Un'occasione per liberarci dagli alibi di Enrico Mentana

IL MIO CLIMA IDEALE Così possiamo abbandonare un passato di colonne infami, meroloni e mostri in prima pagina Un'occasione per liberarci dagli alibi CARO Direttore un po' come il maggioritario, questa legge sulla privacy che da oggi entra in vigore: certo, ne avevamo bisogno, per mettere alle spalle un passato fitto di colonne infami, meroloni e mostri in prima pagina. Siamo qui a chiederci che cosa abbiamo da perdere noi dell'informazione con la nuova normativa, quali problemi ci darà, quali rischi ci farà correre, e soprattutto perché diamine non possiamo più fare tutto quel che ci è stato permesso fino a ieri. Ma le cose non stanno così, secondo me, e a costo di fare la figura del candido voglio confessare che ritengo questa legge sacrosanta in generale, e molto poco pericolosa per il nostro lavoro. Di più: questa normativa è l'occasione per liberarci di molti alibi, e per alzare il velo su quel giornalismo simil-coraggioso, che si mostra senza peli sulla lingua solo per intrigare, per dare un sapore piccante. Non è certo il caso del bravissimo Filippo Ceccarelli, che ieri su La Stampa manifestava le sue preoccupazioni soprattutto in tema di sesso e salute: ma proprio a lui voglio chiedere, ribaltandogli gli esempi che faceva, quando mai durante il fascismo qualcuno ha parlato degli amori di Mussolini; quando mai negli Anni 50 qualcuno ha scritto degli svenimenti di De Gasperi; quando durante la degenza di Antonio Segni, qualcuno ha messo giornalisticamente in dubbio i bollettini medici ufficiali; quando, negli Anni 80, qualcuno ha parlato della tv - cito - «regalata da un potente alla sua amica» (vedi che stentiamo a parlarne anche a posteriori?). Di fronte ai pericoli presunti, il buon giornalista cerca di riscattare a posteriori le nostre passate corrività, o di negare prudenze non sempre ingiustificate. E' quel che fa anche Gianni Riotta sul «Corriere della Sera». Scrive Riotta: ((Nella città di Vattelapesca sono al ballottaggio per la carica di sindaco Mario Rossi e Maria Bianchi. H cronista Tom Ficcanaso apprende che Rossi è divorato da un cancro che gli lasciapochi mesi di vita. Se eletto non potrà governare. Ficcanaso ha appreso la notizia da una banca dati, da lui raggiunta grazie alla sua mostruosa abilità di "hacker", mago della tastiera (avviso ai giornalisti in erba, per trovare lavoro unica strada diventare virtuosi di Internet). Se la scrive senza il consenso di Rossi va in cella. Ma se non scrive tradisce, secondo noi, l'opinione pubblica. La Maria Bianchi è invece scatenata in una campagna moralistica, vuol far arrestare i viados, denuncia gli omosessuali, parla di fine della civiltà occidentale se i gay avranno parità di diritti. Tom Ficcanaso scopre che la Bianchi è lesbica, ma che l'ipocrisia le impedisce di rivelarlo. Se fa lo scoop va in galera. Ma se non smaschera la parruccona, non tradisce forse i suoi lettori?». Anche qui, caro Riotta: se c'è una cosa estranea al giornalismo italiano è andare a spulciare le cartelle cliniche dei potenti, mentre purtroppo tanti sono i casi di letture sbagliate e scandalose dei referti riguardanti soggetti deboli, gente qualunque rovinata dalla malainformazione più che dalla malasanità. Penso innanzitutto al caso della famiglia Schillaci, ma non solo. E poi, anche nel caso di cartelle cliniche «eccellenti» non credo affatto che sia nostro dovere violarle, in nessun caso: per restare al tuo Mario Rossi, quale giornalista può decidere quanto sopravviverà al male, e quale può indovinare se Mario Rossi è al corrente della sua malattia, se lo sono i suoi familiari, e - quesito meno etico ma altrettanto sostanziale - quale sarà l'effetto dello «scoop», di rifiuto o di simpatia da parte degli elettori? E come verificherà il giornalista la bontà dell'informazione? Non va diversamente per Maria Bianchi: dove ficca il naso Ficcanaso per scoprire che è omosessuale? Ci sono archivi elettronici? 0 va a raccattare dicerie? O deve fidarsi di una testimone diretta? E con che riscontri? E poi, diciamocela tutta, Ceccarelli e Riotta, ma forse che in Italia non ha governato per più di trent'anni un partito cattolico, votato da gente pia e benpensante, contrario al divorzio e, in ossequio ai precetti vaticani, contrarissimo all'omosessualità? E non avete per caso ben presente la figura di un illustrissimo esponente democristiano, deputato per 40 anni, presidente del Consiglio, ministro via via in tutti i più importanti dicasteri, da sempre attivamente omosessuale? Tutti lo sapevano, nessun giornale ne ha mai parlato. In decine e decine di campagne elettorali ha fatto come quella Maria Bianchi, ma mai un giornalista lo ha impallinato. E francamente non mi dispiace che sia andata così. Sono state ben altre le nostre omissioni, e riguardano ben altri peccati della classe dirigente del Paese. Tolto il bavaglio, i direttori dei giornali hanno cominciato a girare come imputati le aule di giustizia, accusati di violare i segreti d'ufficio, o di diffamare e calunniare, e però a schiena dritta, per aver fatto il loro dovere. Ma anche trattando Tangentopoli, troppi sconosciuti sono stati messi nel nostro tritacarne. Lì abbiamo cominciato a capire che il diritto a informare non è assoluto. Per questo non dobbiamo aver paura della nuova legge: semmai dobbiamo riconsiderare - noi giornalisti - che non abbiamo solo diritti. Anche per questo ci vuole coraggio. Enrico Mentana direttore del TG 5

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