Spezzare le catene per liberare il mercato di Massimo Giannini

L'ADDIO DI AMATO L'ADDIO DI AMATO Spezzare le catene per liberare il mercato QUANDO leggerà la sua ultima relazione annuale - questa mattina nella sede dell'Autorità Antitrust che ha guidato per tre anni - Giuliano Amato potrà dirsi tutto sommato soddisfatto. Cominciò nel '94 questa avventura di «garante della concorrenza e del mercato», in un'Italia storicamente allergica alla prima, culturalmente ostile al secondo. Dal Duce a Bertinotti, da Togliatti a Fini, passando attraverso i cattolici alla Pastore o alla Donat Cattin, la vicenda politica, economica e sociale di questo Paese è stata innervata da un omogeneo «reticolo» di statalismo e di corporativismo. L'hanno creato e se ne sono serviti i soggetti politici, per amministrare il consenso, e i soggetti socio-economici per concederlo o negarlo, in difesa dei propri privilegi. Non è stata e non è questione di Destra o di Sinistra: il reticolo è nel codice genetico della nazione, fin dalle leggi sulla previdenza o sull'istituzione dell'Iri nel Ventennio, Fui dal manifesto di Ugo Spirito che a Ferrara, nel '32, proponeva in nome dell'idealismo gentiliano e dell'utopia di certe frange del fascismo la «soppressione della proprietà privata». Nè l'avvicendarsi dei governi, nè la scomposizione dei partiti tradizionali e la loro ricomposizione in poh, hanno mai spezzato la catena di questo «Dna». Ma Giuliano Amato in questi tre anni la catena ha cominciato a reciderla. I residui di statalismo e le resistenze corporative è andato a cercarseli dovunque. Per condannarli politicamente, come nel caso delle privatizzazioni di Stet e Enel, o per reprimerli normativamente: dagli abusi di posizione dominante dei colossi delle Tic alle grandi concentrazioni chimiche (Henkel-Attack) o alimentari (birra Heineken-Moretti), dai cartelli sul cemento in Sardegna a quelli sulla pulizia delle navi a Brindisi. La fatica è stata enorme. L'ha aiutato, come succede quasi sempre a questo neghittoso Paese, l'ennesimo «vincolo estemo». Nel primo dopoguerra fu l'adesione agli statuti di Bretton Woods, oggi si chiama Comumtà Europea: in tutte le sue forme, da Maastricht al divieto agli aiuti di Stato. Non è un caso se un terzo delle segnalazioni fatte alle aziende in quest'ultimo anno dall'Autorità di Amato, per casi di violazione delle norme sulla concorrenza o per abuso di posizione dominante, ha avuto esito positivo perchè supportato nel 90% dei casi dalla I legislazione comunitaria. PurI troppo ben altra e più ridotta effi¬ cacia hanno avuto i restanti due terzi, privi di questo imprimatur sovranazionale. Quando dove muoversi autonomamente sulla via del mercato, insomma, il Paese si blocca nel vecchio reticolo statalistico-corporativo Ecco perchè stamattina nella sua ultima relazione annuale, Amato lancerà un messaggio assai preciso: l'Italia di oggi e un «Prometeo incatenato», l'n Paese che si è dato nei decenni regole sbagliate, leggi, regolamenti e consuetudini che frenano la libera iniziativa e lo sviluppo: oggi, la nostra economia ha un potenziale di crescita molto maggiore del livello che esprime nei dati reali degli indici statistici. Nell'era della globalizzazione «Prometeo» che è insieme Stato, governo, impresa, consumatore - sperimenta una perversa «via italiana» alla flessibilità, costretto com'è dalle catene di cui non vuole liberarsi: per essere flessibile, cioè competitivo, il sistema economico devo spesso violare la norma, e per farlo deve colludere col sistema politico, che trova cosi il modo di negoziare ancora il consenso. Ma così il Paese soffoca, agli ultimi posti insieme alla Grecia come tasso annuo di crescita, digiuno di competizione di prezzo e di prodotto, di liberalizzazione e privatizzazione dei servizi. Rompere le catene: questo deve tare Prometeo, per creare mercato. Al sistema economico, per crescere, non serve più denaro pubblico (che oltre tutto non c'è) ma meno regole pubbliche, perchè sviluppo e occupazione, cioè attenzione all'economia reale, sono oggi non meno importanti del risanamento dei conti pubblici Amato lancerà cosi un messaggio più «politico» di quello dell'anno scorso, allorché ricordando gli ordoliberali tedeschi e i senatori americani che votarono cent'anni fa lo Shennan Act puntò tutto sui principi della sana democrazia, in cui potere e proprietà non devono comeidere. Un messaggio che apparirà, facendo forse scandalo, quello che in effetti è: cioè un messaggio non «liberista», ma autenticamente «liberale». C'è poco da scandalizzarsi, invece: in anni in cui tutti, a Destra come a Sinistra, si dichiarano liberali in campagna elettorale, per poi ricadere dopo il voto negli antichi vizi, Amato mantiene, fino all'ultimo giorno, la sua vocazione di «missionario in terra di mfedeli». E giura che, lasciato l'Antitrust, continuerà comunque le sue «prediche». Non possiamo che essergliene grati. Massimo Giannini

Persone citate: Bertinotti, Donat Cattin, Giuliano Amato, Moretti, Togliatti, Ugo Spirito, Woods

Luoghi citati: Brindisi, Ferrara, Grecia, Italia, Sardegna