hanno modi spicci, e subito ammanettati. II sole era già alto quando sono sfilati in manette, nelle loro tute mimetiche un po' casual, in mezzo a comitive di scolaresche in gita e gruppi di giapponesi lungo la riva degli Schiavoni per arrivare dai carabinieri in San Zaccaria. Otto veneti puri, otto «campagnoli», come li chiamano i veneziani alteri. Andrea Viviani, 26 anni, operaio in una fabbrica di vetro di Colognola ai Colli (Verona); Cristian e Flavio Contili, nipote e zio, 23 e 55 anni, elettricisti di Urbana (Padova); Fausto Faccia, 30 anni, operaio di Agna (Bassa padovana); Moreno Nemini, 20 anni, studente di Verona; Gilberto Buson, 46 anni, di Pernumia (Padova); Luca Peroni, 28 anni, di Zevio (Verona). E infine Antonio Barison, 41 anni, da Conselve, Padova, che dopo tre ore passate in caserma s'è sentito male, forse per tentare di liberarsi dall'«abbraccio» di un Gis. Forse ha avuto un infarto. E' in rianimazione. La diagnosi? Uno strano mistero. Questi otto ultimi eroi della Serenissima attualmente rischiano un numero di anni di galera decisamente sproporzionato al risultato della loro azione: banda armata, sequestro di persona, attentato all'integrità dello Stato, etc. Accuse che potrebbero pesare 10-15-20 anni di condanna. Non ci avevano pensato prima o sono andati consapevolmente, da kamikaze, incontro alla galera? C'è una bella differenza tra il giocare con le radio inserendosi nelle frequenze del Tg 1 e dare l'assalto a San Marco. Comunque gli otto si sono definiti «prigionieri politici». Alla vista dei giornalisti uno ha mormorato: «Per San Marco». Sono il gruppo di tele-incurso- ri, quattordici incursioni sul Tgl, dal 17 marzo a ieri. Non l'intero gruppo, ne mancano tre o quattro, tra cui l'«ambasciatore» a cui si richiamavano gli otto di San Marco durante le inutili trattative della notte col prefetto, l'ideologo del gruppo, l'autore dei proclami che venivano letti (da voci diverse) durante le incursioni. Compresa l'ultima, quella della mattina, mentre il Tgl dava notizia del loro assalto. Diceva così: «Dopo 200 anni, questa notte, su ordine del Veneto Serenissimo Governo un reparto armato della Veneta Serenissima Armata ha liberato piazza San Marco. Oggi rinasce la Veneta Serenissima Repubblica, la più amata e ammirata delle repubbliche, già ornamento d'Europa e baluardo della cristianità. Venezia, la città dei Veneti, una delle più esclusive e belle città del mondo, è la sua capitale». L'«ambasciatore» è stato poi rintracciato e fermato in serata. E' Giuseppe Segato, un editore di Casale di Scodosia (Bassa padovana), 43 anni, laureato in Scienze politiche. I suoi «soldati» erano già stati identificati dalla Digos e dal pm Papalia, che a Verona indaga sulle intromissioni televisive. Sembra che li volessero già arrestare giovedì, ma non li hanno trovati a casa. I kamikaze della Serenissima erano già partiti per la loro avventura. Uno di loro s'era messo in ferie dalla fabbrica. A mezzanotte erano in coda al Tronchetto per il ferry-boat che porta al Lido. Avevano un camper e un tir, sul quale, avviluppato in un telone, giaceva uno strano mezzo. Sono andati dal comandante della motozattera Giovanni Girotto, gli hanno mostrato il mitra (la loro unica arma), gli hanno spento la radio, hanno sequestrato il battello, compresi i quattro marinai, pilotandolo verso San Marco. Sono passati venti minuti in cui sembra che il tempo si sia fermato. Nessuno ha avvertito la polizia, nessuno s'è reso conto di quel che succedeva, una lancia di poliziotti ha incrociato il battello, ha visto uno degli otto che puntava il mitra, è rimasta a distanza. Quando il commando è arrivato in San Marco, ha tolto il telone dallo strano mezzo caricato sul tir. E' apparso un qualcosa che nella notte poteva anche sembrare un carrarmato, ma che era invece la vecchia motrice di un camion cammuffata con lastre di metallo verde militare. C'era anche una specie di cannoncino che spuntava davanti. Era, invece, un tubo da stufa {canon, in veneto) lungo un metro. Gli otto hanno preso possesso del campanile sotto gli occhi degli ultimi turisti del caffè Chioggia. Hanno issato il gonfalone giallo-oro della Serenissima, scaricato dieci casse di vettovaglie, due gruppi elettrogeni e dieci taniche di kerosene per alimentarli, installato l'antenna. Avevano borse con la biancheria, binocoli, un computer, una macchina per scrivere. Un pacco di proclami scritti a mano e in stampatello dall'«ambasciatore». Ne hanno letto solo uno. In serata un comunicato di minaccia, firmato dall' «Armata veneta di liberazione» è istato inviato all'Ansa: «Se entro le prossime 48 ore gli otto veneti non verranno rimessi in libertà, noi risponderemo alla violenza degli occupanti italiani in modo da scoraggiare ogni altro tentativo di violare i nostri diritti». Cesare Martinetti Flavio Contin, uno degli uomini del commando, mentre viene arrestato dalle forze dell'ordine a Venezia