IL MEZZOBUSTO STREGATO DAI TRE MOSCHETTIERI di Mirella Serri

BIBLIOFILIA BIBLIOFILIA di Rolando Jotti PARLIAMO di Albania. Parliamo, più precisamente, di Giorgio Castriota ( 1403-1467), detto Scanderbeg, eroico difensore dell'indipendenza albanese. La libreria Pregliasco di Torino (tel. 011 817.71.14) ci propone due rare opere sul valoroso condottiero. L'Historia de vita et gestis Scanderbegi Epirotarum principis, si deve allo storico Marino Scanderbeg Barlezio, e venne pubblicata a Roma, da Bernardino de Vitali, tra il 15 I 6 e il 1522. Il grosso volume in-folio, di 164 carte, racconta le vicende del giovane Castriota Tiglio di Giovanni, principe dell'Epiro e d'Albania, rapito e allevato dall'imperatore turco Amurath II che lo chiamò Scander (Alessandro) e gli conferì il titolo di Bey, da qui Scanderbeg. A quarantanni rinnegò la fede musulmana e si proclamò cristiano, combattendo i turchi dello stesso Amurath e poi di Maometto II. Riconquistò l'indipendenza all'Epiro e all'Albania, su cui regnò vent'anni. Morì a Lissa nel 1567. Alla poetessa napoletana Margherita Sarrocchi si deve il secondo libro, un poemetto intitolato La Scanderbeide (ed. Lepido Facii, Roma 1606, pp. 97 in 4°), composto sulle gesta dell'ardimentoso liberatore. Il Barlezio (con ritratto silografia} di Castriota) è venduto a 8 milioni, il secondo a 900 mila lire. Ci permettiamo di consigliarne l'acquisto al ministro della Difesa, senatore Andreatta (che sappiamo attento bibliofilo) per una piccola biblioteca storica della spedizione italiana in Albania. a IL MEZZOBUSTO STREGATO DAI TRE MOSCHETTIERI Peréz-Reverte, da star del tg a re dei bestseller MADRID RTURO Peréz-Reverte (Cartagena 1951) è il più importante fenomeno letterario spagnolo degli ultimi anni. Benché inizialmente snobbato dai critici connazionali, dall'88 al '97 tre dei suoi sette romanzi sono stati portati sullo schermo (Polanski girerà il quarto, Il club Dumas), le sue «novelas» hanno raggiunto la vetta delle classifiche vendendo centinaia di migliaia di copie in patria (la sua casa editrice, Alfaguara, ha incassato, nel '96, 25 miliardi di lire), 2 milioni all'estero con traduzioni in 12 lingue. Peréz-Reverte, figlio e nipote di marinai dalle solide letture e con una gran biblioteca, comincia a scrivere vendendo reportage nei Paesi del Mediterraneo che toccava mentre era secondo timoniere di una petroliera in cui s'imbarcò a 19 anni per puro desiderio d'avventure e viaggi. Nel '72 diventa corrispondente di guerra di Pueblo, attività che prosegue nell'84 nella tv di Stato. «Copre» tutti i conflitti, dal Libano all'Angola, dallej'alkland Malvine al Nicaragua, dal Golfo alla ex Jugoslavia. Ormai famosissimo reporter specializzato anche in terrorismo e cronaca nera, nel '94 inaspettatamente abbandona l'invidiabile posizione di superstar tv per dedicarsi solo alla scrittura. Il club Dumas (Alfaguara 1993, 350 mila copie vendute solo in Spagna), di prossima uscita in Italia da Marco Tropea Editore, è il romanzo che lo consacrò definitivamente dopo i successi di El maestro de esgrima dell'88 e La tabla de Flandes del '90 (anche i successivi La piel del tambor edEl Capitan Alarìste si vendono come il panettone a Natale). Un cocktail che miscela magistralmente il feuilleton di Alessandro Dumas I tre moschettieri, la bibliofilia, la dottissima letteratura sul Maligno e il poliziesco. Il protagonista è Lucas Corso, «un mercenario della bibliofilia», un cacciatore-detective di libri rari per ricchi collezionisti, che riceve contemporaneamente, da un libraio e da un bibliofilo, due incarichi apparentemente diversi: autenticare il manoscritto di II vino di Angiò, il 42° capitolo de I tre moschettieri e decifrare l'enigma di un libro del 1666, Le nove porte del regno delle ombre, bruciato insieme al suo editore veneziano dal Sant'Uffizio ma di cui rimangono tre copie in tre collezioni distinte, benché l'eretico confessasse che ne rimaneva solo una. Le nove porte permette di convocare il Diavolo. I due incarichi s'intrecciano sempre di più, portando Corso da Madrid a Toledo, dalla portoghese Sintra a Parigi, con finale davvero a sorpresa a Meung, vicino ad Orléans. Intanto si succedono uno strano suicidio e due omicidi (tutti bibliofili) mentre gli danno la caccia la conturbante Liana Taillefer, la moglie del suicida, una goccia d'acqua della perfida Milady di Dumas e un sicario che sembra la reincarnazione del Rochefort del Cardinale Richelieu, profondo cultore delle arti occulte come Dumas. Il pericolo è sempre in agguato, con j . un misterioso regista che tira le fila e una bella e giovanissima girovaga inglese, Irene, che segue Corso come un'ombra. Incontriamo Peréz-Reverte nel celebre «Café Gijon» di Madrid, nei cui dintorni vive. E' l'Arturo di sempre, quello che conosciamo da anni. Sembra Corso: stesso zainetto sulle spalle da cui non si separa mai, look informale, beve gin Uscio, usa lo stesso colorito linguaggio, colloquiale e diretto. Un solitario volontario (tranne che per la moglie e la figlia) che rifugge mondanità ed ambienti letterari. Di poche parole e poco socievole. Lei, mentre «copriva» la Guerra del Golfo, rileggendo per l'ennesima volta «I tre moschettieri», inventò «Il club Dumas». Perché la passione per quel feuilleton? «Dumas fu il mio primo autore quando avevo nove anni. I suoi moschettieri mi fecero diventare lettore. C'è un tipo di libri che s'imprimono nel tuo "hard disk", che ti creano una base. Per me furono quelli d'avventura e di viaggi. Io non sono uno scrittore, bensì un lettore che incidentalmente scrive. Riscrivo tutti quei libri che ho amato. Il club Dumas è un percorso personale per tutti i testi di avventura, storia, mistero che ho letto, un omaggio a Dumas. E' un libro d'avventura e un'avventura di libro, tanto appassionante e pericolosa come la vita reale». In Spagna si vende poco. Lei moltissimo. Come mai? «In Spagna nessuno scriveva quello che ho scritto io. Questa è la chiave. Era un genere letterario che non aveva toccato nessuno. Perché? Perché è un Paese di gilipollas, di fessi. Qui si scriveva per quattro amici. Quattro imbecilli mantenevano sequestrata la letteratura sostenendo che doveva essere profonda e noiosa. Se era divertente, non era letteratura. Io me ne fre^o di tutto questo, non scrivo per i critici, ma per mia felicità personale. Scrivo romanzi che mi sarebbe piaciuto leggere. E molta gente voleva leggere proprio questo. Io sono il primo scrittore lettissimo senza aver mai vinto un premio. Sono un lettore, non uno scrittore, e chi mi legge mi sente come un fratello, uno di loro. Applico la mia tecnica personale, che tiene conto di tv, cinema e radio. Non si può più scrivere come faceva Hugo. Ma i temi letterari sono quelli di sempre: il mistero, l'avventura, il tesoro, l'enigma, la donna pericolosa». E come definirebbe «Il club Dumas»? «A me piacciono i libri. A Sarajevo, sotto le bombe, nel mio zainetto c'era Stendhal, Balzac, Dickens, Dumas. Mentre vivevo tra i morti pensavo che i libri, come diceva Dumas, sono una trincea che ti protegge. Il club Dumas è forse il mio Arriva l'autore de «Il club Dumas»: isuoi romanzi popolari, snobbati dai critici, hanno incassato nel '96 25 miliardi di lire romanzo che amo di più, in cui ho dato più me stesso. E' il miglior omaggio al libro, inteso come avventura, mistero, enigma, gioco, passione, crimine, amore, pazzia. Un analgesico quando la vita è dura e ti fa male, come diceva Stendhal. A me interessa il mistero, risolvere l'enigma che è dietro le cose. Per questo i miei romanzi sembrano polizieschi, ma non lo sono». In Francia hanno scritto che lei è il Dumas del XX secolo. «E' un'esagerazione. Io scrivo per me, per la mia felicità. C'è gente che, per raggiungere il piacere, si masturba, fa all'amore, uccide, corre in macchina o si getta nel vuoto con un paracadute. Io leggo e scrivo. Ricreo il mondo a mio gusto. E' un grande, meraviglioso privilegio: sono un lettore patologico che scrive». Peréz-Reverte è Lucas Corso? «No, ma gli ho prestato le mie abitudini e la mia stessa visione del mondo. Mi è molto vicino. E' un appassionato di libri, un mercenario onesto, come lo ero io quando facevo il reporter. Come me è indipendente e autonomo, ama l'avventura ed i viaggi, per essere autosufficiente gli basta uno zainetto con il passaporto e dei romanzi. Odia l'autoritarismo, lotta contro il potere che nel romanzo, metaforicamente, è rappresentato da Dio, gli Angeli e il Sant'uffizio. Simpatizza con Lucifero ed è amato e protetto, a sua insaputa, dal Diavolo (Irene, ndr). Me ne andai dalla tv dopo Sarajevo, benché .fossi il reporter più pagato, perché mi chiedevano sempre meno fatti e sempre più lacrime, cioè bambini piangenti e donne stuprate. Una tv che non mi piace. E non mi sono mai fatto manipolare. Quell'inferno di Sarajevo l'ho raccontato in Territorio Comanche, il mio addio al giornalismo. Il mio sogno era essere indipendente e, con i miei libri, ci sono riuscito. Dal '94 divido il mio tempo tra scrittura (e lavoro come un negro, per ogni libro impiego due anni) e la navigazione solitaria. Il nome del mio veliero? Corso». Gian Antonio Orighi PETRONIO E LA DISCARICA DEI101 VIA PASCOLI, CROCE E ECO QUANT'è bella giovinezza... Ci riempivamo il cuore di questi famosi versi di Lorenzo il Magnifico. Oggi invece non trovano posto nella piccola biblioteca ideale di noi lettori moderni. I celebri sonetti del ribelle Cecco Angiolieri che declamava «ST fosse foco, ardere' il mondo» suggerivano il sapore della rivolta nella letteratura del Xm secolo e adesso sono stati espulsi dagli scaffali; le strofe di Cielo d'Alcamo in Rosa fresca aulentissima facevano appello al lato più emotivo e giocoso ma non sono contemplate come esempio di poesia che si incontri con lo spirito dei nostri tempi. Al posto loro ci viene consigliato il Libro di buoni costumi di Paolo da Certaldo, o La cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi di Dino Compagni. Chi buttiamo a mare e chi salviamo della letteratura italiana? Ristrutturiamo la biblioteca, ci suggerisce l'anziano e autorevole critico letterario, Giuseppe Petronio, 88 anni. Il vivacissimo studioso della letteratura di massa, due anni fa aveva pubblicato una Storia della letteratura italiana raccontata, adesso ci propone la sua carica dei «101»: ha infatti disegnato ne II piacere di leggere. La letteratura italiana in 101 libri (uscirà a giorni negli Oscar Saggi Mondadori) i profili delle opere e degli autori che a suo parere meritano la medaglia. Rappresentano i fondamenti culturali per il lettore «medio», per chi non è «addetto ai lavori anche se fornito di una certa informazione letteraria: desideroso di leggere anche opere di alto livello e non solo moderne». U critico inizia il viaggio tra i grandi con la triade canonica Dante, Petrarca, Boccaccio. Ma mentre disquisisce a lungo sulla Divina Commedia, non cita la Vita Nuova, anche se è proprio difficile negare che si tratti di quell'esperienza estetica adatta al Laore di cui parla l'autore. Al contrario, il professore propina cibi un po' indigesti, come De falso eredita et ementita Constantini donatione declamatio, di Lorenzo Valla, pamphlet in latino su problematiche storiografiche. Sempre seguendo il cosiddetto criterio del «piacere», Petronio continua la sua carrellata attraverso i millenni suggerendo la lettura de II Milione di Marco Polo, delle Rime di Poliziano, dell'Orbando Furioso di Ludovico Ariosto e così via. Nelle pagine del professore non trova nemmeno un angolo Giam- 1 Il Pascoli è solo una tra le tante nostre celebrità letterarie «trascurate» da Giuseppe Petronio nella sua guida ai 101 capolavori, dal Duecento a oggi battista Marino, esimio rappresentante di una raffinata civiltà letteraria, ed è dimenticata una figura di primo piano, delle nostre lettere e del dibattito culturale e ideologico, come Carlo Cattaneo e il suo Politecnico. Merita invece un posto al sole il prezioso Neutonianismo per le dame di Francesco Algarotti, trattato di scienza e di filosofia del 1737. Non è detto infine che essere accolti nel novero dei « 101 » privilegiati sia garanzia di un giudizio lusinghiero. A Giovanni Pascoli il saggista riserva opinioni come questa: «Delle tante sue opere non re¬ sta molto; non resta, intendo, per il gran pubblico. Pascoli non aveva la vitalità irruente e la forza polemica di Carducci». Al palato del «gran pubblico», giudice sovrano, Petronio considera adatte opere di vecchie cariatidi come Gelosia di Alfredo Oriani, storia di un triangolo amoroso dai toni lugubri, e Santippe di Alfredo Panzini che, come riconosce lo stesso saggista, «oggi non lo legge nessuno o quasi». Perché, allora, accoglierlo nel libro dei vip letterari? Un posto libero sarebbe servito in questa bibliotechina ideale dove non hanno spazio né Savinio né Palazzeschi né Landolfi né Manganelli, e però viene ammessa La Famegia del Santolo di Giacinto Gallina. C'è poi Gramsci ma non compare Croce. Tra i poeti gli assenti sono numero- ì si. Ci sono Penna e Caproni, Saba, Ungaretti, Montale e Pasolini, ma non sono presi in considerazione né Bertolucci né Luzi né Zanzotto né Sanguineti. In narrativa i depennati sono numerosi e vanno da Arbasino a Parise, Eco, Malerba, Consolo, Magris, fino a saggisti come Citati. Più ci avviciniamo ai contemporanei e più immaginiamo che sul volto di Petronio si disegni una smorfia di disgusto. Il narratore vivente e più giovane di cui Petronio disegna il ritratto critico è Tabucchi, con Notturno indiano. Di lui, l'ex docente dice peste e corna e lo vede segnato da «un intreccio di irrazionalismo, relativismo, senso della inconsistenza delle cose e dei sentimenti», e parla di stile «gelatinoso». Come mai allora lo ha incluso? Di narratori contemporanei che poteva chiamare all'appello per rappresentare il romanzo moderno ve ne sono parecchi: non c'era che l'imbarazzo della scelta. • Mirella Serri