Al giornalista basta un soffio di pietà in più

Al giornalista basta un soffio di pietà in più Contro i troppi campisanti a mezzo stampa non servono queste norme, oltretutto scombiccherate Al giornalista basta un soffio di pietà in più CARO Enrico Mentana, è vero che non si deve aver paura di questa legge, ma solo perché sarebbe un atteggiamento inutile, quando semmai vale la pena di fargli dare una sistemata, rendendola meno astratta, meno misteriosamente automatica, meno vanamente minacciosa nei confronti dell'informazione. Tanto più nella società, appunto, dell'informazione. Pure ai fini di un'effettiva privacy, giacché al momento, in base all'articolo che impone di richiedere il consenso dell'interessato per quanto riguarda sesso e salute, un giornale, magari con toni innocenti, o maliziosi, concitati, ironici, indignati, allusivi, ecco, in ogni caso un giornale potrebbe dar conto ai lettori di aver inoltrato proprio questo genere di richiesta a quel dato personaggio. E già questo basterebbe ad accendere più attenzione e curiosità di quante se ne accendono oggi senza questa legge per tanti versi necessaria, ma fatta così in fretta, e così male. Perché il giornalismo non si modella, né si storce con le norme. Viene fuori, piuttosto, come un fatto di cultura, di costume, di sensibilità, anche estetica. Nelle società moderne finisce per svolgere miste¬ riose, talvolta anche crudeli funzioni sociali, non di rado passa sopra individui del tutto incolpevoli, e riesce perfino a pentirsene. Ma ha sempre fretta e non si lascia piegare dai divieti. Anche per la sua povera, ma terribile inconsapevolezza è difficile giudicare il giornalismo a posteriori e valutare con gli occhi di oggi, secondo i no¬ bili parametri del coraggio, l'energia stessa della cronaca. Enrico Mentana chiede «quando mai» qualcuno ha parlato di Mussolini e della Petacci sotto il fascismo. Ma senza che ciò costituisca un atto eroico, era soprattutto nei giornali (oltre che nella polizia politica), come ha scritto Paolo Monelli in «Roma 1943» che fermentava quel «pettegolezzo» a cui Ren¬ zo De Felice ha dedicato pagine e addirittura appendici. «Quando mai», chiede Mentana, s'è scritto degli svenimenti di De Gasperi? Ne scrisse Gorresio, anche con eleganza. «Quando mai» furono messi in dubbio i bollettini medici di Segni? Alla fine come pura routine, vennero messi in dubbio, durando la malattia presidenziale più di tre mesi, con tanto di dibattito in Parlamento. Quando si parlò di Craxi e di Gbr? A parti; qualche accenno cifrato nel 1989, se ne parlò quando quel potente era quasi nella polvere. Con nessuna audacia, quindi? Certo che no, ma sarebbe stato strano un silenzio prolungato. Se è per questo, magari con l'intento di salvare l'Occidente dal comunismo, si scrissero cose spaventose contro Togliatti e la lotti, contro Terracini, Longo, Secchia. Durante il caso Montesi, a scopo diciamo «purificatorio», ci furono veri agguati di terrorismo giornalistico. Sceiba (amica) ed Enrico Mattei (squillo d'alto bordo) furono addirittura ricattati, l'uno perché contrario e l'altro perché favorevole al centrosinistra. Pecorelli scatenò la più intima e familiare campagna contro Leone. E in questa specie di camposanto a mezzo stampa le vittime ignote non si contano. Solo al pensarci viene l'angoscia. Ma ci si chiede anche, caro Mentana, se per limitare tutto questo basta una norma, oltretutto scombiccherata. O se dopo tutto non sia più realistico coltivare, ciascun giornalista nel suo piccolo, un qualche soffio di pietà supplementare. Filippo Ceccarelii

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