Sei fratelli per un «no» di Ugo Bertone

Sei fratelli per un «no» Sei fratelli per un «no» Umberto: ci interessa solo il tessile LA SVOLTA DI TRISSINO LMILANO A scelta di rompere il fidanzamento, in casa Marzotto, sarebbe maturata in un weekend di qualche settimana fa, probabilmente all'inizio di aprile. Fu allora, in casa del conte Giannino in quel di Tassino, che Pietro e i suoi fratelli decisero che, se il partner Hpi avesse insistito per certe soluzioni per il nuovo gruppo, sarebbe stato meglio lasciar perdere. E, come sempre, i sei fratelli decisero tutti assieme, all'unanimità. Ma dopo tante discussioni, perché a qualcuno dei Marzotto, soprattutto a Paolo, l'idea del matrimonio con Hpi non era piaciuta fin dall'inizio. Perché, all'improvviso, quei malumori avevano preso il sopravvento? Dalle sue tenute di Portogruaro, il conte Umberto, 71 anni, svela così al «Gazzettino» qualche particolare rivelatore. «C'è stato un contrasto abbastanza netto sulle strategie, c'erano visioni conllittuali. Noi privilegiavamo il versante industriale, Maurizio Romiti quello finanziario. Si voleva investire in altri settori..». Eccola, insomma, la prima ragione del conflitto. Da una parte i Marzotto decisi a sottolineare la vocazione tessile della nuova Gim, magari con qualche acquisizione mirata nel settore grazie ai mille miliardi portati in dote da Hpi. Sull'altro versante, quello della finanziaria di via Turati, un progetto diverso, proba bilmente più ambizioso: un maxiaumento di capitale, nuovi partner di rilievo, italiani e stranieri, la volontà di giocare un ruolo da protagonisti nelle partite finanziarie che si profilano con le privatizzazioni. L'obiettivo? Si sussurra una quota di Stet, c'è chi parla di Autostrade. Ma poco importa quale fosse l'«oggetto del desiderio». Ciò che contava, agli occhi dei Marzotto, era l'ipotesi, per loro assai poco seducente, di partecipare a un consistente aumento di capitale, facendo ricorso ai vari portafogli di famiglia. Un sacrificio, poi, che si accompagnava ad una prospettiva infausta: la perdita del controllo. Certo, era questa la premessa dell'operazione curata, in assoluto riserbo, dal conte Pietro dal luglio '96 fino all'annuncio di marzo. Ma allora si trattava, agli occhi del leader del gruppo, di garantire un futuro più solido ad una grande Marzotto, ad un colosso sempre più forte nel tessile-abbigliamento con o senza un famigliare alla sua guida. E si trattava, in ogni caso, di garantire ai Marzotto, almeno a quelli decisi a conservare una quota di grande rilievo nell'azionariato, una posizione di assoluto rilievo e la prospettiva di buoni guadagni già nell'immediato. E invece, a quel punto, il rischio era di contar sempre meno nella nuova Gim, di investir molti quattrini e di ricavar dividendi e profitti solo assai più in là. Ecco, probabilmente, perché l'idillio tra Hpi e Marzotto è durato meno di una primavera. Ma il condizionale è d'obbligo. Anche perché i patti, si lascia intendere in Hpi, erano chiari fin dall'inizio. A cambiar idea è stata la società veneta ed è lì, al suo interno, che va cercata una spiegazione ancor tutta da decifrare. Di sicuro, ci sono stati conflitti su poteri e uomini. Nel comunicato emesso dalla Marzotto, a «divergenze non componibili» pure a proposito dei «criteri di organizzazione, di ripartizione delle responsabilità e delle modalità di indirizzo e controllo delle aziende del gruppo». E anche in questo caso è Umberto Marzotto a esser più esplicito. «Diciamo - spiega - che le redini del gruppo le volevamo tenere noi, anche visti i buoni risultati di questi anni...». La Gim, quindi, doveva restare, soprattutto, nel tessile-abbigliamento; e in questa materia nessuno, a Valdagno, pensa di dover prender lezioni da chicchessia. Anzi, semmai, di darne qualcuna. E non sono mancati, su questo terreno, i motivi di conflitto. Il Gft, ad esempio. «Quell'azienda - dichiara Marzotto - è appena uscita da una crisi, il management non aveva dimostrato di essere all'altezza delle nuove sfide. Personalmente reputo più esperti i nostri dirigenti, per esempio Silvano Storer è bravissimo...». Ma pochi giorni fa Angelo Barozzi, amministratore delegato del Gft (portato nel giro di due anni dal profondo rosso a 52 miliardi di profitti) ribatteva che «in questi casi bisogna stare attenti a non defocalizzare un'azienda». Sembravano bisticci da amanti affezionati. Invece, era l'anticamenra di una frattura che ha sorpreso tutti. Ugo Bertone «Le reclini del gruppo le volevamo tenere in prima persona dopo i successi di questi anni» Umberto Marzotto

Persone citate: Angelo Barozzi, Giannino, Marzotto, Maurizio Romiti, Silvano Storer, Umberto Marzotto

Luoghi citati: Portogruaro, Trissino, Valdagno