Belle Epoque in pubblicità di Liliana Madeo

Manifesti italiani a Roma Manifesti italiani a Roma Belle Epoque in pubblicità w I ROMA A «Strega» del commendatore Giuseppe Alberti, ForI I nitore di Sua Maestà il Re A^J d'Italia, ha capelli fiammeggianti e labbra vermiglie. Si protende verso il bicchierino di liquore poggiato su un bancone, e un seno letteralmente le schizza fuori dalla camicia azzurrastra. Inarca il corpo e con un'inutile civetteria solleva la veste che l'impaccia: gli stivaletti di vernice nera con tacco a spillo s'inerpicano su per le gambe e non fanno vedere neanche un centimetro di pelle. E' il 1905. L'affiche, commissionata da Benevento e stampata nelle officine Ricordi di Milano, porta la firma del triestino Marcello Dudovich, «uno che sta alla storia del manifesto italiano come Federico Fellini sta alla storia del cinema», dice Giampiero Muglimi, curatore insieme con Maurizio Scudiero della mostra «Manifesti italiani dall'Art Nouveau al Futurismo (1895-1940)», fino al 12 maggio nel Palazzo delle Esposizioni. Quando la «Strega» arriva, nel nostro Paese l'arte del cartellone pubblicitario ha appena una decina di anni. Considerata un'arte minore, è in grande ritardo rispetto agli altri Paesi europei e all'America dove già si moltiplicavano le mostre, i collezionisti, le imitazioni. Sono due fratelli napoletani, Emiddio e Alfredo Mele, i primi imprenditori che in Italia capiscono l'efficacia di quel nuovo strumento di comunicazione e hanno l'ambizione di portare il marchio delle loro manifatture fuori dal mercato locale. Nel 1896 - seguiti tre anni dopo dalla Campari, poi da tutte le grandi aziende italiane - commissionano una campagna pubblicitaria alla casa Ricordi. Lo staff dei disegnatori è già ricco e si infoltirà negli anni, con l'arrivo di un polacco, un francese, un russo, un livornese, un siciliano... E' l'Italia che si unisce al di sopra delle storiche e antiche divisioni. E' il Sud che, come il Nord, si rivolge allo stesso immaginario collettivo, alla voglia dei ricchi di godersi la vita, alla voglia degli altri di sognare e accarezzare fantasie. Si sgrana sotto una grafica impeccabile un grande affresco della Belle Epoque. Ecco i bambini, rampolli di una immaginaria famiglia e di una società quasi perfetta, sempre impeccabili e benissimo vestiti, senza mai una macchia. Ecco i gagà, che si ammirano nello specchio (1902), si sentono i padroni del mondo mentre sorseg- giano un drink (1921), si fanno servire da valletti in polpe o di colore (1914), si dedicano alla caccia o all'equitazione (1908). Ecco soprattutto le donne: icone misteriose sotto l'ombra dei cappelli dalla larga tesa, proiezione spudorata del desiderio maschile, pensose, spesso sognanti, perse in fantasie lontane, mai impegnate a fare qualcosa a meno che non si tratti di beneficenza. Preferibilmente solitarie. Quando un cavaliere gli è accanto, è sempre perfetto, complice, che sussurra parole delicate, le protegge, ha cura che lei non prenda freddo. Quando si sposa, avanza come una regina e impugna un bouquet di fiori colorati (1900). Gli abiti sono tenacemente lunghi fino a terra. Il primo spacco che fa vedere una caviglia è del 1899. Il primo polpaccio scoperto è del 1904. In compenso il nudo di donna subito ha un grande «appeal» e sempre viene usato, a proposito e a sproposito: nel 1897 per reclamizzare le regate di Pallanza sul Lago Maggiore, nel 1903 per le biciclette Stucchi, nel 1909 per L'Ora di Palermo, nel 1906 (un po' velata) per l'acqua Uliveto, nel 1922 (svolazzante fra mille drappeggi) per le feste municipali di Montevideo. La prima autrice è del 1934, Carla Albini, e reclamizza l'Esposizione Aeronautica Italiana. Ma a questo punto, dopo lo sparo di Sarajevo nel 1914, tutto è ormai cambiato. E' esploso il futurismo, sono avanzate le avanguardie, c'è stata la guerra, è nato il fascismo, Mussolini ha richiamato gli artisti all'ordine, alla normalizzazione. Il che per alcuni - come Boccasile - è legge, per altri - come Sironi, Depero, Fontana - un ostacolo fastidioso ma aggirabile. Su tutti si addensa l'ombra greve del secondo conflitto mondiale. Liliana Madeo ||||§§f||||lHPÉl§tmmWmà Pubblicità per i fratelli Mele di Aleardo Villa nel 1902 presso Ricordi. Sotto: un tipico manifesto pubblicitario disegnato da Dudovich