Un esercito di incensurati agli ordini dei nuovi boss

Un esercito di incensurati agli ordini dei nuovi boss Un esercito di incensurati agli ordini dei nuovi boss GLI EREDI DI COSA NOSTRA LPALERMO E loro facce sconosciute sono quelle dei «nuovi corleonesi», i boss e i soldati mafiosi che hanno lavorato per frenare quello che sembrava l'inesorabile declino della cosca più feroce di Cosa nostra. I loro nomi senza storia sono quelli dei nuovi pezzi da novanta che, manovrando nell'ombra, hanno lentamente preso il posto di vecchie superstar del crimine come Totò Riina, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, gli storici padrini ormai finiti in galera, e quindi bruciati, «posati», fuori gioco. Silenziosi e furbissimi, ma soprattutto incensurati, i fondatori della nuova famiglia mafiosa di Corleone hanno accumulato fresche riserve di armi e denaro per creare una maxicosca che fosse assolutamente inattaccabile dalle fughe di notizie provocate dai pentiti. Quella maxicosca - ancora sconosciuta in parte, ma già temibilissima - che gli apparati investigativi hanno ribattezzato la Gladio mafiosa, per la segretezza, l'impermeabilità e l'altissimo potenziale di minaccia alle istituzioni democratiche. Il disegno eversivo, però, è stato ancora una volta intercettato. E undici di questi misteriosi corleonesi della mafia post- stragista, dopo esser stati smascherati dalle «soffiate» di pentiti come Enzo Brusca, Vincenzo Chiodo e Giuseppe Monticciolo, sono finiti in manette. Il deus ex machina del pericolosissimo clan sarebbe Mario Grizzaffi, nipote di Totò Riina, l'uomo che avrebbe personalmente selezionato la nuova generazione d'assalto di Corleone. Dicono i pentiti, infatti, che tutti i suoi colonnelli sono uomini d'onore «riservati», e cioè soldati non formalmente inseriti in Cosa nostra con l'affiliazione rituale, ma direttamente cooptati e selezionati dal capo. I loro nomi risultano praticamente sconosciuti: sono Rosario Lo Bue, Baldassarre Grippi, Gioacchino Lo Giudice, Mario Mule, Tommaso Pipitone, Salvatore Primavera, Pasquale e Salvatore Raccuglia, Giuseppe Tarantino e Girolamo Vassallo. Le loro carriere, però, sono quel- le di mafiosi di rango: Lo Bue, che era l'affittuario dei terreni di proprietà della madre di Totò Riina, intratteneva rapporti con un nipote di Luciano Liggio, tali; Giovanni Marino, indicato come uomo d'onore della famiglia di Corleone. Lo Giudice, invece, avrebbe partecipato all'omicidio di Salvatore Palazzolo, strangolato e poi dissolto nell'acido nel 1995. L'ambizioso Grizzaffi era però il vero supervisore della cosca. Solo lui - che andava in giro per Corleone accompagnandosi al cugino Giovanni Riina - era riuscito a raccogliere in parte l'eredità del temutissimo zio. In caso di riunioni, poteva prendere posto accanto a latitanti di spicco come Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro. E sempre per conto di Totò «u curtu» - aveva il permesso di raccogliere tangenti direttamente dagli amici imprenditori come Angelo Siino, il Bronson di Cosa no¬ stra. Negli ultimi tempi, con la sua squadra di corleonesi «riservati», il celebre nipote avrebbe anche custodito armi, ospitato latitanti e imposto il pizzo ai commercianti della zona. Dopo l'arresto di Giovanni Riina, sembrava inarrestabile. Non che Grizzaffi abbia inventato nulla di nuovo. Quello della cosca «riservata» è il chiodo fisso dei corleonesi, almeno dai tempi di Leoluca Bagarella. Come ha raccontato il pentito Tony Calvaruso, fu Leoluchino il primo a reclutare un esercito personale segretissimo nella speranza che fosse anche inattaccabile. Ma il trucco non funzionò. Non servì a salvare Bagarella dalla cattura, non è bastato neppure a Grizzaffi per evitare le manette. Il segreto, tra i corleonesi, sembra proprio passato di moda. Sandra Rizza Gli ultimi corleonesi araiolati hanno nomi senza storia ma non sono riusciti a sfuggire alle «soffiate» dei pentiti Totò Riina e a fianco il nipote Mario Griffazzi Sopra, Raffaele Cutolo assieme alla moglie Immacolata Iacone

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