La Repubblica del sangue blu

Mentre il governo dell'Ulivo tende la mano ai Savoia, un libro esplora l'universo dei nobili d'Italia dal dopoguerra a oggi Mentre il governo dell'Ulivo tende la mano ai Savoia, un libro esplora l'universo dei nobili d'Italia dal dopoguerra a oggi La Repubblica del L~~TI APPETITO / di titoli e blasoni. All'aeroporto di Ciampino, subito dopo il referendum istituzionale del 1946 con cui si decretava la vittoria della Repubblica e la messa al bando della monarchia, per salutare il re Umberto II in partenza per il Portogallo si era radunata una piccola folla di fedelissimi. Si racconta che il sovrano, proprio prima di spiccare il volo, avesse raccomandato al suo segretario e contabile di «fare tutti i conti», intendendo con ciò dirgli di fare tutti i rendiconti delle spese per la propaganda elettorale. Nella confusione degli addii lo zelante funzionario avrebbe capito che doveva essere attribuito il titolo di «conte» a tutti i presenti, come atto estremo di riconoscenza. Non si sa bene se sia una storia vera o no ma il fraintendimento dell'augusto verbo da parte del segretario è significativo: durante il fascismo era diventata una prassi consolidata distribuire nomine patrizie a piene mani. Negli anni della dittatura la corsa al blasone fu una sorta di corsa all'oro per militari di grado elevato, personalità politiche, industriali di successo, finanzieri. Costanzo Ciano, rude marinaio di Livorno e padre di Galeazzo, fu incoronato conte, il maresciallo Badoglio fu promosso duca di Addis Abeba, la stessa fortunata sorte capitò all'ammiraglio Thaon di Revel e al generale Armando Diaz, mentre il maresciallo Graziani diventò marchese. La stessa aurea strada fu percorsa da Gabriele d'Annunzio, Guglielmo Marconi, Dino Grandi, dal banchiere Volpi e dall'industriale Cini. L'elenco è sterminato. «L'unico che sotto il fascismo, davanti alla gratifica di un alto titolo nobiliare concesso dal sovrano, doveva rivelarsi insensibile se non decisamente contrario, fu Benito Mussolini». Lo ricorda Dino Frescobaldi in un bel libro che uscirà nelle prossime settimane da Longanesi, Privilegio di nascita. Il saggista e giornalista fiorentino - che ha un pedigree di tutto rispetto poiché appartiene a una delle principali dinastie nobili di grandi banchieri affermatisi tra il XII e il XIII secolo ripercorre le vicende della sua famiglia ed esplora l'universo dei sangue blu italiani dal dopoguerra in poi. Da quando cioè, con l'avvento della neonata Repubblica, si decise di porre fine alla concessione di onorificenze nobiliari. Ma al contempo si stabilì che principi, conti, baroni e affini potevano fregiarsi dei propri titoli come «predicati del nome»: se ne poteva far uso non negli atti ufficiali ma nell'elenco del telefono o sul biglietto da visita. Una possibilità, peraltro, offerta senza limitazione alcuna, anche agli impostori di ogni ordine e grado. Fu così che nel dopoguerra si vide crescere il numero dei titolati pronti a sfoggiare i loro quarti di nobiltà. Adesso che il governo dell'Ulivo tende la mano ai re sabaudi e si prepara a spianar loro la strada del ritorno in patria, questo possibile rientro di Vittorio Emanuele e di Emanuele Filiberto, principe di Venezia, riporta l'attenzione sul mondo dei blasonati italiani. Chi sono, che professioni fanno, quanto hanno contato nella storia più recente del nostro Paese gli aristocratici? Potere e nobiltà vanno a braccetto come un tempo? La storia dell'antifascismo, proprio per le simpatie che spesso la nobiltà aveva dimostrato per la dittatura, avverte Frescobaldi, non sempre ha reso giustizia al ruolo del sangue blu nelle file della Resistenza. Vittima delle rappresaglie tedesche alle Fosse Ardeatine fu Giuseppe Corderò Lanza di Montezemolo. Il titolato Orlando Collalto, altro esempio, fu un valoroso ufficiale del corpo italiano di liberazione che trascinò con sé molti altri nobiluomini. A far parte della nuova classe dirigente democratica vi sarà un esponente dell'illustre famiglia lombarda dei Casati, mentre il conte Carlo Sforza era uno dei più noti oppositori all'estero della dittatura fascista. Il primo ambasciatore della neonata Re- pubblica italiana in Spagna fu il duca Tommaso Gallarati Scotti, mentre in Inghilterra arrivava come diplomatico una figura di primo piano dell'antifascismo, il liberale Niccolò Carandini, genero di Luigi Albertini, direttore e comproprietario del Corriere della Sera che venne estromesso da Mussolini dopo il delitto Matteotti. Di fatto, l'Italia repubblicana ha affidato la sua immagine all'estero nelle mani di parecchi rampolli patrizi: da cinquantanni a questa parte la carriera diplomatica è stata una delle vie più battute da chi ha una corona 0 uno stemma nobiliare, a partire dalla dinastia degli Attolico o di quella dei Pietromarchi, per finire con Ludovico Incisa di Camerana 0 Ranieri Vanni d'Archirafi, passando attraverso i vari Colonna, Caracciolo, Borromeo, del Drago. Le nobildonne di illustri natali hanno da sempre coltivato l'arte del ricevere e non l'hanno abbandonata nemmeno negli anni più recenti. Al salotto di Simonetta Odescalchi, brillante padrona di casa che non ha mai celato le sue simpatie per la de¬ stra, si è contrapposto, durante la campagna per le elezioni politiche dell'aprile '96, quello di Donatella Pecci Blunt, simpatizzante dello schieramento liberal-democratico. Altri ricevimenti elettorali con camerieri in livrea si sono tenuti in casa Taverna-Aldobrandini 0 nella dimora di Sandra Verusio di Ceglie (il suo salotto è frequentato anche da Bertinotti), di Laudomia del Drago (la cui casa è frequentata da Walter Veltroni), di Desideria Pasolini Dall'Onda (Henry Kissinger, quando venne in Italia, fece sapere che piuttosto che perder tempo in cerimonie ufficiali ambiva essere ricevuto dalla gentildonna). Chi sono, infine, i nobiluomini che si sono concessi alla politica? Sono numerosi, anche se spesso il titolo viene messo tra parentesi. Si va da Carlo Ripa di Meana, ex commissario europeo ed ex leader dei Verdi, a Lillio Sforza Marescotti-Ruspoli, passato dall'estrema destra a fianco di Rauti (e poi ha anche fondato nel '94 una propria lista chiamandola «Viva Zapata» in ricordo del capopopolo messicano) all'appoggio a Lamberto Dini. E gli aristocratici che hanno dato il loro apporto all'arte? Tra tutti è inevitabile citare Luchino Visconti e Giuseppe Tornasi di Lampedusa, due «nobili» protagonisti. Nel loro caso si può dire a ragione: buon sangue non mente. Mirella Serri Chi sono, cosa fanno, quanto hanno contato gli aristocratici nella nostra storia recente Tra salotti, diplomazia e politica. Adesso le loro simpatie vanno anche alla sinistra ca del Chi sono, cosa faquanto hanno cogli aristocratici nostra storia reFrae mprodi sarepra salotti diplomazia Fra politica, cultura e mondanità, alcuni protagonisti di sangue blu nella vita dell'Italia repubblicana