Ricoeur, il saggio nel regno dell'incertezza

li Parla il filosofo che oggi a Torino inaugura il centro studi dedicato a Pareyson Ricoeur, il saggio nel regno dell'incertezza «Contro la tentazione del silenzio, ritroviamo l'impegno» li TORINO AI come oggi il mondo si è complicato. Con la fine della guerra fredda, che aveva «oltraggiosamente semplificato» i termini dei problemi, siamo entrati in un mondo senza centro, disperso, all'insegna di un «pluralismo di massa». Mai come oggi serve «saggezza». E mai come oggi è difficile prendere decisioni, anzi «interpretare» e poi «applicare». Paul Ricoeur, uno dei grandi maitres-à-penser europei, di fronte alla generale incertezza degli intellettuali, alla tentazione del «silenzio», non esita a usare una parola considerata spesso impresentabile: l'engagement, l'impegno. Lui, 83 anni compiuti lo scorso febbraio e una bibliografia importantissima alle spalle, da La symbolique du mal a Metafora viva, Il conflitto delle interpretazioni, Tempo e racconto (tradotti per Jaca Book), non ha esitato a scendere in campo nella mobilitazione per i «sans-papiers» (gli extracomunitari che si asserragliarono in una chiesa di Parigi), impegnandosi come membro del «collège des médiateurs» che cercava una soluzione al terribile scontro fra le leggi francesi e la coscienza 0 la pietà dei cittadini. «L'impegno serve su cose precise, in termini precisi. Non dev'essere generico», ci spiega- E' a Torino, appena arrivato da Napoli dove ha partecipato a un convengo dell'Istituto per gli studi filosofici, per inaugurare con una prolusione (oggi alle 17, alla Biblioteca Nazionale) il centro studi dedicato a Luigi Pareyson, maestro dell'ermeneutica italiana. Presieduto dal prof. Giovanni Ferretti e diretto dal prof. Claudio Ciancio, il centro promuove studi di carattere filosofico-religioso, con particolare attenzione agli ambiti di ricerca su cui lavorò Pareyson. E Ricoeur parlerà proprio del rapporto fra l'ermeneutica, ovvero la filosofia dell'interpretazione (che si rivolge ai testi), e la «saggezza pratica», ovvero il sapere che si applica alle situazioni concrete, «pratiche», in parole povere il misurarsi col regno dell'incertezza. E' questo per Ricoeur il compito del filosofo, in una società che sembra volergli erodere ogni ruolo? «La filosofia si è molto profes- sionalizzata nell'università, quindi in un certo senso è andata sempre più lontana dalla vita della gente, si è esiliata nella sua tecnicità. I compiti che ci aspettano sono tre: mantenere la tradizione di un grande discorso filosofico, trasmetterlo insegnando e discutendo, ma poi lavorare in modo interdisciplinare; cioè portare argomenti tra i tecnocrati; siamo specialisti delle parole, ed è un ruolo che si può onorevolmente tenere». Lei non ritiene la ((tecnica» una minaccia? «No, anche perché non parlo di "tecnica" ma di "tecni¬ che", e quindi mi sento molto lontano dalla tradizione di Nietzsche e Heidegger che vede nella "tecnica" un nemico». La «saggezza pratica» incontra le tecniche. Come? «Beh, diciamo che le vie sono due. Una va chiusa, se ancora non lo è: la presa di posizione continua, in quanto tale. Alla Sartre. L'altra invece è lavorare in équipe, per esempio con i magistrati, 0 con gli storici. Come comportarsi con la memoria, come gestire l'eredità di un secolo criminale? Pensi al dibattito sollevato dal libro di Goldhagen, sulle responsabilità del popolo tedesco nell'Olocausto, e al successo che questo libro ha avuto proprio in Germania. E poi c'è il campo dei temi etici, come l'eutanasia, la situazione degli anziani, la sanità, dove dobbiamo impegnarci con i medici». Nel suo studio del '75, Metafora viva, lei puntava sulla possibilità di «far rivivere» il linguaggio per spingere oltre il pensiero. In qualche modo questa esigenza rispecchiava la situazione di cui ci ha parlato alludendo alla «semplificazione» operata dalla guerra fredda. Ora che la prospettiva si è invertita che cosa attende il filosofo come specialista di linguaggi? «Per esempio eliminare i residui di discorso morto. In Italia la sinistra sta cercando di fare qualcosa di simile sul "discorso morto" del marxismo. Ma spesso accade che anziché eliminare residui di discorso morto si ricorra all'esorcismo. Non solo nel vostro Paese: siamo in un periodo di esorcismi, e di grande incertezza sulle soluzioni possibili per l'Europa». Mario Baudìno Paul Ricoeur

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