«Non staccate la spina Quel cuore vìve ancora»

9 Napoli: la battaglia di parenti e amici di un giovane in coma irreversibile da 5 giorni «Non staccate la spina Quel cuore vìve ancora» LA CROCIATA CONTRO LA MORTE PER LEGGE NAPOLI. Amici e parenti lo hanno scritto sugli striscioni srotolati all'ingresso dell'ospedale. Lo hanno gridato perfino nel Duomo, venerdì, mentre l'arcivescovo di Napoli mostrava ai fedeli l'ampolla con il sangue liquefatto di San Gennaro: «Anche noi crediamo ai miracoli, perciò nessuno tolga la vita a Giuseppe. No alla morte per legge». La loro protesta ha colpito a tal punto il cardinale Giordano da indurlo a interrompere la messa e a rispondere: «Voglio incontrarvi nei prossimi giorni per parlare di questo: la Chiesa è contro l'eutanasia, nessuno può staccare quel respiratore». Il cuore di Giuseppe Mongiello, due figli di otto e cinque anni, continua a battere nel reparto di rianimazione del «Cardarelli». Pulsa nonostante i medici abbiano escluso ogni possibilità di recupero del paziente. L'elettroencefalogramma è piatto, la vita in quel corpo dipende esclusivamente dal ventilatore automatico, un congegno che pompa aria nei polmoni: un'agonia apparentemente senza speranza, che si protrae da cinque giorni. Ma il cuore funziona ancora e le deboli contrazioni fedelmente registrate da un monitor accanto al letto stanno scatenando un vespaio di polemiche. L'una di fronte all'altra si fronteggiano ia scienza, che dalla sua questa volta ha la legge, e la fede nel mistero della vita. Da un lato ci sono i medici, per i quali il paziente è clinicamente morto, per cui intendono staccare la spina del respiratore; dall'altro i familiari e gli amici di un uomo di soli 36 anni, che si aggrappano con tutta la loro disperazione ai battiti di un cuore sempre più stanco, ma che trova ancora la forza di lottare contro la morte. Gennaro Mongiello, il fratello di Giuseppe, è deciso a dare battaglia. «Domani (oggi per chi legge, ndr) verrà a Napoli il ministro Rosy Bindi: parleremo anche con lei», dice, e annuncia che sta per. costituire un'associazione intitolata al fratello Giuseppe, «per contrastare con ogni mezzo lecito una legge barbara come quella che regolamenta la cosiddetta morte encefalica». E racconta. «Tutto è cominciato il 15 aprile. Anche quel giorno Peppe, capocommesso in un magazzino di autoricambi, è tornato a casa dal lavoro piuttosto tardi. Era molto stanco, ma ha voluto egualmente salire su una scala per dare un'occhiata a una porta difettosa. Ha perso l'equilibrio, ha battuto la testa sul pavimento». I medici degli «Incurabili», il primo ospedale in cui Giuseppe è stato portato, hanno notato solo una brutta contusione a una spalla. Ma Gennaro, che è infermiere, ha insistito perché il fratello fosse sottoposto a una visita più appro- fondita, questa volta al Cardarelli. «Lì è cominciato l'incubo: a un certo punto Peppe ha accusato dolori al capo, quindi ha avuto difficoltà a parlare, e alla fine ha perso conoscenza». Giuseppe Mongiello non si è più risvegliato dal coma. «Il 28 aprile i medici hanno convocato me e mia cognata per dirci che le sue condizioni erano peggiorate e che non c'era più nulla da fare. Quel giorno l'elettroencefalogramma rivelava ancora una di¬ screta attività cerebrale. L'ho fatto notare ai medici, ina loro hanno risposto che presto anche il cervello avrebbe smesso di funzionare. Allora mi hanno messo al corrente di una legge di cui io, come molti familiari di pazienti in coma, non sapevo niente». La legge risale a tre anni fa. «Mi sono sentito dire che la sorte di mio fratello dipende da una commissione composta da un medico legale, da un neurofisiopatologo, da un anestesista e da un chirurgo - spiega ancora Gennaro Mongiello -: a loro tocca il compito di esaminare per sei ore le condizioni del paziente prima di dichiararlo morto. Per me e mia cognata è stato come se il mondo ci fosse crollato addosso. Gli specialisti hanno aggiunto che in seguito saremmo stati convocati dì nuovo per dare l'assenso all'espianto degli organi. Quando ho chiesto che cosa sarebbe accaduto se non avessimo dato l'autorizzazione, mi hanno risposto che in ogni ca- so la spina potrebbe essere staccata»». La battaglia dei familiari e degli amici di Giuseppe è appena cominciata: «Sia ben chiaro che io non sono contro l'espianto degli organi - spiega Gennaro Mongiello -. Ce l'ho solo con una legge spietata che, in molti casi, può equivalere a un omicidio». Come sarebbe a dire, omicidio? «Per mio fratello, staccare la spina sarebbe un vero delitto. Sono un infermiere, certi segnali li capisco come, se non meglio, dei medici: lui è ancora vivo. Ho visto tanti pazienti come Peppe: i migliori specialisti dicevano che ormai non c'era più nulla da fare, invece si sono ripresi». L'equipe dei medici che ha il compito di pronunciarsi sulla sorte di Giuseppe Mongiello non è stata ancora convocata. Per ora, dunque, non è stata presa alcuna decisione, e questa forse è una prima piccola vittoria di Gennaro e dei suoi amici che aggiungono: «Siamo in contatto con alcuni deputati: ci hanno assicurato che presenteranno un'interrogazione parlamentare. Secondo noi la legge non contiene alcuna indicazione perentoria che obblighi a un pronunciamento il gruppo di medici chiamati a valutare l'opportunità di staccare il respiratore. Abbiamo anche chiesto l'intervento della commissione giustizia per bloccare questa barbarie». Fulvio Milone «Sono infermiere e ho visto pazienti come mio fratello risvegliarsi: per questo combatto» «Anche il cardinale Giordano è schierato con noi e oggi incontreremo la Bindi» A sinistra: la protesta per non far spegnere la macchina che tiene in vita Giuseppe Mongiello durante la processione di San Gennaro. A destra: una scena del film «Risvegli», storia di pazienti che si risvegliano da un coma decennale

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