«lo, Bertinotti di Francia lottatrice e quasi italiana» di Enrico Benedetto

«lo, Bertinotti di Francia lottatrice e quasi italiana» «lo, Bertinotti di Francia lottatrice e quasi italiana» CORSI E RICORSI DELLA POLITICA PARIGI EL traversare le Alpi, Bertinotti stempera il rosso fuoco in rosa tenue. E approdando sulla Senna, all'eleganza british sostituisce un tocco casual irrimediabilmente femminile. Madame Dominique Bertinotti non è un Fausto in versione Tootsie. Solo una banale omonimia la lega al segretario di Rifondazione. Ne condivide nondimeno militanza gauchiste, tenacia, ambizioni, rigore. Per non citare le origini piemontesi infine, seppure d'acquisto. I nonni del marito emigrarono da Arona, sul Lago Maggiore, verso il bacino siderurgico lorenese. Poi Parigi. E proprio nella Ville Lumière la quarantatreenne Dominique guida le file ps contro l'establishment rpr-udf nella circoscrizione che raggruppa i primi quattro arrondissement. Guastafeste, insomma, come il suo omonimo cisalpino. Un cognome scomodo da indossare, signora? «Tutt'altro. A giudicare dal numero di persone che m'interrogano su eventuali parentele con il leader prc, direi che la sua rinomanza sia ormai internazio- naie. Mi si prende dunque per italiana. E io la rivendico volentieri, l'italianità, malgrado la debba solo al matrimonio: la Francia era e deve rimanere Paese d'integrazione, dove le radici straniere sono ricchezza, non problema. In ogni caso Laurent Dominati - il principale avversario contro cui dovrò battermi il 25 maggio nelle Politiche - è còrso malgrado il nome dalla risonanza italica. Evitiamo così un duello fratricida». Conosce di persona il Bertinotti nostrano? «No. In compenso ne seguo con interesse il percorso politico. Per passione e mestiere. Insegno Storia Contemporanea all'università». E dirige l'Institut Francois Mitterrand. Ovvero la fondazione che intende salvaguardare l'eredità mitterrandiana. Come, in fondo, i Rifondatori vorrebbero proteggere il marxismo d'an¬ tan. 0 no? «Mi riconosco nella parola d'ordine di Lionel Jospin. "Cambiare futuro". I Juppé, i Tiberi, i Dominati... - un vero clan, con patriarca e rampolli - lasciamoceli dietro le spalle. Peraltro, Jospin mi dà volentieri una mano, quando può. Accompagnandomi per esempio al mercato: riconoscono lui, e spero voteranno me». E per scuotere l'indifferenza elettorale che dilaga non solo in Italia? «Abbiamo messo in piedi un'orchestrina. Canzoni di strada, all'antica. I passanti si fermano, ed è l'occasione per scambiare quattro chiacchiere in libertà esponendo le nostre idee». L'influenza italiana le suggerisce qualche tema specifico? Mani Pulite, per dirne una? «Putroppo, qui non manca la materia prima. La Mairie è al centro di molteplici scandali. Moralizzare la vita pubblica rientra appieno nella mia battaglia». Lei ha una formazione da intellettuale e il suo collegio include Place des Vosges. Louvre, Tuileries, Beau- bourg, Notre-Dame. Si potrebbe definire la Parigi coltivata e salottiera. Una sinistra snob, come quella cui Bertinotti indulgerebbe? «Vero, non sono quartieri operai. Ma vi risiedono migliaia di anziani con pensioni modeste. Batterci, come facciamo, per difendere l'equo canone significa garantire i più deboli. Il nostro progetto è inoltre alternativo anche in materia urbanistica. Soffoca, il cuore di Parigi. Occorre pedonalizzarlo, aumentare le corsie ciclabili, far crescere il verde. Non si può imbalsamarlo sotto una campana di vetro come vorrebbe il sindaco Jean Tiberi. Per vivere, bisogna respirare». E monsieur Bertinotti, che ne pensa? Ride: «E' d'accordo con me. Lavora al ministero: Finanze. Un alto funzionario». L'intesa arriva fin nella cabina elettorale? «Sì, votiamo socialista entrambi». Allora lo vedremo volantinare per lei? «Non esageriamo». Enrico Benedetto «Il vostro Fausto non mi dispiace e all'università studio le sue idee» Dominique Bertinotti, 43 anni è candidata per il partito socialista a Parigi

Luoghi citati: Arona, Francia, Italia, Parigi