IL GIALLO

IL GIALLO IL GIALLO di Piero Scria Cf E' un profondo Sud degli Stati Uniti che si getta in mare con il Mississippi e che sembra scorrere eterno ed immutabile nel tempo come il grande fiume. Nei meandri del delta, tra i bayou e le rudi genti cajun, in lingue di terra strappate alle paludi, al sudore stagnante e alla miseria, il nero della Louisiana continua ad essere nero ed i ricordi della «felice era» della schiavitù un sogno mai cancellato del tutto. Che gioia quelle impiccagioni all'alba o quei linciaggi feroci per difendere l'onore di una bianca sfiorata da sguardi e desideri impuri. Che ricordi quell'immenso cuore confederato, quel garrir di bandiere, quell'ardore in battaglia per difendere l'immobilità del tempo. Che senso di protezione quegli sceriffi panciuti, quei secondini senza sorriso a protezione della superiorità della razza eletta, dei suoi diritti ancestrali e dei suoi inviolabili principi di vita. Ecco: c'è tutto questo sul fondo de L'occhio del ciclone (Blues Mondadori, pp. 320, L. 24.000) di James Lee Burke, l'inventore di Dave Robicheaux, il disincantato detective di New Iberia che vive sui canali in compagnia di una donna che non è sua moglie, di una bambina che non è sua figlia e di un cagnolino che in effetti è un procione a tre zampe. Questa volta la molla dell'indagine è un delitto fosco: l'uccisione, con orribili sevizie, di una giovane provinciale vittima di uno spietato ed inafferrabile maniaco che da tempo si lasci? dietro un'infinita scia di sangue. Fbi, mafia di New Orleans, troupe cinematografica hollywoodiana, con tanto di divo alcolizzato, a far da contorno. tevano riflettere senza inibizioni sugli effetti del commercio sulla pace o sulle implicazioni dell'industrializzazione sulla libertà. The Passions and the Interests racconta una storia dimenticata, ovvero la storia degli argomenti invocati a giustificazione del nascente capitalismo, in particolare l'idea che un mondo in cui gli uomini perseguono la ricchezza e il benessere in modo calmo, razionale e calcolato è migliore di un mondo dominato dalle passioni violente della brama di gloria e di potere. Anche se le cose sono andate in maniera diversa, quell'idea ha influenzato in modo significativo l'affermazione del capitalismo. Il mondo immaginato dai teorici studiati da Hirschman, sottolinea Sen nella prefazione, ha contribuito a far nascere il mondo in cui viviamo. Economisti e sociologi hanno dedicato, com'è noto, molte pagine agli effetti inattesi o indesiderati dell'azione sociale; Hirschman ha messo in luce il ruolo altrettanto rilevante, ma pressoché ignorato, degli «effetti attesi ma non realizzati». Fra questi c'era l'aspettativa che il capitalismo potesse mettere un freno alla «follia del dispotismo», come scriveva Sir James St.euart nel 1767. Questo vecchio tema, osserva Sen, merita oggi di essere ripreso e ricordato ai sostenitori dei «valori asiatici» che affermano che il capitalismo prospera meglio se è sostenuto da regimi autoritari. «E' una fortuna per gli uomini essere in una situazione in cui benché le loro passioni li possano spingere a essere malvagi, hanno nondimeno un interesse a non esserlo». Questa frase di Montesquieu, ricorda Hirschman nella nuova prefazione, è stata il punto di partenza del libro. La storia ci ha reso più scettici sugli effetti benigni degli interessi, ma non ha reso meno urgente la necessità di frenare le passioni maligne. La narrazione di Hirschman, come tutte le storie ben scritte, ci può aiutare a trovare strade nuove. Ne abbiamo discusso con l'autore nel suo studio di Princeton. Nella nuova premessa ha scritto che «The Passions and the Interests» è sfuggito al destino della maggior parte dei suoi libri: l'inclinazione a cambiare o a integrare. Perché questo trattamento speciale? «Ho scritto questo libro motivato dalla passione per le idee che avevo scoperto. E' stata una piacevole esperienza trovare quelle idee sugli interessi e sulle passioni e vedere che si collegavano bene le une alle altr- fino a formare un bell'edificio intellettuale. Mi pare che l'edificio conservi ancora la sua bellezza. Del resto non ho ricevuto critiche che mi abbiano convinto a introdurre tagli o revisioni». Lei richiama l'attenzione sugli effetti attesi ma non realizzati dell'azione umana, in particolare sull'aspettativa che il capitalismo avrebbe realizzato un mondo dominato dalla passione calma dell'interesse. Com'è stata accolta questa sua osservazione? «L'idea degli "effetti attesi ma non realizzati" dell'azione sociale è forse quella che ha ricevuto meno attenzione e meno applicazioni rispetto alle altre tesi sostenute in The Passions and the Interests e negli altri libri. Gli studiosi non l'hanno trovata particolarmente originale o stimolante. Del resto, ricordo che l'idea degli effetti attesi ma non realizzati mi venne dopo aver finito di scrivere il libro. Maggiore fortuna ha avuto invece l'altra osservazione che ho posto in chiusura, ovvero l'idea che il capitalismo avrebbe dovuto realizzare proprio ciò che i suoi critici denunciarono poi come uno dei suoi più nefasti effetti. Da Marx a Marcuse uno dei rimproveri ricorrenti è stato quello di impedire lo "sviluppo onnilaterale" della persona per modellare "un uomo a una dimensione", prevedibile e interamente dedito al perseguimento dell'interesse. Ma questo era appunto ciò che i fautori del capitalismo si aspettavano e auspicavano». Non crede che si potrebbe parlare di una vittoria troppo completa dell'interesse? La politica, per esempio, ne è così dominata che nessun leader fa nulla se non vede un chiaro tornaconto elettorale. «E' vero, in una certa misura, che l'interesse è diventato prevalente nel mondo contemporaneo, ma non in modo completo e definitivo. La storia del XX secolo mostra che gli interessi non dominano affatto le vicende umane. La prima e la seconda guerra mondiale sono due ovvi esempi di comportamenti non dettati dal calcolo razionale dell'interesse. Nella seconda metà del secolo, per rimanere in ambito occidentale, l'intervento americano in Vietnam è un altro esempio di scelta dettata più dalle passioni che dall'interesse. Se poi guardassimo nei particolari della nostra storia potremmo trovare molti altri esempi. Anche nel mondo attuale ci sono dunque ampie zone in cui regnano forze diverse dall'interesse». La preoccupano di più le forze non controllate dall'interesse o il predominio dell'interesse? «Temo tanto il dominio degli inte- «Racconto l'idea di un mondo in cui gli uomini aspirano a ricchezza e benessere in modo calmo» «E'certamente un mondo migliore di quello dominato dai fanatismi e dalla brama di gloria e di potere» ressi quanto quello delle passioni. L'uno e l'altro porterebbero a un impoverimento della vita sociale. Un mondo dominato dall'interesse sarebbe quasi completamente prevedibile. Ma anche se la prevedibi¬ lità delle azioni umane è entro certi limiti un bene, credo che abbiamo il diritto ad un futuro non previsto, un diritto all'imprevedibilità». Perché? «Questa è la condizione umana, al¬ trimenti la vita sarebbe noiosa». Venti anni fa concludeva «The Passions and the Interests» con l'osservazione che la storia delle idee non può dare la soluzione ai nostri problemi, ma può aiutarci a raffinare la qualità del dibattito intellettuale. Lo pensa ancora? «I libri veramente interessanti sono quelli che scoprono idee dimenticate o non sufficientemente studiate. Lo studio della storia delle idee è il presupposto della creatività intellettuale, che molto spesso consiste nel ricreare o nel riscoprire idee già note». Ma gli economisti e gli scienziati politici e sociali che studiano la storia intellettuale sono sempre di meno. «E' un errore. La storia delle idee è necessaria per capire la realtà del nostro tempo». Maurizio Viroli

Luoghi citati: Louisiana, New Orleans, Stati Uniti, Vietnam