Non serve all'Europa la lezione di Clinton di Alfredo Recanatesi

Le palle al piede di Tedeschi e le privatizzazioni di Ciampi OLTRE LA LIRA Non serve all'Europa la lezione di Clinton A vittoria laborista e la crescita del Pil al rispettabile ritmo annuo del 5,6% hanno puntato l'attenzione, rispettivamente, sui sistemi economici di Gran Bretagna e Stati Uniti. Sono stati evidenziati alcuni denominatori comuni che si sintetizzano nel fatto, se si vuole un po' paradossale ma per molti versi logico, che i due Paesi sarebbero tra i pochi a rispettare le condizioni poste dalla moneta unica europea, mentre queste condizioni faticano a rispettare i Paesi che hanno il titolo e l'intenzione politica di partecipare all'unione monetaria. La circostanza è stata colta, di conseguenza, come una ennesima dimostrazione delle contraddizioni dell'Europa continentale e della sua incapacità di venirne fuori nell'unico modo ritenuto possibile, ossia rinunciando alla rigidità ed ai costi nell'impiego del fattore lavoro, alla difesa dei privilegi di un Welfare generoso e, più in generale, di apparati statali invadenti e costosi. Perché ristagnare nella palude di questi problemi - si sono chiesti in molti quando ci sono così espliciti esempi di come possono essere risolti? La proposta dei modelli americano ed inglese ritoma con una insistenza ormai ossessiva in Germania, in Francia e, ovviamente, in Italia; in tutta quell'Europa dipinta come vecchia ed incapace di reazioni razionali solo perché rifuta l'esplicita evidenza di modelli economici che tanta inconfutabile prova hanno dato di sé. Una Europa, però, nella quale, forse non a caso, dobbiamo incominciare a comprendere anche l'Inghilterra se è vero, com'è vero, che i laboristi hanno così ampiamente vinto per l'unica ragione che delle virtù e del rigore monetarista dell'era thatcheriana la gente non ne poteva proprio più e non era più disposta ad aspettare il benessere che di quelle virtù e di quel rigore avrebbe dovuto essere la naturale e promessa conseguenza. L'Inghilterra di questi anni è stata vicina allo smentire, ma alla fine ha finito invece per confermare, che l'Europa ha peculiarità a motivo delle quali è quanto meno semplicistico volerla ridurre alla schematica semplicità di società come quella americana. E' come pretendere di azzerare la sua storia, l'articolazione delle sue culture e delle sue esperienze, le ambizioni umanitarie che l'hanno sempre distinta dalle altre parti, dalle altre religioni, dalle altre culture del mondo. Ed in realtà i tanti che premono affinché l'Europa modifichi le sue convinzioni ed i suoi indirizzi per seguire modelli stranieri ignorano la sua storia. Ignorano, ad esempio, che l'intera storia dell'Europa è fatta di alti costi del lavoro, di Stati pesanti, di spesa sociale elevata. E la sua sfida è sempre stata quella di difendere queste conquiste economiche, sociali, civili, comI pensandone i costi anziché riI nunciarvi. Spesso si è trovata di fronte al bivio tra la rinuncia, nel nome della competitività, o il salto in avanti per andare oltre la frontiera sempre più affollata della competizione con i Paesi poveri, o emergenti. Quasi sempre ha scelto questa seconda strada; e quasi sempre, alla lunga, ha avuto successo. La storia insegna che la competizione globale viene da lontano. Ne possiamo trovare le prime tracce addirittura nel Seicento, quando l'apertura delle rotte marittime con l'Asia e con le Americhe cominciò a consentire l'importazione di prodotti e manufatti a costi che erano fin da allora frazioni dei costi europei. Uno dei primi casi più rilevanti è quello dell'arrivo in Inghilterra, appunto nella seconda metà del Seicento, dei filati e dei tessuti di cotone indiano a prezzi irrisori rispetto a quelli fino ad allora praticati non solo per il cotone, ma anche per il Uno e persino per la canapa. Accadde mi po' quello che, in termini ben più ampi e generali, accade oggi: qualche manifattura cessò l'attività, si tentò di ridurre i salari, e via sulla linea che se arriva sul mercato un prodotto a un prezzo più basso ad esso occorre adeguarsi, e se i costi eccedono quel prezzo occorre comprimerli al di sotto. Sembrava che non potesse esserci altra via di uscita, ma un'altra uscita ci fu. Per farla breve, fu nell'innovazione, nella specializzazione, nella concentrazione produttiva le quali, dando vita alle prime fabbriche, dettero l'avvio alla cosiddetta rivoluzione industriale. Il primato scientifico, tecnologico e industriale che l'Europa in questo modo conquistò si protrasse per oltre due secoli. L'ha perso nella prima metà del nostro secolo a favore degli Stati Uniti, ossia del sistema economico nel quale il costo del lavoro aveva sopravanzato quello europeo e dove, conseguentemente, la spinta verso l'innovazione era diventata più cogente. Da tutto questo non è possibile trarre ricette o estrapolare modelli. Sarebbe già molto, tuttavia, se inducesse qualche riflessione sull'Europa, quale sarebbe stata se, tra la fine del Seicento e l'inizio del Settecento, gli imprenditori cotonieri inglesi non avessero incontrato alcuna resistenza nell'applicare il modello al quale era pur naturale che tendessero, quello basato sulla compressione dei costi - del lavoro in primo luogo al livello che faceva forte, ed apparentemente invincibile, il concorrente di turno. Alfredo Recanatesi es^J

Persone citate: Clinton, Spesso