La pace tra Caino e Abele

La pace tra Caino e Abele La pace tra Caino e Abele Libano, storia di una guerra istigata Icosiddetti signori della guerra, resi ciechi o addirittura folli dall'odio e dalla sete di potere, non vollero o finsero di non capirlo. Infinite volte i nostri lettori, la brava gente con tre G, si è chiesta, ci ha scritto: cui prodest?, ha domandato a chi giovasse il genocidio a rate operato in Libano. Negli Anni '30, quando scoppiarono in Palestina le prime violenze, Ben Gurion, allora presidente dell'Agenzia ebraica, aveva pensato a una «alleanza oggettiva» fra i cristiani del Libano e i fautori di uno Stato ebraico: «Il Libano è l'alleato naturale degli Ebrei nella terra di Israele». La formazione del Libano, nell'ultimo dopoguerra, su una base più riconfessionale mandò in pezzi l'idea di Ben Gurion. «Quel» Libano era la dimostrazione che sinanco nel labile Medio Oriente genti di fede e di confessioni diverse potessero vivere in pace in uno Stato senza etichette; e questo in contrasto, appunto, col progetto israeliano. «Di riflesso ciò aveva subito fatto nascere in Israele il piano di una destabilizzazione, con conseguente lacerazione, del Libano» (cfr. Dino Frescobaldi, La tragedia del Libano, Affari Esteri, 1990). Ma vediamo i famosi (ancorché raramente citati) Diari di Moshe Sharett (1894-1965) ministro degli Esteri e primo ministro di Israele. Il 27 di febbraio del 1954 egli annota una lunga discussione con Ben Gurion, il quale gli aveva detto: «E' venuto il momento di sollevare il Libano e di incitarlo a proclamare uno Stato cristiano». Esistevano «sia le giustificazioni storiche d'un piccolo Libano cristiano», sia «le occasioni e gli strumenti» per una sovversione interna. Bisognava «inviare emissari e spender soldi» per «produrre destabilizzazione». Sharett bocciò il piano adducendo «carenza di fondi». Successivamente, Ben Gurion, rientrato nel governo come ministro della Difesa, ordinò a Dayan, capo di s.m., di mettere a punto il «piano-Libano»: «... non ci resta che trovare un ufficiale, anche un semplice capitano o maggiore. Basterà conquistarlo alla nostra causa, o comperarlo. Dopo di che l'esercito (israeliano) entrerà nel Libano, occuperà il territorio ne- cessario, istituirà un regime cristiano alleato di Israele, e tutto marcerà su ruote ben oliate. Potremmo far scattare il piano anche domani». In realtà Israele avrebbe dovuto attendere lunghi anni. Fino al 1978, allorché il piano allestito da Dayan sarebbe stato eseguito puntualmente, ivi compresa la parte assegnata all'ufficiale da «comperare»: il maggiore Saad Haddad. (Attualmente lo sostituisce, nella «fascia di sicurezza» israeliana nel Sud del Libano, un altro ufficiale: Antoine Lahad). In ogni caso sappiamo come l'idea del «piccolo Libano cristiano» pensato da Ben Gurion sia stata sempre coltivata dallo establishment israeliano. Lo provano gli ingenti aiuti in armi fatti affluire da Israele alle milizie dell'effimero presidente Bashir Gemayel ma altresì gli intensi contatti diretti, spesso alla luce del sole, tra alcuni signori della guerra libanesi e notabili del governo israeliano: prima durante dopo la improvvida «operazione pace in Galilea», vale a dire l'invasione del Libano da parte di Tsàhal, nel giugno del 1982. Sulla funesta invasione, macchiata dalla strage di Sabra e Shatila (eseguita da milizie «cristiane» sotto la regia di specialisti intelligence di Israele) fanno testo, di nuovo, i Diari di Sharett, là dov'egli riferisce questo discorso-programmatico di Dayan: «Israele non soltanto può ma deve inventare dei pericoli e, per far ciò, biso¬ gna che adotti il metodo della provocazione legata alla vendetta». Di più: tutti gli innumerevoli cessate il fuoco concordati durante i tre lustri e passa di guerra in Libano sono stati regolarmente sabotati da incidenti e provocazioni come se, è stato scritto, «qualche occulto regista avesse interesse a mantenere alta la tensione bellica». Certamente la natura e la composizione della nazione libanese, le sue contraddizioni sociab, quella sorta di apartheid religioso o, meglio: confessionale in cui s'è tradotto il Patto nazionale del 1943, senz'altro tutto ciò ha facilitato i «disegni esterni» di destabilizzazione. Eppèrò va detto che di conserva con Israele, altri poteri, altri governi hanno smi¬ nuzzato la «miracolosa struttura portante» dello Stato libanese per allargare le rispettive aree di influenza. La Siria non ha mai metabolizzato l'amputazione della «provincia libanese» in conseguenza degli accordi Sykes-Picot sulla scia dei quali, nel 1920, i francesi costruirono il cosiddetto «Grande Libano». Nel lontano febbraio del 1973, quando ebbi la ventura di incontrarlo, il presidente Assad mi disse che in Medio Oriente i confini sono le cicatrici della Storia: «Qualcuna non si rimargina mai». La Siria ha soffiato sul fuoco più volte, cambiando frequentemente cavallo, giuocando fra palestinesi e maroniti finché, estromessa l'Olp dal Libano nel 1982 (a ben guardare il solo risultato ottenuto, con l'invasione, da Israele) non si è nuovamente schierata con quelle milizie «cristiane» che han combattuto una guerra senza misericordia contro il generale (maronita) Aoun, reo di aver dichiarato guerra «agli invasori siriani». Costoro, però, furono sollecitati (nel 1976) proprio dal presidente (maronita) Suleiman Frangie ad intervenire per mettere al passo i palestinesi: e fu la strage di Tali al Zaatar (la collina del timo) eseguita dai Falangisti «cristiani» appoggiati dai cannoni siriani made in Urss. Ho sempre respinto la dizione di guerra confessionale. Quella del Libano è stata una lucida foiba autodistruttiva, aumentata da forze esterne che tuttavia poggiavano sugli appetiti e sulle sproporzionate ambizioni dei vari signori della guerra locali, di questo o quel zaim crudelmente provinciale. Come si può parlare di guerra di religione quando i cristiani si sono massacrati fra di loro? Chi ha ucciso Tony Frangie e tutta la sua famiglia, cane compreso? E chi, subito dopo la forzata partenza del generale Aoun, ha assassinato Dany Chamoun, figlio dell'ex presidente Camille, sua moglie, i due figli maschi il 21 di ottobre del 1990? I mandanti e gli esecu¬ Se a Karol concesso dmolte cosegli si impevoleva la ro tori di quegli atroci delitti sono stati dei «cristiani». A leggere bene gli appelli scorar rtati del Papa, i suoi discorsi sul e per il Libano, non si fa fatica a capire cosa voglia intendere Giovanni Paolo II quando, il 5 di agosto del 1989, disperatamente implora: «Non si assuma l'atteggiamento del Caino che si rese colpevole della morte del fratello». (E L'Osservatore Romano il 23 di ottobre del 1990, commentando, con sdegno e amarezza, lo sterminio della famigha di Dany Chamoun scrisse: «Ancora una volta Caino ha ucciso Abele»). Ma oggi, come si vive oggi nel Libano, sotto la pax siriana seguita alla fosca macellazione nazionale? Come si vive oggi nel Libano in piena ricostruzione selvaggia (perché palazzinara), nell'ex Svizzera del Medio Oriente, casa d'appuntamento del capitale arabo e non, che confonde le cicatrici della devastante invasione del 1982 con la recente strage di Cana? Si può rispondere «Ori se debrouille», tal quale disse, a me e a Piero Accolti, Lady Yvorme Cockraine (figlia di Donna Maria Serra di Cassano, sposa di un aristocratico inglese) esattamente il 28 di ottobre del 1978, davanti al suo castello sfregiato dai bombardamenti siriani. Quel giorno, non potrò mai dimenticarlo, il mio amico Lucien George, lucido e coraggioso corrispondente di Le Monde, mi mostrò con visibile emozione un dispaccio Reuters che raccontava come, poche ore dopo un breve cessate il fuoco, fu visto un ragazzino - avrà avuto otto anni -, correre verso un denso mucchio di rifiuti, raspare in quell'immondizia sinché non ne emerse un lungo braccio di donna: «La mano, dalle unghia laccate, era gialla. Vi spiccava un grosso brillante. Con rara perizia il bambino lo sfilò dal¬ l'anulare della morta per poi correre via, felice della preda». On se debrouille, anche se il Libano produce più cadaveri che ricchezza. Beirut, assediata dalla lebbra del cemento armato, Beirut, città dei peccati più dolci, che riassume il Paese e la sua vicenda, vive in una sorta di chiaroscuro tra sicurezza e insicurezza, fra violenza e divertimento, fra speranza e disillusione. Hanno riaperto il ristorante del Vendóme: dalle sue alte vetrate si vede il Saint-Georges incombere sulla piscina di quel mitico albergo come un Colosseo mediorientale affidato solo alla memoria. La piscina è il santuario (della borghesia) affollato di sempre ma tutto il resto è sfacelo. Al bar del SaintGeorges, nei favolosi Cinquanta, Pierre il barman serviva scotch di marca e champagne d'annata al Gotha del potere finanziario e politico. Giovanissimi giornalisti si abbeveravano a una fonte straordinaria di notizie: quel Kim Philby, leggendario corrispondente inglese che nessuno avrebbe mai immaginato, allora, fosse un agente del M15 sul punto di lasciare il tepore di Beirut per il gelo di Mosca. Altri tempi. Prima degli «accadimenti», come i beirutini pudicamente chiamano la guerra civile, la sera andavamo al Le Grenier con Lucien, Sarah, Eduard, Mussa, Patrick. Lucien e Eduard sono maroniti di origine siriana, Mussa è sciita, Sarah ebrea, Patrick inglese. Dopo la cena, tutti alle Caves du Roy dove il barista era un caprese simpaticamente svitato. Sfioravamo, anche in quel tempo felice, l'orrore nascosto della guerra di spie senza per altro renderci conto di «chi fosse chi». Le spie sono tornate mentre la pace, quella doc, si fa attendere. Ma arriva il vecchio pellegrino predicatore della Riconciliazione. Ad attenderlo ci saranno persone cresciute senza infanzia, nel liquido amniotico della violenza più infame. Ci saranno uomini e mascalzoni ad attendere il Papa ed egli pregherà con loro e per loro e li benedirà tutti nel nome di Dio, il Compassionevole, il Misericordioso, in arabo: Bismillah ir-rahmàn ir-rahìm. Igor Man Se a Karol Wojtyla fosse stato concesso di andare prima a Beirut molte cose sarebbero cambiate: ma gli si impedì di farlo perché si voleva la rovina del Paese dei Cedri GLI ATTORI IN CAMPO I guerriglieri sciiti, finanziali e addestrati dall'Iran, sono una spina nel fianco dell'esercito israeliano e dei civili dello Galilea, oltre che una testa di ponte del terrorismo islamico. ISRAELE LIBANO 10400 kmq, 2.726.000 abitanti (stime del 1987). primo ministro: Rafiq Hariri, miliardario e filosiriano. Capitale: Beirut. ^ALEPPO Damasco esercita una sorta ' di protettorato militare e economico sul Libano, dove sono di stanza 35 mila soldati siriani. La pLibanLE COMUNITÀ1 BEIRUT^ DAMASC0 I soldati di Gerusalemme controllano una «fascia di sicurezza» nel Libano meridionale, che però non è sufficiente a fermare il lancio di razzi katiuscia sui villaggi dell'Alta Galilea. ■ 1975: scoppiai la guerra civile. LE TAPPE DELLA STORIA Q) ^ 1860: la Francia interviene nel conflitto che oppone drusi [musulmani] e maroniti [cristiani]. Gli ottomani concedono l'autonomia a un territorio di 6500 Kmq l'embrione del Libano 1943: gli inglesi cacciano le truppe di Vichy dal Libano. 1630 mila libanesi (tra cui 200 mila maroniti) firmano un «patto nazionale». Nasce il Libano moderno. 1982: Israele invade il Libano per sbarazzarsi dei palestinesi di Al Fatah, guidati da Arafat, insediatisi ai confini settentrionali della Galilea, in breve tempo l'esercito di Begin occupa Beirut, ma il successo militare si rivelerà un calvario politico 1990: la «pax siriana». Dopo quindici anni di massacri e l'intervento di una forza di pace internazionale, la guerra civile si conclude con la fuga del generale Aoun, la rotta dei maroniti e l'instaurazione di un governo filosiriano,: MUSULMANI I sunniti [circa 500 mila] osservano il (orano di Maometto trasmesso dai suoi compagni e legittimano i primi quattro califfi successori del Profeta. Hanno sostenuto la guerriglia palestinese durante la guerra civile. Gli sciiti [900 mila] si ispirano a Ali, quarto califfo e nipote del Profeta. Rappresentano le classi più diseredate, in crescita dopo la rivoluzione sciita iraniana dell 979. Sciiti sono i guerriglieri che combattono Israele. drusi [200 mila], seguaci del califfo fatimide egiziano Hakim che si proclamò «incarnazione di Dio», credono nella reincarnazione dell'anima. Ci sono poi gli ismaeliti e gli alauiti. CRISTIANI I maroniti [700 mila], dal nome di San Marone, vissuto in Siria nel IV secolo. I greco-cattolici [250 mila], conosciuti come melchiti, da Malkan, principe di Bisanzio, separati dai greco-ortodossi [300 mila] nel 1724. Gli armeno-cattolici [20 mila], dal 1740 sepurati dagli armeno gregoriani [150 mila]. I siro-cattolici [15 mila], riconosciuti do Roma nel 1797, scissi dai siro-ortodossi o giacobiti [20 mila], I caldei [6 mila], frutto di uno scisma fra i nestoriani iracheni. Riconosciuti da Roma nel 1828. I latini [25 mila], dipendono da un arcivescovo nominato dal Papa. Gli armeno-gregoriani [150 mila], separati dagli ortodossi dal 491. I nestoriani [10 mila], spinti in Ubano da persecuzioni in Iraq nel 1933. I protestanti [40 mila]. I copti-egiziani [2 mila].