IL BIANCO E IL NERO di Sandro Cappelletto

IL BIANCO E IL NERO IL BIANCO E IL NERO IA libidine del potere non basta, per capire. In «Otello», J per la prima volta, Verdi incontra l'altro da sé, cammina lungo il margine dell'abisso aperto sulla diversità che spaventa. Né basta edulcorare il titolo, nel passaggio dalla tragedia di Shakespeare - «Othello, or the Moor of Venice» - all'opera lirica, «Otello». La questione appare evidente sin dalla prima lettera che il musicista indirizza ad Arrigo Boito, il librettista, nell'agosto del 1880, sette anni prima del debutto alla Scala: «Dopo le parole "Demonio taci", Lodovico con tutta la sua alterezza di Patrizio e la dignità di Ambasciatore potrebbe fieramente apostrofare Otello: "Indegno Moro, tu osi insultare una Patrizia Veneta, mia parente, e non temi l'ira del Senato!"». La musica è tutta ancora da scrivere, il libretto da finire, ma il cuore del dramma è già netto. La negritudine contro la famiglia, la tradizione, lo Stato. Victor Hugo, in «Notre-Dame de Paris» (1830) aveva raccontato il potere devastante della sessualità della gitana Esmeralda, senza patria, senza famiglia, progenitrice di Carmen, zingara anche lei, bella in modo insopportabile. Demonio, lei come Otello, che in più ha il potere militare e quello civile, come sposo della candida Desdemona. Un modo di leggere il libretto è dipanare insieme i due fili, il bianco e il nero, sempre intrecciati, sempre opposti, ossessione indelebile come la macchia di sangue che tonnenta lady Macbeth: l'eburnea mano, il candido giglio, il nero delitto, il roseo viso, la larva inferma!, più bianco, più beve che fiocco di neve, quell'uomo nero è sepolcral, l'aprii circonda la sposa bionda, forse perché ho sul viso quest'altro tenebrar... Dopo averla soffocata, dopo aver troppo tardi compreso la trama di Jago, il Moro la guarda per l'ulthna volta: «E tu... come sei pallida!». Quando si uccide, non è già più comandante della fortezza di Cipro, un messo era giunto da Venezia a richiamarlo, secondo il reputato supremo bene della Repubblica. La Serenissima era tormentata dall'idea dell'aggressione dei Mori: di questo racconta la novella cinquecentesca di Giraldi Cinzio, fonte principale della tragedia di Shakespeare e di molti libretti d'opera veneziani tra Sei e Settecento. Ma Jago è troppo scoperto nella sua ambizione e nella sua professione di fede pratica che giustifica ogni crimine - «son scellerato perché son uomo» - per essere il vero motore dell'azione: 10 capisca o no, esegue quanto è stato deciso altrove. Desdemona è 11 prezzo da pagare all'errore. Il vecchio Verdi aveva bisogno di questo soggetto immenso, per indagare l'orrore di cui è capace l'uomo, e nei recitativi - i momenti della soUtudine, del dubbio come del progetto più efferato - la capacità di vedere l'inconciliabile differenza è degna di un grande narratore. E la sua estrema tragedia riverbera nelle nostre intolleranze impaurite la sua modernità. Sandro Cappelletto

Luoghi citati: Cipro, Venezia