«Niente Shoah, siamo sefarditi» di Fiamma Nirenstein

«Niente Shoah, siamo sefarditi» «Niente Shoah, siamo sefarditi» Tre scolari alla radio: ci spiace ma non ci tocca SGOMENTO IN ISRAELE GERUSALEMME • NOSTRO SERVIZIO Oggi alle 11, come ogni anno nel giorno della memoria della Shoah, la sirena ha suonato in Israele, il Paese degli ebrei. Come in una catena ideale che lega il passato al presente, le ombre ai corpi dei vivi, il ricordo di Auschwitz ha immobilizzato pelle strade delle città e nelle autostrade, nelle vie suburbane, ogni movimento. Tutto tace, si sente solo il vento, che in ebraico si dice Ruah, come Spirito e anche come Fiato Divino. Ma c'è chi non si è fermato, chi non ha partecipato alle molte cerimonie in tutto il Paese. In parte non è stato una sorpresa: i religiosi di Mea Sharim, il quartiere ortodosso di Gerusalemme, hanno continuato nelle loro cose, loro che non fanno il servizio militare e che non partecipano, ritenendolo sacrilegio, a nessuna forma etico-collettiva dello Stato d'Israele, per loro impossibile sino alla venuta del Messia. Questo ormai si sa: perché rigetta tutto intero il sionismo, è logico scansare uno dei fondamentali suoi pilastri, l'Olocausto, una delle basi del significato e del senso del collettivo dello Stato ebraico. La sorpresa però, c'è stata, ed è venuta da un liceo di una zona centrale di Israele, lo Sharon, zo¬ na benestante ancorché suburbana. Quale ironia della sorte: quest'anno la memoria della Shoah è stata particolarmente dedicata ai milioni di bambini trucidati dai nazisti nell'Olocausto. Ed ecco che tre ragazzi israeliani, a nome di altri ancora di origine sefardita, con le loro voci infantili e il loro accento di sabra cioè di israeliani nati qui, hanno detto alla radio più o meno così: non parteciperemo a tutte queste celebrazioni che si ripetono di anno in anno sempre uguali. Perché? Perché ci dispiace molto che ci sia stato l'Olocausto, ma esso non ci tocca direttamente, e la sua memoria non ci sconvolge in modo parti¬ colare. I nostri genitori sono venuti dall'Africa, dal Marocco, dalla Libia, sono sefarditi! La loro storia è molto diversa da quella degli ashkenaziti. L'Olocausto è un problema loro, i sefarditi hanno la loro storia, i loro propri guai. Così hanno parlato sollevando un'ondata di stupefatto dolore e di reazioni ufficiali Tomer, Limor, Livnat, nati, secondo l'ideale del sionismo, per riscattare il popolo ebraico dalla sua bimillenaria vicenda di persecuzioni, oltre che per vivere sulla terra ad esso destinata da Dio e dalla storia. Così almeno pensavano Ben Gurion e i suoi compagni, per i quali la leadership della parte ashkenazita non era affatto un problema, un punto interrogativo, ma semplicemente un dato di fatto del tutto positivo da cui partire per creare lo Stato, per creare un epos collettivo, fatto di socialismo, fatto di bildung, fatto della memoria della Shoah, e non certo costruito sulla festa della Mimuna, o sulla grande tradizione della Hamula, la famiglia sefardita allargata, e tanto meno sulla religiosità degli amuleti, o su tante altre forme di vita proprie del sincretismo arabo-ebraico. I sefarditi certo soffrirono terribilmente quando nei kibbuz in nome dell'ebreo moderno, del grande costruttore, venivano lo¬ ro tagliati i riccioli laterali. E ancora soffre, quando la pelle scura viene sia pure affettuosamente sottolineata, o addirittura sbeffeggiata. 0 quando Arieh Deri, uno dei capi del partito religioso dello Shas è stato, uno fra i quattro accusati insieme a Bibi Netanyahu, che ha mandato tutti assolti, inquisito invece dalla procura generale. Lo svantaggio viene ormai avvertito come discriminazione, lo scarto di partenza come un'offesa inferta volontariamente dalla maggioranza forte, europea. Tuttavia, fino a qualche anno fa prima dell'inizio del processo di pace, il senso della salvezza collettiva di Israele, l'idea della solidarietà, dell'accoglienza agli immigrati, del donare la vita per lo Stato, dell'esercito, del miracolo della rinascita nazionale ebraica, avevano messo addosso anche ai ragazzi sefarditi la camicia bianca delle grandi occasioni nel giorno della Shoah, e li avevano inquadrati nelle grandi manifestazioni, così da sentirsi affratellati nella tragedia del genocidio. Ma quando un popolo si normalizza, quando il benessere avanza, quando il consumo prende il posto dei valori, quando si misura con insistenza il proprio essere su ciò che si possiede, allora il senso del collettivo rischia di sbriciolarsi, il senso del sacro si allontana. Ieri il vento, Ruah, ha soffiato, ma molti non lo hanno voluto sentire. Fiamma Nirenstein

Persone citate: Arieh Deri, Ben Gurion, Bibi Netanyahu, Livnat

Luoghi citati: Africa, Gerusalemme, Israele, Libia, Marocco