LEOPARDI la rivincita di Monaldo

A150 anni dalla morte, Recanati rende giustizia al padre del poeta: non fu soltanto un bigotto reazionario A150 anni dalla morte, Recanati rende giustizia al padre del poeta: non fu soltanto un bigotto reazionario LEOPARDI la rivincita di Monaldo s\ RECANATI I I UANDO scriveva sulle I I gazzette si firmava, in nu1 I meri arabi, 1150. Per rico—jJ-i noscerlo bisognava leggeV re, in numeri romani, MCL. E tradurre, in italiano, Monaldo Conte Leopardi. Scriveva di religione e di politica, di economia e di morale, di storia e di archeologia, di riforme comunali e di matematica. Pubblicava su periodici italiani e svizzeri, veniva tradotto in francese, olandese, tedesco, i suoi scritti giravano l'Europa. E oggi viene ricordato soltanto come il padre, assillante e angheriante, quasi l'aguzzino, del più celebre figlio. Per fortuna gli viene in soccorso il calendario, più rispettoso delle generazioni. Il 150° anniversario della sua morte (30 aprile 1847) precede di un anno il bicentenario della nascita di Giacomo (29 giugno 1798) e a Recariati il gioco delle ricorrenze si rispetta. Il personaggio che verrà per primo alla ribalta, nel biennio leopardiano, non sarà il miscredente cantore della Ginestra, ma il defensor fidei ùltralegittimista condannato dalla vox risorgimentale come il più bigotto dei reazionari. Attenzione ai luoghi comuni, forse è il momento per andare a verificarli. Questo personaggio settecentesco, che si piccava di essere «l'ultimo Spadifero d'Italia» nel Paese ormai brulicante di giacobini, non è esauribile nella caricatura del codino ancien regime alla quale c stato ridotto da una distratta (o tendenziosa) storiografia. «Su Monaldo pesa un giudizio profondamente ingiusto», dice Franco Foschi, neuropsichiatra, ex ministro del Lavoro, ma soprattutto cultore di Leopardi e, da oltre dieci anni, animatore del Centro Studi Leopardiani. «E' stato vittima di una critica che ha finito col riversare su di lui una quantità di colpe e di pregiudizi. Forse io sono troppo recanatese e troppo monaldesco, ma Monaldo non è stato oggetto di un sereno esame: come sarebbe stato riservato a qualunque scrittore del suo livello se non gli fosse capitata la ventura - non di co la sventura - di essere il padre di Giacomo». Giù le carte, lo scrittore c'è. Anche senza essere recanatesi e raonaldeschi, basta leggere l'autobiografia, per sentirlo subito: così ricco di immagini, denso di humour, perfino nelle scene più drammatiche, capace di ironia su se stesso. E anche il personaggio c'è: appena si scrosti un po' l'icona del papalino perinde ac cadaver, che scrive nel 1800 una Apologia del trono e dell'altare destinata all'inedito, mentre Napoleone ha già messo le mani sullo Stato pontificio. C'è un solo problema, per rendere giustizia al personaggio: il confronto, per lui schiacciante, con il figlio, dal quale sembra nessuno possa prescindere. Parleremmo oggi di Monaldo se non fosse il padre di Giacomo? E se non ci fosse stato un rapporto così conflittuale con lui? Sì, ne parleremmo; dobbiamo studiare Monaldo per sé, ignorando Giacomo, dicono proprio qui, nel sacrario di Recanati, accanto al colle dell'Infinito. «Monaldo non era quell'uomo provinciale e mediocre di cui si è tanto parlato - sostiene Foschi -. Quando pubblicava sul Cattolico di Lugano, che circolava in Europa, era più famoso del figlio. Lamennais, per polemizzare con lui, gli dedicò un intero saggio. E non era quell'uomo autoritario e oppressivo di cui molti hanno scritto senza averlo mai letto. Si è vista in Monaldo la causa dell'infelicità di Giacomo. Basta leggere l'epistolario per sapere che non è vero». Conservatore, certo, e anche testardo nei princìpi. Cattolico apostolico romano mentre si svuotavano i conventi e si proibivano le processioni, nemico di ogni dottrina liberale. Ma libero lui, insiste il direttore del Centro leopardiano, che ha visto tutte le carte. Era tanto libero che proprio la Santa Sede gli fece chiudere La voce della Ragione, redatta quasi interamente da Monaldo fra il 1832 e il '36. Perché troppo reazionaria, come vuole un giudizio ripetuto di libro in libro? Difficile crederlo, sotto il papato di Gregorio XVI, che in conservatorismo non cedeva punti a nessuno. E infatti i motivi erano altri, «La Voce è stata chiusa perché Monaldo aveva trattato argo¬ menti non condivisi dal Papa e soprattutto dal suo entourage». Aveva scritto un saggio contro l'usura, aveva preso posizione diversa dalla Curia su una causa riguardante il principe Torlonia; soprattutto aveva avuto l'imprudenza di mettere in dubbio l'infallibilità pontificia su una questione squisitamente politica. No, quella voce andava messa a tacere, nello Stato pontificio della Restaurazione. L'aspetto più curioso di Monal¬ do, avverte il suo studioso, è l'incoerenza fra le sue dottrine e le sue scelle pratiche, da amministratore pubblico. Foschi, che è stato per dieci anni sindaco di Recanati, è ammirato dall'opera di quel suo lontano predecessore, gonfaloniere della citta in due turni, dal 1816 al 1826. Le sue idee, in campo civile, erano singolarmente moderne: difendeva le autonomie locali contro i governatori pontifici, si batteva per la cultura, fece erigere il teatro le per questo finì sotto processo a Roma). Soprattutto introdusse per primo, nello Stato pontificio, la vaccinazione antivaiolosa sperimentandola sui suoi figli, Giacomo, Carlo e Paolina, propagandandola nella città e rendendola obbligatoria quando arrivò al potere. «Nel suo diario registra tutto quello che succede dopo la inoculazione del vaccino, con una precisione di termini medicoscientifici che non c'è neppure nella relazione del primario», dice il medico Franco Foschi. «Ecco, questo era Monaldo: capace di scrivere anche grandi sciocchezze; ma sempre anticonformista». Si può, davvero, leggere Monaldo dimenticando Giacomo? La contessa Anna Leopardi, custode delle memorie nel palazzo dove il poeta è vissuto fino a 24 anni e Monaldo sempre, approva la linea scelta dal Centro Studi; ma, come famiglia, ritiene che non si possa operare questo distacco. Anche perché l'occasione ce li riporta davanti tutti e due, e non si può lasciar perdere. «Monaldo o lo si fa conoscere quest'anno, o e destinato a cadere nell'ombra. Ma questa ombra non deve essere infamante. Deve essere un'ombra giusta». Anche nei rapporti col figlio? «Erano di due generazioni diverse. Uno è un personaggio del '700, l'altro è moderno oggi. Leggiamo l'epistolario. Da parte di Giacomo c'è una comprensione progressiva. Le prime lettere cominciano con "Stimatissimo signor padre", le ultime con "Carissimo papà". Si fanno sempre più affettuose. Certo, Monaldo non ha capito il figlio. Ma non lo hanno capito gli italiani, lo stesso Giordani si è poi allontanato da lui; perché lo doveva capire Monaldo?». Anche Anna Leopardi, che ha visto tutti i manoscritti - è sua l'edizione critica dell'autobiografia -, riconosce che l'uomo aveva i suoi scarti, le sue imprudenze; rifiutava Newton e Galileo perché non accettava che la scienza entrasse in contrasto con la Bibbia. «Non vogliamo fare di lui un grande uomo: ma un uomo con qualità particolari, per l'ambiente in cui viveva. E ha saputo portare idee nuove: nell'agricoltura, nella medicina. Pensiamo soltanto alla biblioteca che ha voluto dedicare ai cittadini. E dobbiamo vedere sempre, in lui, il padre di famiglia. E' stato Monaldo il vero maestro di Giacomo. Era un uomo libero, e questo senso di liberta lo ha trasmesso al figlio». Anna Leopardi ha lavorato sulle 655 lettere scritte a Monaldo dal cognato Carlo Antici, che confermano questo giudizio. Antici era il fratello di Adelaide, la madre del poeta, anche lui veniva dal mondo dell'aristocrazia papalina; suggerì a Monaldo di avviare Giacomo alla carriera ecclesiastica. «Monaldo rifiutò: capiva che non era quella la strada giusta per lui». Ed evitò a quel figlio così difficile da comprendere la scelta più sbagliata della vita. Giorgio Calcagno 77 presidente del Centro Studi Leopardiani, Franco Foschi: «Non era l'uomo autoritario e oppressivo di cui si è tanto scritto. Giacomo infelice per colpa sua? Basta leggere l'epistolario per sapere che non è vero» La discendente Anna Leopardi: «Rifiutava Newton e Galileo perché in contrasto con la Bibbia. Ma portò idee nuove nell'agricoltura, nella medicina. Era una persona libera e questo senso di libertà lo trasmise al figlio»

Luoghi citati: Europa, Italia, Lugano, Recanati, Roma